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La strage è servita!

di Mauro Seminara

Da giorni si susseguivano le notizie sul susseguirsi di barconi che salpavano dalla Libia. Lo stallo tra le forze a terra delle rispettive fazioni e gli interventi esterni, di altri Paesi, con le rispettive aviazioni, che bombardavano quel che era rimasto in Libia dalla guerra del 2011, aveva aperto uno spiraglio ai migranti detenuti nei centri libici e che nessun Paese civile ha inteso evacuare. Poche ore fa, un barcone con cento migranti è stato fermato e ricondotto in Libia, terra di conflitto, dalle motovedette della sedicente guardia costiera locale. I profughi, che tentavano di lasciare il teatro di una guerra, sono stati sbarcati a Khoms mentre a Tripoli si continua a sparare con armi di ogni calibro. Altri 214 sono stati fermati e riportati indietro ieri, con conseguente nuovo tentativo di mantenerli reclusi durante una guerra che si sta consumando proprio nelle zone in cui si trovano i centri di detenzione per migranti.

La nave della Marina Militare italiana aveva ieri salvato 36 persone, oggi sbarcate al molo militare della Nato, ad Augusta, mentre a Lampedusa la nave Ong Mare Jonio sbarcava altre 30 persone soccorse nella stessa giornata. Il flusso delle partenze era ormai evidentemente aumentato e, considerata la situazione in cui versa la Libia, si tratta di profughi prescindendo dalla originale nazionalità. Nel Mediterraneo, grazie alla propaganda del ministro dell’Interno italiano, la caccia alle streghe aveva portato l’Unione europea a rompere la missione Sophia – limitandola ad un monitoraggio aereo – e le Ong che avevano resistito agli attacchi del precedente titolare del Viminale si sono ritrovate fuori zona soccorso per varie azioni anti “vicescafisti”. Come preteso da Matteo Salvini, il superministro italiano che prende decisioni anche per i colleghi della Difesa, dei Trasporti e degli Esteri, nel Mediterraneo centrale dovevano rimanere soltanto i libici. Fino a ieri, nel caso della nave della Ong Mediterranea Saving Humans, il messaggio era l’invito a contattare le autorità libiche per sapere dove sbarcarli.

Ancor prima che la nave Mare Jonio lanciasse una cima da fissare intorno ad una delle bitte del porto di Lampedusa c’erano i titoli sui giornali che davano il rimorchiatore sotto sequestro. Nel pomeriggio però, dopo ore dalle prime pagine che assecondavano i tweet del ministro Salvini, alla Mare Jonio non era ancora stato notificato alcun disposto della Procura. La nave però è stata costretta a operare un immediato tentativo di chiusura operazione di salvataggio. Perché la collaborazione tra l’MRCC di Roma e le Ong, tra la Guardia Costiera e le navi da soccorso umanitario, non funziona più. Nel Mediterraneo centrale quindi non c’erano navi disponibili ad un celere intervento in soccorso del barcone che chiedeva aiuto ad Alarm Phone. “Più di 100 vite a rischio, incluse 24 donne e 8 bambini! Abbiamo ricevuto una chiamata stamattina da una barca partita dalla Libia. Comunicazione difficile per segnale debole. Abbiamo chiamato Guardia Costiera appena abbiamo ottenuto posizione GPS. La cosiddetta Guardia Costiera Libica non risponde”. Lo scriveva su Twitter questa mattina Alarm Phone che, poco dopo, faceva seguire un altro tweet: “Le persone a bordo sono in panico. Il motore è in avaria. Sono vicini alla costa libica ma non possono muoversi. La @guardiacostiera italiana ci ha detto che la c.d. Guardia Costiera Libica è stata informata.”

La Guardia Costiera libica è stata informata. Questo è il limite di operatività a cui è stata ormai costretta la Guardia Costiera italiana e l’MRCC di Roma. Poi, come un fulmine a ciel sereno, è arrivata la notizia del naufragio di un barcone a largo dell’isola tunisina di Kerkennah, sulla rotta zero di chi salpava da Zawiya o Sabrata e cercava di navigare rasentando il confine con le acque territoriali della Tunisia. Sedici superstiti ed un numero imprecisato di morti e dispersi che supera comunque quello di cinquanta vite umane. Gli unici sopravvissuti devono la loro vita ad imbarcazioni civili, quelle dei pescatori tunisini. Quelli accolti dal cimitero liquido del Mediterraneo centrale devono la loro morte a chi continua a dire che meno partenze equivale a meno morti e che per questo le Ong devono essere perseguite. Oggi però una nave da soccorso, una Ong, dalle parti di Kerkennah – a sud di Lampedusa – non sarebbe dispiaciuta a nessuno. Forse neanche al ministro dell’Interno italiano Matteo Salvini. Oggi, forse, il ministro potrebbe anche riuscire a capire che salvare vite umane non è un crimine.

Mauro Seminara: Giornalista palermitano, classe '74, cresce professionalmente come fotoreporter e videoreporter maturando sulla cronaca dalla prima linea. Dopo anni di esperienza sul campo passa alla scrittura sentendo l'esigenza di raccontare i fatti in prima persona e senza condizionamenti. Ha collaborato con Il Giornale di Sicilia ed altre testate nazionali per la carta stampata. Negli anni ha lavorato con le agenzie di stampa internazionali Thomson Reuters, Agence France-Press, Associated Press, Ansa; per i telegiornali nazionali Rai, Mediaset, La7, Sky e per vari telegiornali nazionali esteri. Si trasferisce nel 2006 a Lampedusa per seguire il crescente fenomeno migratorio che interessava l'isola pelagica e vi rimane fino al 2020. Per anni documenta la migrazione nel Mediterraneo centrale dal mare, dal cielo e da terra come freelance per le maggiori testate ed agenzie nazionali ed internazionali. Nel 2014 gli viene conferito un riconoscimento per meriti professionali al "Premio di giornalismo Mario Francese". Autore e regista del documentario "2011 - Lampedusa nell'anno della primavera araba", direttore della fotografia del documentario "Fino all'ultima spiaggia" e regista del documentario "Uomo". Ideatore e fondatore di Mediterraneo Cronaca, realizza la testata nel 2017 coinvolgendo nel tempo un gruppo di autori di elevata caratura professionale per offrire ai lettori notizie ed analisi di pregio ed indipendenti. Crede nel diritto all'informazione e nel dovere di offrire una informazione neutrale, obiettiva, senza padroni.
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