Stragi nascoste e costruzione dell’odio. Perchè l’Italia non è più un “porto sicuro”

La guerra dichiarata alle ONG non ha ancora eliminato i testimoni di strage, di quella strage quotidiana che è il frutto degli accordi con la Libia e delle ultime decisioni del governo italiano di chiudere i porti e di trasferire alle autorità libiche il coordinamento degli interventi di ricerca e soccorso in una vastissima area di mare identificata solo sulla carta come “zona SAR libica”

di Fulvio Vassallo Paleologo

La guerra dichiarata alle ONG non ha ancora eliminato i testimoni di strage, di quella strage quotidiana che è il frutto degli accordi con la Libia e delle ultime decisioni del governo italiano di chiudere i porti e di trasferire alle autorità libiche il coordinamento degli interventi di ricerca e soccorso in una vastissima area di mare identificata solo sulla carta come “zona SAR libica”. Quanto siano operativi i mezzi libici in questi interventi, lo dimostrano le centinaia di vittime registrate sulla rotta del Mediterraneo Centrale dal 28 giugno 2018 e lo conferma ancora una volta il tragico ritrovamento di un relitto con una sola superstite, un cadavere di una donna e di un bambino, avvenuto nel corso dell’ultima missione della ONG spagnola Open Arms, con una imbarcazione dello stesso nome e con il veliero Astral, appartenente alla medesima organizzazione.

Secondo Open Arms, “la guardia costiera libica ha annunciato di aver intercettato (tra il pomeriggio del 16 luglio e la notte tra la domenica e lunedì 17 scorso, n.d.a.) una barca con 158 persone a bordo alla quale ha fornito assistenza medica e umanitaria. Quello che non ha detto è che hanno lasciato due donne e un bambino a bordo ed hanno affondato la nave perché non volevano andare sul pattugliatore libico”.

Le prove su quanto dichiarato da Open Arms non mancano. E sono inconfutabili, con tracciati e comunicazioni radio registrate. Eppure il governo italiano non le esibisce, e si affida al servizio televisivo, ancora in fase di montaggio, di una giornalista straniera, per contestare le accuse di Open Arms. Ma questa volta c’è anche la testimonianza diretta di una sopravvissuta. Prove che la magistratura spagnola saprà valutare senza tesi preconcette. La testimonianza della giornalista tedesca, “testimone terzo” secondo Salvini, rimette in crisi la confusa ricostruzione fornita dalla Guardia costiera di Tripoli.

The Libyan Naval Forces of GNA have refuted the accusations made by Proactiva Open Arms organization, that the Tripoli-based Libyan Coast Guard abandoned three people fighting death in the Mediterranean Sea.

“The Coast Guard saves and maintains human life, despite the lack of equipment and difficult conditions,” the GNA Libyan navy said in a statement on Tuesday.

The statement said that the Tripoli-based Coast Guard is doing its best to save people and that it has no cupidities, nor agendas except the national agenda and the human spirit that is part of its beliefs.

A group of migrants have accused the Tripoli-based Libyan Coast Guard of abandoning three people in the Mediterranean, including a woman and a toddler who died after 160 migrants from Europe were intercepted near the shores of North Africa.

The organization, “Proactiva Open Arms” a Spanish rescue group, who found, on Tuesday, one woman alive and another one who was dead; in addition to the body of a toddler amid the remains of a ship of illegal migrants destroyed 80 nautical miles from the Libyan coast.

The Tripoli-based Coast Guard explained that a response would be issued later by the Navy Media Office, in which they will give details of the incident.

Né i successivi chiarimenti forniti dalle autorità libiche, né le dichiarazioni del governo italiano, e neppure le anticipazioni sulle dichiarazioni della giornalista tedesca imbarcata con un collega libico a bordo della motovedetta partita da Tripoli hanno scalfito la ricostruzione offerta dalla ONG Open Arms, confermandola anzi in diversi punti, che il governo italiano aveva messo in dubbio. A distanza di giorni né le autorità libiche, né il governo italiano hanno fatto chiarezza sull’accaduto, rinviando ad un fantomatico servizio della televisione tedesca RTL, le cui anticipazioni confermano più le denunce di Open Arms che le insinuazioni velenose di Salvini o le ammissioni parziali del portavoce della Guardia costiera libica, brigadiere Qacem secondo cui, “probabilmente alcuni migranti, tra cui donne e bambini, sono annegati prima dell’arrivo delle motovedette”. Ma allora perchè i libici non hanno prestato soccorso ai tre poveri esseri umani poi rinvenuti dagli operatori di Open Arms a bordo del relitto abbandonato in alto mare? Se i soccorsi non fossero arrivati tanto in ritardo, almeno un bambino si sarebbe potuto salvare.

