Invasione turca della Siria, analisi di una guerra con minaccia all’Ue

Cosa sta accadendo nel Rojava, nella regione nord della Siria, ad opera della Turchia di Erdogan. Retroscena della seconda guerra contro la Siria di Assad e le mire di conquista di Erdogan. Che ruolo hanno la Russia e gli Stati Uniti ed a chi fanno comodo i terroristi dell'Isis liberati dall'attacco militare di Erdogan. Perché l'Unione europea ha paura della minaccia turca di mandare in Europa i rifugiati siriani

Recep Tayyip Erdogan

di Mauro Seminara

La storia è sempre la stessa come sempre uguali sono gli attori. C’è l’Unione europea Premio Nobel per la Pace nel 2012, che favoreggia o partecipa attivamente a guerre illegittime come quella in Libia ma non vuol farsi carico delle conseguenze. Ci sono gli Stati Uniti, immancabili quando si parla di guerre, che nel 2009 videro conferito al suo presidente Barack Obama lo stesso Premio Nobel per la Pace. C’è chiaramente anche la Nato, nata solo per difendere i Paesi dell’alleanza che la costituiscono ma che sembra essere solo un modo per aumentare il budget degli Stati membri con cui poi ognuno di essi va a fare le proprie guerre. Infine ci sono i rifugiati, conseguenza delle guerre, di cui nessuno vuole poi farsi carico. Anzi, questi ultimi rappresentano una tale paura che li si usa anche come spauracchio per minacce internazionali. “Se questa operazione verrà definita dall’Unione europea un’invasione, allora potremmo semplicemente aprire le porte e inviare 3,6 milioni di rifugiati siriani in Europa”, ha dichiarato questa mattina Recep Tayyip Erdogan, presidente della Turchia e mandante dell’invasione militare del Rojava.

Il teatro del conflitto è quindi di nuovo la Siria, che non ha fatto neanche in tempo ad avviare la ricostruzione dopo la devastazione di una guerra per procura in cui bombe di ogni nazionalità venivano usate o testate sul suo antico suolo. Questa volta è un attacco arbitrario, deciso dalla Turchia con l’ufficiale missione di distruggere il popolo curdo della regione del Rojava, nel nord della Siria. La colpa dei curdi sarebbe quella di essere alleati del PKK, l’organizzazione paramilitare definita Partito dei Lavoratori del Kurdistan. L’attacco però è al contempo con i nemici dell’Isis, sempre gli stessi curdi di cui sopra, che durante il tentativo di rovesciamento della Siria di Assad ad opera degli Stati Uniti hanno combattuto gli alleati terroristi della CIA. Ieri è stata lanciata ufficialmente l’offensiva, e già ieri era iniziata la conta dei civili morti. Offensiva militare, sbilanciata nel rapporto di forza, con incluse vittime civili, autorizzata e benedetta dalla Nato, dall’Ue e soprattutto dagli Stati Uniti. Piccole raccomandazioni, sul non strafare, ma per il resto tutti d’accordo. Almeno nelle prime 24 ore. Oggi però qualcuno aveva provato a smarcarsi dalla benedizione con cui si “autorizzava” Erdogan a far quel che gli pare.

Il tentativo di prendere le distanze ha subito sortito un effetto da parte della Turchia, il cui presidente ha dichiarato che nel caso in cui la sua operazione “di pace” venisse definita dall’Unione europea (non dalla comunità internazionale) una invasione, egli farebbe arrivare in Europa i 3,6 milioni di rifugiati per il cui “contenimento” era stato pagato con sei miliardi di euro dell’Unione. Il punto critico rimane sempre lo stesso, l’incapacità di gestire flussi migratori e rifugiati rende ricattabili come se pendesse una minaccia di uso dell’atomica. Ed a formulare la minaccia, con i rifugiati inviati in Unione europea in caso di ingerenza in Rojava, è il secondo Paese membro della Nato. Ma la Turchia non è solo un fondamentale membro della Nato, strumento ormai ad uso personale ed opportunistico degli Stati Uniti. Lo Stato presieduto da Recep Tayyip Erdogan vede rinviare ormai dal 2005 la completa annessione all’interno dell’Unione europea. Nel frattempo però la Turchia sostiene militarmente le due opposte fazioni globali, Stati Uniti e Russia, nelle locali guerre in cui si fronteggiano. In questo caso, l’attacco alla regione nord della Siria si pone contro la Russia con cui era stata siglata una pace dopo l’abbattimento per mano turca di un caccia di Mosca e la successiva fornitura di sistemi anti-missili di fabbricazione russa che gli Stati Uniti non avevano digerito.

