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Decreto sicurezza bis, una legge contro la Costituzione

Storica foto di Paris Match di un respingimento in Libia effettuato dalla Guardia di Finanza su disposizione del ministro dell'Interno leghista Roberto Maroni

di Fulvio Vassallo Paleologo

A partire dal respingimento dei naufraghi soccorsi dalle autorità italiane nel giugno del 2018 e poi trasferiti sulla nave Aquarius di SOS Mediterraneè, quindi con i casi di respingimento collettivo verificatisi successivamente, anche ai danni di navi militari italiane (casi Diciotti e Vos Thalassa), le attività di soccorso in acque internazionali sono state equiparate ad attività illegali quando le navi soccorritrici chiedevano l’ingresso nei porti italiani. Una impostazione deviante che è stata al centro della politica del governo, che ha aizzato i propri sostenitori ad attacchi sempre più violenti contro le ONG e tutti i cittadini solidali. Piuttosto che rispettare gli obblighi di soccorso stabiliti dal diritto internazionale e dalle norme interne, si è preferito criminalizzare le attività di ricerca e soccorso in acque internazionali.

Questo capovolgimento del principio di realtà ha comportato violazioni sempre più gravi dei diritti fondamentali dei migranti. Dopo avere imposto prassi operative in aperto contrasto con le normative internazionali, il governo italiano ha rafforzato la collaborazione con la sedicente Guardia costiera “libica”, che avvalendosi dell’assistenza degli assetti operativi della missione Nauras presente a Tripoli, hanno intercettato decine di migliaia di persone, ormai fuori dalle acque territoriali libiche, riconducendole nei centri di detenzione, nei quali sono stati sottoposti ad estorsioni ed a violenze, anche sessuali, che i rapporti internazionali documentano in modo inconfutabile. Scelte che sono state sempre direttamente riferibili al ministro dell’Interno, e non alla presidenza del Consiglio o alla responsabilità collegiale di altri ministri, come è stato accertato anche dalla Procura di Catania in un recente provvedimento.

L’entrata in vigore del Decreto Legge n.53 del 2019 (cosiddetto Decreto sicurezza “bis”), e poi la sua conversione in legge, una volta pubblicata in Gazzetta Ufficiale la legge di conversione, con una serie di norme di dubbia costituzionalità, ha permesso e permetterà ancora in futuro al ministro dell’interno, dopo una serie di direttive/diffide del tutto prive di basi legali, di impartire ordini di blocco navale alla Guardia di Finanza, ed alla Guardia Costiera, in evidente violazione dei doveri imposti dalle Convenzioni internazionali che vietano di trattenere a tempo indeterminato sulla nave soccorritrice i naufraghi soccorsi in mare, anche quando si tratti di portare a compimento attività di contrasto dell’immigrazione irregolare. Gli ordini impartiti dal governo italiano ai comandanti delle navi che hanno operato attività di soccorso in acque internazionali ricadenti nella cosiddetta SAR (Search and Rescue) “libica” costituivano, e costituiscono ancora oggi, atti illeciti perché diretti a respingere una nave con naufraghi soccorsi in alto mare verso un territorio dove queste persone avrebbero potuto subire una violazione di diritti fondamentali, a partire dal diritto alla vita.

Osserva Andrea Natale, giudice del Tribunale di Torino, che “Per «chiudere i porti» serve un provvedimento, non basta un tweet. Sembra un dettaglio, ma i ripetuti casi di ‘chiusura dei porti’ via Twitter – e nel modo più emblematico, il cosiddetto caso Diciotti – mettono in luce quanto sia utile e preziosa questa disposizione: la necessaria esistenza di un provvedimento renderà più trasparente la catena decisionale, più agevolmente individuabili le responsabilità politiche e quelle giuridiche e, sebbene con angusti (e probabilmente non tempestivi) spazi di intervento, renderà quei provvedimenti giustiziabili dalla giurisdizione amministrativa (dovendosi probabilmente escludere che si tratti di ‘atti politici’, sottratti alla sfera di controllo del giudice amministrativo)”.

Se dunque è vero che, in base alla Convenzione UNCLOS, lo stato può impedire l’ingresso nei propri porti ad una nave sospettata di trasportare migranti irregolari, (art. 19, comma 2) i naufraghi non possono essere respinti sommariamente ad una frontiera marittima, comunque configurabile al limite delle acque territoriali (12 miglia dalla costa), o essere qualificati generalmente come “irregolari”, prima del loro sbarco a terra. Lo impedisce il diritto internazionale umanitario, e segnatamente la Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951. Come vanno considerate di rango superiore rispetto alla legislazione ordinaria tutte le norme interne ed internazionali a protezione del “superiore interesse del minore”, richiamato dalla Convenzione ONU del 1989 a protezione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, che tra l’altro vietano il respingimento in frontiera dei minori stranieri non accompagnati, come peraltro ribadito anche dall’art. 19 del Testo Unico in materia di immigrazione, n.286/1998.

Le ricorrenti  forzature imposte dal ministro dell’Interno italiano, che dallo scorso anno ha continuato a negare l’attracco in porto alle navi delle ONG, ed in qualche caso persino alle navi della Guardia Costiera, prima ancora di una identificazione individuale dei naufraghi, o di loro eventuali richieste di asilo, hanno avuto una funzione di propaganda che ha aggravato lo stato di emergenza a bordo delle navi umanitarie in modo da creare i presupposti per la criminalizzazione del soccorso umanitario. Come sta avvenendo ancora in questi giorni nei confronti della nave spagnola della ONG Open Arms, alla quale sia il governo maltese che quello italiano stanno negando la indicazione di un porto sicuro di sbarco.