Unico dato certo la totale lacunosità delle ricostruzioni ufficiali, che ha alimentato equivoci e falsi alibi. Uno o due soccorsi che siano stati, i libici, con il portavoce della Guardia costiera di Tripoli Qacem, ammettono di essere entrati in attività sullo stesso gommone ormai distrutto, poi raggiunto da Open Arms a 80 miglia dalla costa in acque internazionali. Dove lo scorso anno potevano operare le navi delle Ong sotto il coordinamento della Guardia costiera italiana. Non si è trattato di certo di un naufragio accidentale, non sono stati rinvenuti altri cadaveri in mare, oltre i due (un bambino ed una donna) rimasti attaccati alle tavole del gommone sul quale si trovava l’unica superstite.

Adesso la Open Arms e la più piccola Astral sono sulla rotta per la Spagna, l’Italia ha dimostrato di non offrire più porti sicuri. Non sono le Ong che fuggono da Salvini, è Salvini che si nasconde, dopo avere minacciato, e fugge dalla vertità, dopo che la sua testimone chiave, una testimone definita come “terza”, la giornalista tedesca imbarcata a bordo di una motovedetta libica, per dimostrare all’Europa quanto sono umani i soccorsi ( meglio le intercettazioni) effettuate dai libici sotto coordinamento italiano ( lo scrivono anche i giudici), ha raccontato tutto il disumano a cui ha assistito, compresa la morte di una neonata proprio tra le sue braccia.

“Una bambina della Costa d’Avorio è morta, ma lo si è scoperto solo a bordo della nave libica, perché la mamma l’ha tenuta per tutto il tempo tra le braccia in gommone senza dire che fosse morta. Probabilmente temeva che se lo avesse detto, avrebbero buttato il suo corpo in mare”. Lo ha detto all’ANSA Nadja Kriewald, la giornalista tedesca di N-tv presente sulla nave della guardia costiera libica al momento del salvataggio di lunedì notte.

Il tentativo di creare una serie di fake news attraverso un servizio giornalistico internazionale (della rete televisiva tedesca RTL Plus) si è trasformato in un documento di narrazione dell’orrore, chiarendo circostanze tenute nascoste dai libici, come la morte di una bambina, scoperta durante il soccorso che sarebbe stato espletato dalla motovedetta su cui si trovava la giornalista tedesca con un collega libico. Una cronaca che dimostra le conseguenze delle politiche di sbarramento dei porti e di interdizione dei soccorsi, portate avanti dal governo italiano.

La delega delle attività di soccorso ad una sedicente “Guardia costiera libica” che dispone soltanto di quattro unità di altura in grado di effettuare attività SAR, su un vastissimo tratto di mare, costituisce una vera e propria complicità in quelle che si possono definire come stragi annunciate. Ed altre se ne verificheranno nei prossimi giorni, se non si metterà un freno alla politica del governo italiano. Se non lo faranno i giudici nazionali o le corti internazionali, dovrà intervenire l’Unione Europea, come si è già verificato con l’Ungheria di Orban. L’Unione Europea non può continuare ad essere indifferente rispetto a queste stragi, o cessa di esistere. Occorre predisporre al più presto una grande missione internazionale di soccorso umanitario nel Mediterraneo centrale, la rotta più pericolosa del mondo. E poi si potrà anche discutere di redistribuzione dei naufraghi tra i diversi paesi europei. I soccorsi in mare e la conseguente individuazione dei punti di sbarco, i cosiddetti POS (place of safety) non devono essere usati come argomento di ricatto per modifiche sempre più improbabili al Regolamento Dublino o alle missioni delle navi di Eunavfor Med.

Tanti vedono, ma nessuno interviene. Ormai, sulla rotta del Mediterraneo Centrale, i gommoni navigano per giorni prima di essere soccorsi, una tortura per chi rimane a bordo sotto un sole cocente, spesso senza acqua e cibo sufficiente. L’allontanamento delle ONG, testimoni scomodi, con il contestuale ritiro più a nord delle navi delle missioni militari europee e della Guardia costiera italiana, sta comportando rischi sempre più elevati per chi intraprende la traversata, che sempre più spesso si conclude con un naufragio. Non è lotta ai trafficanti, ma l’omissione di soccorso praticata come arma di deterrenza.

