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Libia: Naufragi, fughe e maltrattamenti

Naufragio fotografato da Colibri il 5 giugno 2019

La notizia di ieri è stata una nuova tragedia consumata nel Mediterraneo centrale, ma alcune testate – di quelle che raggiungono grandi numeri tra gli italiani – hanno preferito i venti feriti per l’esplosione di una bombola di gas a Gela come apertura di cronaca. Tra la Libia e Lampedusa intanto veniva avvistato un gommone con molti naufraghi in mare e l’informazione veniva data al mondo soltanto dalla Ong che mantiene costantemente in volo i piccoli aerei da ricognizione Colibrì e Moonbird. Proprio il piccolo Colibrì ha infatti avvistato e fotografato (foto in alto) ieri le persone in mare, disperate e senza alcuna speranza di soccorso nelle vicinanze. Le regole del mare sull’obbligo di soccorso sono notoriamente più rigide rispetto a quelle di terra, per l’evidente impossibilità di attesa di soccorritori. La cosiddetta “legge del mare” è infatti ben più antica delle convenzioni internazionali stabilite e fatte leggi dagli Stati, e fino a non molto tempo addietro veniva anche scrupolosamente applicata. Sul punto nave stavano per intervenire due mercantili richiamati dal “MayDay Delay” del velivolo Ong quando è sopraggiunta la motovedetta della cosiddetta guardia costiera libica. Attesa fino a tarda notte, la comunicazione sul numero di superstiti e delle vittime, recuperate e disperse, non è stata resa pubblica dalla sedicente autorità di soccorso marittimo della Libia.

Il traffico di profughi dalla Libia si sta ingrossando, tanto da far sembrare già lontani i primi lanci con piccole imbarcazioni in legno o resina e massimo quaranta persone a bordo. Sono tornati in mare i gommoni letali che hanno causato già migliaia di vittime. Le ultime ieri. Un gommone stracarico si è afflosciato a poppa piegandosi in due parti. Molte persone aggrappate tra loro, già in parte in acqua. Altre già in mare, a parecchi metri di distanza. Non è dato sapere quante in mare, sotto. Si trovano a circa 52 miglia nord di Gasr Garabulli, città all’estremo ovest della Libia vicino il confine con la Tunisia. Sul gommone oltre 80 persone, in mare se ne contano distintamente cinque, ma potrebbero essere tre o più le teste che si intravedono fra le onde. Concluso il soccorso, hanno fatto sapere da bordo del Colibrì, l’aereo ha ripreso la sua ricognizione individuando un altro gommone con approssimativamente altre 80 persone a bordo.

Circa 75 le persone contate a bordo di un altro gommone in difficoltà che di mattina aveva chiesto aiuto ad Alarm Phone. Con questo gruppo di profughi è stato poi perso il contatto. Si trovavano in area SAR di Malta, ma l’isola-Stato ha rifiutato ad Alarm Phone informazioni su intervento ed eventuale soccorso. Malta ha comunque effettuato tre soccorsi ad imbarcazioni cariche di profughi per un totale di oltre 350 persone salvate. Il primo dei tre soccorsi era stato effettuato la notte tra lunedì e martedì dal pattugliatore P21. A bordo del gommone alla deriva, come reso noto dalle Forze armate maltesi, c’erano 63 persone. Poco più tardi sono stati soccorsi 208 profughi su un barcone in legno, nella stessa SAR maltese dalla stessa Marina. Un terzo evento è stato affrontato nel tardo pomeriggio. Malta è quindi intervenuta in soccorso di un gommone con un centinaio di persone. Nessun riscontro, da Malta come dalla Libia, sul gommone con 75 persone che aveva chiesto aiuto ad Alarm Phone ieri mattina e con il quale è stato poi perso il contatto.

Gli eventi SAR operati da Malta o avvistati dal Colibrì nelle ultime 24 ore non sono le uniche conferme alla ripresa dei flussi dalla Libia. La notte tra lunedì e martedì sono stati recuperati e ricondotti in zona di conflitto da una motovedetta libica 80 profughi che speravano di abbandonare il Paese. Tra loro c’erano sei donne e tre bambini. Al mattino di martedì 4 giugno sono stati ripresi e ricondotti a Tripoli 45 profughi, tra i quali una donna. La motovedetta libica li ha presi circa 50 miglia nord di Tripoli, vicino la piattaforma petrolifera al-Bouri. Numeri e posizione farebbero sperare che fossero gli stessi che avevano chiesto aiuto ad Alarm Phone contandosi circa 50 tra cui due persone già prive di sensi. Lunedì, sempre i libici, hanno soccorso un gommone con 92 profughi – 11 donne e 4 bambini – ricondotti anch’essi nei centri di detenzione libici. Domenica 2 giugno sono state soccorse due imbarcazioni da motovedette della Libia, una con 85 profughi a bordo – finiti nel centro di detenzione di al-Gomes – e l’altra era il naufragio con 73 superstiti su, pare, 95 profughi salpati dall’inferno. Sono oltre 900 persone, profughi salpati tutti dalla costa della Libia tra lunedì e mercoledì. Una media di 300 al giorno a cui andrebbero aggiunti i dati sul numero di vittime e di naufragi. Non è certo che le imbarcazioni con i 75 ed i 50 profughi facciano parte degli oltre novecento in dieci diversi eventi soccorsi e non è certo il numero dei dispersi del naufragio di ieri e del 2 giugno.

La situazione a terra

(In foto, il centro di detenzione di Zintan fotografato dall’OIM)

“I centri di detenzione? Strutture inabitabili che con il conflitto diventano vere trappole, dove sono rinchiusi anche bambini soli. Casi di tubercolosi e malnutrizione in aumento e ciò nonostante le persone in fuga vengono riportate in Libia.” È quanto dichiarato ieri da Julien Raickman, capomissione per Medici Senza Frontiere in Libia. Se l’opinione di una Ong dovesse far sorgere dubbi, anche se una realtà al di sopra di ogni sospetto e che ha sempre documentato ogni denuncia fatta come nel caso di MSF, basta confrontarla con quella dell’OIM, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni delle Nazioni Unite, operante anch’essa e con ufficiale protocollo d’intesa con il Governo nazionale. All’esito di un sopralluogo congiunto, il 3 giugno, di UNHCR Libya, World Health Organization in Libya, OCHA Libya e Unicef Libya, all’interno del centro di detenzione governativo libico di Zintan, il messaggio condiviso è stato che “L’OIM ribadisce che la detenzione dei migranti deve terminare”.

Il sistema di repressione dei flussi mediante detenzione in luoghi, già riconosciuti “lager” anche dalle Nazioni Unite, nei quali è stato documentato ogni sorta di crimine come maltrattamento, torture, stupri e fino a vendita di esseri umani e omicidi, non offre neanche i cinici risultati sperati dai mandanti di queste violazioni dei diritti umani. “I centri di detenzione in Libia non sono un fattore di deterrenza, al contrario, alcuni prendono la via del mare proprio perché è l’unico modo per scappare dai centri”, ha spiegato ieri Marco Bertotto alla conferenza stampa sulla Libia di MSF. Il sistema di disumano contenimento a fine deterrenza ed il sistema unico della fuga via mare causano inoltre un altro grave effetto collaterale che sottolinea Julien Raickman, capomissione MSF a Misurata e Khoms: “Nessuno può sapere quante persone muoiono in mare. Quando torna una barca ci sono i sopravvissuti che possono dare informazioni, ma nessuno può testimoniare se va a fondo una barca intera”.

Redazione:
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