Libia, ipocrisia finita

di Mauro Seminara

di Mauro Seminara

L’ultimo atroce delitto commesso dai libici a cui si delega il soccorso e l’accoglienza dei migranti, che si dovrà aggiungere al già pesante rapporto firmato da Antonio Guterres e spedito all’Aja, pone una pietra tombale sull’accostamento tra la definizione di “porto sicuro” e la Libia. In altre parole, ai libici è stata delegata la cattura dei migranti, la detenzione in lager nei quali sottoporli liberamente a tortura e violenza sessuale, l’omicidio per diletto. La delega, alle bestie che a Tripoli hanno sparato ed ucciso un migrante sudanese che tentava di fuggire impaurito per raffiche di mitra sparate in aria, sotto gli occhi dei funzionari dell’OIM, l’ha data l’Italia insieme a motovedette e chissà cosa altro. Già sotto il ministro Minniti, al Viminale prima di Salvini, si parlava di milioni di euro ai trafficanti ed alle brigate di miliziani che impedivano ai migranti di partire. Lo scoop delle agenzie internazionali, la prima una francese, non fu mai in alcun modo chiarito in Italia se non con smentite mediatiche del ministro dell’Interno Marco Minniti. Ma non risulta neanche un processo internazionale intentato dal Governo italiano dell’epoca contro le agenzie che avevano diffuso la notizia. Il Governo che attese la quiete dopo la tempesta scatenata dalle agenzie senza battere ciglio era di sedicente centrosinistra, del Partito Democratico.

Il governo di estrema destra insediatosi dopo, guidato dal Movimento 5 Stelle e dalla Lega che sul tema delle politiche migratorie faceva da traino, vide servito in un piatto d’argento l’ottenimento dell’area SAR da sempre agognata dalla Libia – usata come estensione di acque territoriali in cui sparare o sequestrare pescherecci, anche italiani – che incredibilmente l’IMO (l’agenzia di Organizzazione Internazionale Marittima delle Nazioni Unite) ha assegnato. Area SAR che prevede l’obbligo di istituzione di una vera Centrale di Coordinamento Soccorso Marittimo, con tutti gli ineludibili requisiti minimi (a partire da persone che parlino perfettamente l’inglese in sala operativa), e la disponibilità di place of safety – i cosiddetti “porti sicuri – nazionali. Fino ad oggi la Libia ha dimostrato di non avere nessuno dei requisiti per una propria area di competenza SAR. Circostanza assolutamente anomala anche per il bellissimo palazzo di vetro delle Nazioni Unite, il cui segretario generale denuncia alla Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite i crimini libici sui migranti ma non richiede formalmente all’altro ufficio delle stesse Nazioni Unite, l’IMO, la revisione dell’assegnazione dell’area SAR affidata a criminali senza scrupoli.

Anche a voler fare un raffronto su piani grossomodo simili, tra la Tunisia e la Libia, risulta la prima estremamente più civile sotto molti punti di vista. La Tunisia, in questi giorni impegnata con le nuove elezioni libere del proprio presidente, è una democrazia in cui non è in atto alcuna guerra. Ma il Parlamento di Tunisi non ha mai dotato il Paese di leggi attuative dopo la sottoscrizione della Convenzione di Ginevra e non si è dotato neanche delle strutture per la gestione di accoglienza dei potenziali richiedenti asilo. La Tunisia quindi non ha una propria area SAR e non può essere considerata un porto sicuro. Paradossalmente, la Libia, in guerra per il dominio dell’intero Paese, che non ha mai avuto democratiche elezioni, che non ha mai sottoscritto la Convenzione di Ginevra per i diritti umani, che non ha un vero MRCC, che spara sui migranti appena sbarcati o li uccide trascinandoli in mare sotto le motovedette che erano italiane, che li tortura nei lager in cui le donne vengono stuprate mentre alcuni scompaiono o vengono uccisi e sepolti dai compagni di prigionia, risulta per l’IMO meritevole di area SAR e quindi implicitamente di “porto sicuro” per fare la gioia dei Paesi membri dell’Unione europea. Primo fra tutti l’Italia, che si è adoperata alacremente perché la Libia fosse ciò che è stato appena descritto.

Per un anno o poco più abbiamo sentito nazionalsovranisti nostrani definire “complici degli scafisti” quei soccorritori che si rifiutavano di attenersi alle disposizioni libiche quando salvavano persone nella loro area SAR. Si pretendevano perfino i processi per le Ong che si rifiutavano di attenersi agli ordini di riconsegna o di ingresso in porti della Libia come disposto da quella Centrale di Coordinamento Soccorso Marittimo tarocca che si dovrebbe trovare a Tripoli. Così, mentre le Ong scampavano processi e decreti “sicurezza” imbastiti in Italia, politici italiani agivano e dichiaravano ciò che era davvero criminale e che potrebbe un giorno far intervenire l’Aja nei loro confronti come implicitamente chiesto dal segretario generale Antonio Guterres. Azioni che comunque avevano già fatto supporre, in alcuni Tribunali italiani, reati punibili con carcere fino a quindici anni, senza spingersi sugli ordini di affidamento a criminali di persone innocenti – perché fuori della loro giurisdizione – e probabilmente meritevoli di protezione internazionale. Adesso l’ipocrisia di Stato finisce, per forza di cose, e nessuno, in Italia né in Europa, potrà più accusare le Ong di non essersi attenute alle disposizioni libiche. Premesso che l’accusa veniva fatta valere solo ed unicamente per le Ong e mai per le navi della Marina Militare italiana che nel frattempo soccorrevano naufraghi in SAR libica e li sbarcavano in Italia.

Non è un caso se in questi giorni non avete sentito o letto il solito refrain sulla Ocean Viking che si è rifiutata di condurre le persone soccorse nel porto di Khoms assegnatole dai libici. Se ne sono ben guardati, i nazionalsovranisti affondatori di navi Ong!

Informazioni su Mauro Seminara 705 Articoli
Giornalista palermitano, classe '74, cresce professionalmente come fotoreporter e videoreporter maturando sulla cronaca dalla prima linea. Dopo anni di esperienza sul campo passa alla scrittura sentendo l'esigenza di raccontare i fatti in prima persona e senza condizionamenti. Ha collaborato con Il Giornale di Sicilia ed altre testate nazionali per la carta stampata. Negli anni ha lavorato con le agenzie di stampa internazionali Thomson Reuters, Agence France-Press, Associated Press, Ansa; per i telegiornali nazionali Rai, Mediaset, La7, Sky e per vari telegiornali nazionali esteri. Si trasferisce nel 2006 a Lampedusa per seguire il crescente fenomeno migratorio che interessava l'isola pelagica e vi rimane fino al 2020. Per anni documenta la migrazione nel Mediterraneo centrale dal mare, dal cielo e da terra come freelance per le maggiori testate ed agenzie nazionali ed internazionali. Nel 2014 gli viene conferito un riconoscimento per meriti professionali al "Premio di giornalismo Mario Francese". Autore e regista del documentario "2011 - Lampedusa nell'anno della primavera araba", direttore della fotografia del documentario "Fino all'ultima spiaggia" e regista del documentario "Uomo". Ideatore e fondatore di Mediterraneo Cronaca, realizza la testata nel 2017 coinvolgendo nel tempo un gruppo di autori di elevata caratura professionale per offrire ai lettori notizie ed analisi di pregio ed indipendenti. Crede nel diritto all'informazione e nel dovere di offrire una informazione neutrale, obiettiva, senza padroni.

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