Tutto ciò mentre la Commissione Europea, l’ONU, la Corte Europea dei Diritti Umani e l’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri ribadiscono che la Libia non è un paese che può garantire luoghi sicuri di sbarco (POS – Place of safety), in accordo con quanto impone il diritto internazionale. Tutti sanno cosa sono i centri di detenzione in Libia, anche quelli gestiti dalle milizie governative. In tutti i centri di detenzione per migranti ritenuti tutti “illegali”, bambini e donne incinta compresi, si ripetono abusi e sevizie che sono confermati dall’esame dei corpi dei migranti che riescono comunque a fuggire da quell’inferno.

Il preteso riconoscimento internazionale di una zona SAR libica ed il conseguente disimpegno delle autorità italiane di coordinamento dei soccorsi che fino al 28 giugno avevano garantito, anche nei casi più critici, come nella vicenda della nave Aquarius, un minimo coordinamento delle attività di ricerca e soccorso (SAR), si stanno traducendo in una lunga serie di tragedie in mare. Tragedie dovute alla inadeguatezza dei mezzi della sedicente “Guardia costiera libica” ed all’assenza di una vera Centrale di coordinamento libica a Tripoli, dove il governo Serraj non controlla neppure l’intera città. Le motovedette che l’Italia dovrebbe fornire alla Libia (appena due in grado di reggere una navigazione di altura, su 1700 chilometri di coste), non arriveranno a Tripoli prima di ottobre, lo scrivono i media libici, lo nascondono tutti in Italia ad un opinione pubblica che si sta educando all’odio sulla base degli annunci di misure draconiane che rivelano tutti i giorni la loro inefficacia ed il loro costo umano.

Rimangono alcuni interrogativi su questa ultima tragedia scoperta grazie alla presenza dei mezzi di Open Arms. Altrimenti nessuno ne avrebbe saputo nulla. Una spiegazione della guerra contro le ONG che si combatte da oltre un anno con la diffusione di notizie false e con pesanti attacchi politici. Ormai è tempo di rispondere con argomenti e prove ad insinuazioni che non hanno trovato riscontro neppure sul piano giudiziario. Riccardo Gatti, portavoce dell’organizzazione Proactiva Open Arms, ricorda che il 16 luglio, mentre era al timone del veliero Astral, navigando nel canale di Sicilia, per tutto il giorno ha ascoltato alla radio una conversazione tra un mercantile e la guardia costiera libica, parlavano di due gommoni in difficoltà a circa 80/84 miglia dalle coste libiche. Il mercantile Triades diceva di essere stato allertato dalla guardia costiera italiana e chiamava la guardia costiera libica per intervenire in soccorso dei gommoni. Le imbarcazioni con i migranti a bordo sembravano partite da Khoms, una città a est di Tripoli. La conversazione tra il mercantile Triades, diretto a Misurata, e la guardia costiera libica è andata avanti per molte ore. I volontari della Open Arms hanno ascoltato la conversazione alla radio.

Poi in serata la guardia costiera libica ha detto al mercantile di ripartire perché sarebbero intervenute le motovedette libiche. “Quello che ipotizziamo è che i libici siano intervenuti, ma non riusciamo a spiegarci cosa sia successo perché abbiamo trovato i resti di un gommone affondato, due morti e solo un sopravvissuto”, dice Gatti. “Non sappiamo che pensare: chi ha distrutto i gommoni in questo modo? E perché queste persone sono state lasciate morire di freddo attaccate a una tavola?”

Che ruolo ha avuto la Marina militare italiana presente a Tripoli con la missione Nauras nell’indirizzare le motovedette libiche nel luogo del naufragio a 80 miglia dalla costa? I libici da soli non ci sarebbero mai arrivati. Chi ha dato ordini al mercantile Triades di non fermarsi, nella tarda serata del 16 luglio, per fornire i soccorsi e gli ha intimato invece di proseguire la sua rotta per Misurata? Esiste una Centrale di coordinamento dei soccorsi in mare (Mrcc) libica come richiesto dalle Convenzioni internazionali? Erano presenti nella zona dei soccorsi, a 80 miglia dalla costa di Homs, navi della missione Themis di Frontex, o mezzi della missione Eunavfor Med? Che ruolo ha avuto in questa vicenda la Centrale operativa della Guardia costiera italiana, Imrcc, che fino a pochi mesi fa coordinava le operazioni Sar in quel tratto di mare?