Tra i formali litiganti, a beneficiarne direttamente saranno i terroristi del Califfato Islamico. Gli stessi che hanno permesso che la Siria divenisse teatro di bombardamento degli sceriffi globali a stelle e strisce che mancarono però l’obiettivo di conquista. Il rovesciamento di Assad, erroneamente definito dittatore, non riuscì malgrado i finanziamenti della CIA ai tagliagole che sbucarono dal nulla ad Aleppo e la presa di posizione della Russia impedì agli Stati Uniti di portare a termine la missione. Gli americani si dovettero limitare a coprire la ritirata delle milizie dell’Isis. Il contributo degli States verso quelli che teoricamente erano alleati, appunto i curdi che combattevano lo stesso nemico terrorista, erano poco convincenti per la Russia che accusava gli USA di proteggerli, ma andavano bene per la Turchia che aveva mire di conquista verso la Siria. Proprio la Russia, per voce di Sergej Lavrov, accusò la Turchia con prove alla mano di contrabbando di petrolio siriano durante il conflitto. La Turchia mira infatti alla conquista della regione siriana di Aleppo e di quella irachena di Mosul. Per farlo, utile è il ritorno dei terroristi da combattere in Siria ed in Iraq adesso che la guerra contro Assad è stata sventata – grazie alle forze governative siriane, degli sciiti, degli iraniani, degli Ezbollah libanesi e della Russia – e le forze americane si sono ritirate come quelle inviate da Vladimir Putin a sostegno di Bashar al-Assad.

Il Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, si era così timidamente pronunciato verso l’annuncio di invasione militare del Rojava:  “Comprendiamo le esigenze di sicurezza della Turchia,che ha comunicato l’azione nel nord della Siria. Che l’azione sia però proporzionata e misurata,che non destabilizzi la regione,che non porti sofferenze ai civili”. Neanche a dirlo, per quanto ridicola affermazione o monito della Nato, che il vero volto dell’operazione si è svelato con un attacco coordinato e simultaneo dei terroristi dell’Isis su Raqqa e Hasakeh, luoghi in cui erano stati confinati, da sconfitti, in campi profughi. Campi, tra l’altro, a cui hanno anche dato fuoco nel corso dell’azione simultanea, bruciando le tende e scatenando il caos. Secondo il sempre puntuale Alberto Negri, con una analisi pubblicata ieri su Il Manifesto, “una parte del Rojava si prepara a diventare la nuova «casa» dei jihadisti dell’Isis, di Al Qaida e di gruppi estremisti alleati con la Turchia. L’obiettivo di Erdogan è creare un «Muro» jihadista e integralista che si oppone ai curdi e possa essere poi manovrato anche per insidiare Assad”. La lettura di Negri, come la nostra, verrebbe avvalorata dal fatto che già ieri, immediatamente dopo la levata dai campi di Raqqa e Hasakeh, l’Isis ha rivendicato degli attacchi condotti contro le milizie curde. “Un segnale inequivocabile – scrive Alberto Negri – che la Turchia, nonostante le dichiarazioni ufficiali, non ha abbandonato l’idea di creare sacche di territorio siriano in mano agli integralisti”.

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Giornalista palermitano, classe '74, cresce professionalmente come fotoreporter e videoreporter maturando sulla cronaca dalla prima linea. Dopo anni di esperienza sul campo passa alla scrittura sentendo l'esigenza di raccontare i fatti in prima persona e senza condizionamenti. Ha collaborato con Il Giornale di Sicilia ed altre testate nazionali per la carta stampata. Negli anni ha lavorato con le agenzie di stampa internazionali Thomson Reuters, Agence France-Press, Associated Press, Ansa; per i telegiornali nazionali Rai, Mediaset, La7, Sky e per vari telegiornali nazionali esteri. Si trasferisce nel 2006 a Lampedusa per seguire il crescente fenomeno migratorio che interessava l'isola pelagica e vi rimane fino al 2020. Per anni documenta la migrazione nel Mediterraneo centrale dal mare, dal cielo e da terra come freelance per le maggiori testate ed agenzie nazionali ed internazionali. Nel 2014 gli viene conferito un riconoscimento per meriti professionali al "Premio di giornalismo Mario Francese". Autore e regista del documentario "2011 - Lampedusa nell'anno della primavera araba", direttore della fotografia del documentario "Fino all'ultima spiaggia" e regista del documentario "Uomo". Ideatore e fondatore di Mediterraneo Cronaca, realizza la testata nel 2017 coinvolgendo nel tempo un gruppo di autori di elevata caratura professionale per offrire ai lettori notizie ed analisi di pregio ed indipendenti. Crede nel diritto all'informazione e nel dovere di offrire una informazione neutrale, obiettiva, senza padroni.

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