Libia, raid aerei a 300 Km da Italia

Le operazioni contrapposte “Diluvio di Dignità” e “Vulcano di rabbia” hanno alzato il livello dello scontro su Tripoli con raid aerei e lancio di missili che non hanno rispettato la tregua di due ore chiesta dalle Nazioni Unite. Le forze di Haftar hanno raggiunto una postazione ad 11 chilometri da Tripoli dopo aver conquistato l’aeroporto di Mitiga ed aperto il varco con raid aerei. Imposta la No Fly Zone sulla Libia. Italia e USA hanno evacuato personale civile dell’Eni ed agenti dell’intelligence americani

Un veicolo delle forze di Haftar distrutto da raid di Tripoli (Credit: Social media/Web)

Mentre in Italia si discute di soluzioni per i rom e si battibecca su un bilancio dello Stato che non quadra per far rientrare, in piena recessione economica nazionale, la flat tax promessa in campagna elettorale, in Libia la guerra è scoppiata ed infuria con lancio di missili e raid aerei alle porte della capitale ormai assediata. Il premier italiano, Giuseppe Conte, ha dichiarato alla stampa nazionale che tutto sommato si aspettava una simile escalation. Il vicepremier Salvini, agli stessi microfoni nazionali, ha affermato di sperare in una soluzione di diversa natura; omettendo però un’opinione in merito al cambio di stato del flusso migratorio dalla Libia. Il bilancio degli scontri è già a 21 morti e 27 feriti, ma non sono stati forniti dal Ministero della Salute libico di Tripoli dettagli sulla condizione delle vittime, se combattenti o civili.

“Lascio la Libia con un cuore pesante e profondamente preoccupato”, aveva scritto venerdì su Twitter il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres andando via dalla Libia dopo il fallito tentativo di soluzione diplomatica in un incontro con Haftar. “Spero ancora che sia possibile – proseguiva il tweet di Guterres – evitare un sanguinoso confronto a Tripoli e dintorni. L’ONU si impegna a facilitare una soluzione politica e, qualunque cosa accada, l’ONU si impegna a sostenere il popolo libico”. Le testimonianze raccolte sul campo dall’agenzia Reuters confermano i raid aerei alle porte sud di Tripoli. Ahmed Mismari, portavoce del LNA, l’Esercito Nazionale Libico del Generale Khalifa Haftar, ha dichiarato che “l’aviazione ha preso parte per la prima volta alle operazioni militari”. L’operazione, che secondo Mismari ha avuto successo, ha aperto la strada alle truppe di terra dall’aeroporto internazionale – adesso sotto il controllo di Haftar – verso il centro di Tripoli.

La tregua di due ore chiesta dalle Nazioni Unite per far allontanare i civili non è stata rispettata e la battaglia è uno scontro senza quartiere in cui il destino della capitale della Libia sembra ormai segnato. Le truppe dell’LNA, dopo i raid aerei apripista sulla strada dell’aeroporto, hanno raggiunto il distretto di Khalat Furgan e si sono quindi già spinte fino a 11 chilometro dal centro di Tripoli. I palazzi del Governo presieduto da Fayez al-Serraj sono ormai sotto assedio e i partner economici come l’Italia – e l’ENI – hanno già evacuato ogni presenza con passaporto italiano. Anche gli Stati Uniti hanno abbandonato il territorio, allontanando anche i propri agenti dei servizi, segno che si sono completamente interrotti i rapporti tra l’intelligence americana e le forze della Cirenaica sotto il dominio del Feldmaresciallo di Bengasi, il “Mushir” Khalifa Haftar, si sono completamente rotti e per gli agenti ed i funzionari a stelle e strisce il territorio non è più sicuro.

Al “Diluvio di Dignità”, nome convenzionale dell’operazione di attacco delle forze di Haftar, si sta opponendo l’operazione “Vulcano di rabbia” delle forze di Tripoli. Gli scontri sono ad alto potenziale e le milizie sono tutte impegnate sul campo a sostegno dell’una o dell’altra fazione. Gli unici che in questo delicatissimo momento non possono abbandonare il territorio, oltre ai civili libici poco abbienti, sono gli operatori delle organizzazioni governative ed i migranti di cui dovrebbero occuparsi; tutti imprigionati nei centri di detenzione. La stima era di oltre 16mila persone rinchiuse nei lager, governativi e “privati”, per volontà europea ed in particolare per dar seguito agli accordi con l’Italia sul controllo dei flussi migratori. Le politiche sul contenimento delle partenze avevano prodotto una mutazione dello sfruttamento da parte dei carnefici libici: se prima il business era la traversata verso l’Europa dei barconi, i cosiddetti “viaggi della speranza”, la recente forma di traffico umano era divenuta lo sfruttamento degli schiavi, la loro compravendita, la segregazione e la tortura per ottenere riscatti dai famigliari.

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