Dopo le menzogne dei libici e di Salvini ed i tentativi di depistaggio, verrà il tempo degli accertamenti giudiziari su dati inconfutabili come tracciati satellitari e comunicazioni radio. E vedremo chi sono i responsabili di strage, ed anche chi ha coperto il loro operato, o lo ha facilitato. Gli italiani che danno ragione a Salvini solo perché ha incassato milioni di voti, garantendo che avrebbe bloccato gli arrivi dalla Libia, già crollati per effetto delle politiche di Minniti, sono come quegli elettori che nel secolo scorso permisero al fascismo di andare al potere attraverso le elezioni. Ci volle una guerra mondiale e milioni di morti per fare capire loro le conseguenze di quella scelta. L’odio che si sta diffondendo in questi mesi in tutto il paese sarà un fattore di destabilizzazione senza precedenti.

Non si tratta più di singoli incidenti. Il disumano si rinnova tutti i giorni, mai tante stragi in così poco tempo. Gli effetti delle politiche di sbarramento della rotta del Mediterraneo centrale non fermano gli scafisti né colpiscono i trafficanti, ma producono effetti a catena, da Malta alla Tunisia.

A Malta sono arbitrariamente sequestrate tre navi delle ONG ed il comandante della Lifeline è ancora sotto processo, altri mezzi sottratti alle attività di soccorso, che avrebbero potuto salvare almeno una parte dei migranti che sono invece annegati in questi ultimi due mesi. Mesi nei quali si è avuto il tasso più alto di vittime per migrante. Uno su sette è annegato, tra quelli che sono partiti dalle coste libiche, caricati a forza dai trafficanti su mezzi stracarichi che avrebbero dovuto essere soccorsi quanto prima possibile, cinque volte di più della percentuale dello scorso anno, dietro le cifre, tragedie che gli europei fingono di ignorare, come nel secolo scorso si ignoravano i lager nazisti.

Ed ancora in queste ore, per effetto delle decisioni del governo italiano, si sta verificando l’ennesima crisi umanitaria a bordo di un mercantile, il SAROST, fermo da giorni all’ancora, al largo della costa tunisina. Il Sarost è bloccato dai divieti di Malta, Tunisia ed Italia, che vietano al rimorchiatore di entrare nelle loro acque territoriali per fare sbarcare alcune decine di naufraghi soccorsi da un barcone alla deriva in alto mare. Una vicenda che dimostra ancora una volta la impraticabilità delle proposte europee, sostenute anche dal governo italiano, di creare i cd. “disembarkation point” nei paesi del Nord Africa, per legittimare quei respingimenti collettivi che rimangono interdetti dopo la condanna dell’Italia sul caso Hirsi, pronunciata dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo nel 2012. Quei punti di sbarco non li vuole proprio nessuno dei paesi nordafricani.

Si moltiplicano così i crimini contro l’umanità, già accertati con numerosi riscontri documentali e testimoniali nella sessione di Palermo del Tribunale Permanente dei Popoli, un organismo della società civile, che ha raccolto però prove che potranno avere riscontro in futuri processi. Nulla sarà dimenticato, nessuno potrà dire, io non sapevo.

La Open Arms sceglie di dirigersi verso le coste spagnole

La Open Arms chiede alla MRCC spagnola di assumere il coordinamento dell’operazione SAR che ieri mattina ha portato al recupero dei corpi senza vita di una donna e di un bambino di pochi anni; e al salvataggio di una superstite del naufragio di lunedì sera.
La richiesta nasce dalla considerazione che l’ipotesi di approdare in un porto italiano – la possibilità di Catania è stata comunicata solo alle ore 23:04 di martedì – presenta comunque molteplici fattori critici. Il primo è costituito dalle dichiarazioni del ministro dell’interno italiano, Matteo Salvini, che ha definito “Bugie e insulti” la documentazione da noi offerta attraverso la pubblicazione delle tragiche immagini dell’area di mare dove è avvenuta l’operazione condotta dalla Guardia Costiera libica.

Risulta incomprensibile, poi, perché la disponibilità iniziale ad accogliere la donna in stato di grave ipotermia non sia stata accompagnata dalla stessa disponibilità per i due cadaveri ritrovati. Ancora, il reiterato annuncio di una sorta di contro inchiesta o contro versione rispetto alla probabile dinamica dei fatti accaduti lunedì sera, inducono preoccupazione rispetto alla tutela della donna sopravvissuta e della sua piena libertà di rendere testimonianza in condizioni di tranquillità e di sicurezza.

Tutto ciò mentre la Commissione Europea, l’ONU, la Corte Europea dei Diritti Umani e l’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri ribadiscono che la Libia non è in alcun modo un paese sicuro.
Per tutte queste ragioni abbiamo deciso di indirizzare le nostre navi verso le coste spagnole.