Una volta che la Centrale nazionale di coordinamento di soccorso marittimo della Guardia Costiera di Roma (I.M.R.C.C.) abbia comunque ricevuto la segnalazione di un’emergenza e assunto il coordinamento iniziale delle operazioni di soccorso – anche se l’emergenza si è sviluppata fuori dalla propria area di competenza SAR – questo impone alle autorità italiane di portare a compimento il salvataggio individuando il luogo sicuro di sbarco dei naufraghi. Se le autorità di Malta hanno negato il loro consenso allo sbarco in un porto di quello Stato, l’Italia non può negare lo sbarco in un proprio porto sicuro, che diventa essenziale per completare le operazioni di salvataggio. Se, come risulta dagli ultimi rapporti delle Nazioni Unite, e come riconosce persino il ministro degli esteri Moavero la Libia non garantisce “porti di sbarco sicuri”, spetta al ministero dell’interno, di concerto con la Centrale operativa della guardia costiera (IMRCC) di Roma, indicare con la massima sollecitudine un porto di sbarco sicuro, anche se l’evento SAR si è verificato nelle acque internazionali che ricadono nella pretesa zona di ricerca e salvataggio “libica”. Eventuali inadempimenti di tali obblighi potranno essere sanzionati a livello nazionale o internazionale.

È dunque da considerare che, se uno Stato respinge una imbarcazione carica di naufraghi soccorsi in acque internazionali, o ne vieta l’ingresso in porto, in assenza di provvedimenti individuali, come tali oggetto di un possibile ricorso, senza controllare se a bordo vi siano dei richiedenti asilo o soggetti non respingibili, o altrimenti inespellibili, come donne abusate e/o in stato di gravidanza e minori, commette una grave violazione del principio di non respingimento sancito dall’art. 33 par. 1 della Convenzione di Ginevra del 1951. Una violazione tanto più evidente se gli spazi geografici (Stati terzi, come ad esempio la Tunisia, o autorità militari con navi stazionate in alto mare, come quelle maltesi) verso cui la nave, con i naufraghi ancora a bordo, venga respinta, non offrono garanzie sufficienti per l’incolumità dei migranti o per il riconoscimento dei loro diritti fondamentali, a partire dalla possibilità di accesso tempestivo ad una procedura imparziale per il riconoscimento della protezione.

Il decreto legge 53/2019, nella formulazione finale del testo approvato dal Senato, modifica sostanzialmente i profili sanzionatori, dettati dall’art. 2 nella versione originaria del decreto. Si inasprisce la guerra contro le ONG ed i principi di solidarietà sanciti nella Costituzione e nelle Convenzioni internazionali. Si prevede che “in caso di violazione del divieto di ingresso, transito o sosta in acque territoriali italiane, salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato, si applica al comandante della nave la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 150.000 a euro 1.000.000. La responsabilità solidale di cui all’articolo 6 della legge 24 novembre 1981, n. 689, si estende all’armatore della nave. È sempre disposta la confisca della nave utilizzata per commettere la violazione, procedendosi immediatamente a sequestro cautelare. A seguito di provvedimento definitivo di confisca, sono imputabili all’armatore e al proprietario della nave gli oneri di custodia delle imbarcazioni sottoposte a sequestro cautelare”. Si aggiunge poi un nuovo articolo 6-ter secondo il quale “le navi sequestrate ai sensi del comma 6-bis possono essere affidate dal prefetto in custodia agli organi di polizia, alle Capitanerie di porto o alla Marina militare ovvero ad altre amministrazioni dello Stato che ne facciano richiesta per l’impiego in attività istituzionali. Gli oneri relativi alla gestione dei beni sono posti a carico dell’amministrazione che ne ha l’uso, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. Ma agli estensori del decreto legge sicurezza bis tutto questo non è bastato ancora, occorreva rispondere agli slogan propagandistici con i quali l’estrema destra presente in parlamento reclamava la distruzione delle navi delle ONG.

Nel caso delle sanzioni amministrative previste in materia di soccorso in mare dal decreto legge sicurezza n.53/2019, adesso convertito in legge dal Senato,  sembra che ricorrano proprio tutti gli elementi richiesti per la violazione del divieto “ne bis in idem”, in quanto le stesse sanzioni amministrative hanno una portata sostanziale prettamente penale, sono strettamente collegate all’adozione di ulteriori misure penali che sanzionano lo stesso comportamento, l’introduzione di migranti ritenuti “irregolari” e la disobbedienza all’ordine dell’autorità, seppure con procedimenti diversi, in sede amministrativa e penale che si possono concludere indipendentemente l’uno dall’altro, e soprattutto con una misura della sanzione pecuniaria che risulta chiaramente spropositata. Tanto che, rispetto allo schema originario del decreto legge n.53/2019, la stessa sanzione pecuniaria era stata fortemente ridimensionata di fronte ai dubbi di legittimità costituzionale espressi persino dalla Presidenza della Repubblica e da autorevoli giuristi.

L’articolo completo, con tutti i riferimenti normativi e link, è consultabile sul sito www.a-dif.org

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