Tripoli, 17 lug 19:14 – (Agenzia Nova) – Le accuse di lasciar annegare i migranti nel Mediterraneo rivolte alla Guardia costiera libica “sono false e inesatte”. Lo ha detto ad “Agenzia Nova” il portavoce della Marina militare libica, Ayoub Qasem, rispondendo alle affermazioni dell’organizzazione non governativa spagnola Proactiva Open Arms.
Nella giornata di oggi, l’ong ha accusato la Guardia costiera libica di aver lasciato annegare una donna e un bambino che si erano rifiutati di salire sulle motovedette. “La Guardia costiera libica ha detto di aver intercettato una barca con 158 persone fornendo assistenza medica e umanitaria, ma non hanno detto che hanno lasciato due donne e un bambino a bordo e hanno fatto affondare la barca perché non volevano salire sulle motovedette”, ha scritto il fondatore della Proactiva Open Arms, Oscar Camps, in un messaggio su Twitter corredato dalle immagini dei corpi dei migranti in mare. Per Qasem, la Guardia costiera libica ha recuperato tutti i passeggeri che erano sull’imbarcazione, in navigazione dal 14 luglio, prima di distruggerla. “Nessun migrante è rimasto in mare”, ha sottolineato il portavoce della Marina libica. Qasem ha quindi dichiarato che “probabilmente alcuni migranti, tra cui donne e bambini, sono annegati prima dell’arrivo delle motovedette”. Il portavoce della Marina libica ha poi elogiato la posizione dell’Italia contraria alle attività di salvataggio in mare svolte dalle ong nell’area di ricerca e soccorso di competenza della Libia. L’operato delle organizzazioni non governative, ha sottolineato Qasem, “ostacola l’attività della Guardia costiera libica”. Infine, Qasem ha chiesto un maggiore sostegno alla Guardia costiera libica per metterla in condizione di svolgere i propri compiti in mare.

“Comunicato Stampa della Tv tedesca RTL rispetto al naufragio avvenuto nella notte del 16-17 nel mare antistante la Libia, circa 80 miglia nautiche dalla costa, precedente di circa 8 miglia al recupero delle due salme, madre e figlia e donna sopravvissuta Intorno SALVATA alle ore 7 del mattino del 17-7-2018 approssimativamente nello stesso punto mare.”
A bordo del Vascello della Guardia Costiera Libica era la nostra collega Nadja Kriewald.
Qui il suo racconto.
Dramma a bordo di nave al largo della costa libica
n-tv giornalista Nadja Kriewald
Colonia, 18/07/18: Lunedi ‘, la guardia costiera libica ha ricevuto alle 17 un SOS per soccorrere un “barca con oltre 100 persone.” La guardia costiera libica ha inviato il “Ras Jedir” per soccorrere le persone a circa 80 miglia nautiche dalla costa, con Nadja Kriewald unica giornalista occidentale a bordo.
Nadja Kriewald
“Siamo saliti a bordo della nave della Guardia costiera libica lunedì pomeriggio. Poi siamo stati in viaggio circa cinque ore fino ad arrivare ad un gommone. Pensavamo che fossero stati in viaggio solo per poche ore. Mentre ci avvicinavamo, ma abbiamo notato forte odore di feci e urine, così hanno dovuto essere lì per giorni. In realtà, erano tre giorni senza acqua, senza cibo a bordo di questa barca gonfiabile. La gente stava morendo di sete e sapevano che sarebbe stata la sua morte certa se fosse stato ancora un altro giorno in mare. Erano così scoraggiati quando sono venuti a bordo e gli hanno detto che si trattava di un mezzo libico e non di una nave europea, che erano ancora contenti di essere stati salvati “.
“Queste erano scene indescrivibili. C’erano donne a bordo che non potevano più camminare. Erano completamente disidratati, i bambini erano già completamente apatici. A me stessa è stato gettato un neonato nel braccio ed io stavo pensando che ha urgente bisogno di acqua, perchè sopravvivesse. In effetti, il bambino era morto da tempo. “
Sull’azione delle forze libiche:
“Erano scene indescrivibili e così controverso della guardia costiera libica è al solito, gli uomini con i quali ero a bordo – e non c’erano milizie, erano marinai – che hanno fatto veramente un buon lavoro. Potrei osservarlo da solo. Alcuni dei bambini sono state salvati con respirazione bocca a bocca. L’equipaggio ha provato di tutto per salvare le persone. Gli uomini erano molto compassionevoli”.

Articolo di Fulvio Vassallo Paleologo per ADIF – Associazione Diritti e Frontiere reperibile su www.a-dif.org
(Contenuto concesso dall’autore a Mediterraneo Cronaca)

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