Un biglietto per la “vita”. Solo andata grazie

Rubrica di racconti, ricette e gusto a cura Samantha Scala

di Samantha Scala

Vi avevo promesso una storia. Proverò a raccontarvela con la stessa sincerità e lo stesso cuore con cui l’ho ascoltata.
Firenze, fine anni 90. Gli studenti di un istituto odontotecnico accolgono con entusiasmo il nuovo insegnante tanto pugliese quanto controcorrente. Rispetto ed affiatamento erano trama e ordito, tessuti in uno straordinario equilibrio; lo stesso che faceva da scenografia agli spettacoli rappresentati con “I Mercanti di parole” prima e “I fuori scena” dopo. Il Prof era poi un impeccabile arbitro di calcio, faceva volontariato e anche la spola tra Firenze e Cuba. Cuba sì.
Cos’avranno in comune Firenze e Cuba?
Nulla. Se non Alessandro. Ah, è così che si chiama il “Prof”: Alessandro.
I fondamenti di odontoiatria dispensati ai ragazzi durante l’inverno fiorentino, cedevano il testimone ai consigli elargiti ai turisti nelle estati della caliente Cuba.
Eh sì, perché Alessandro a Cuba era ormai “di casa”. La perfetta padronanza della lingua spagnola, l’intraprendenza, la solarità e la grande capacità comunicativa, avevano trasformato il simpatico professore “terrone”, nella guida turistica che chiunque vorrebbe trovarsi di fronte una volta atterrato dall’altra parte del mondo.
Ció accadeva a Natale, a Pasqua, d’estate. Ogni Natale, ogni Pasqua, ogni estate.
Per anni.
Fino a quando avviene qualcosa.
Era nella “sua” splendida Cuba quando Alessandro assiste a qualcosa di forte. Forte e terribile insieme. Ne sconosco i dettagli. Non mi sono serviti. Mi sono bastati i suoi occhi e le sue parole:
– Ho capito, soltanto in quel momento, quanto possa essere effimera la vita; un istante prima esisti, quello dopo…non ci sei più. –
Era il mese di maggio. Niente più spole, niente più teatro, volontariato, partite di calcio. Niente più studenti…niente più Italia.
Niente più Cuba.
Solo un biglietto di andata verso posti sconosciuti. Gli stessi della sua anima sconvolta.
Luoghi del mondo e dello spirito da dover esplorare per provare a comprendere, forse; dare un senso alle cose, per provare a vivere. Vivere “davvero”.
Inizia così il suo viaggio. Un’avventura senza alcuna certezza se non quella di un cuore che sente ancora battere nel suo petto.
Non gli serve altro. Non ha bisogno di nient’altro per partire.
Marciapiede dell’aeroporto internazionale di Cancun, uno zaino in spalla, al caldo umido è già temprato. Otto anni, 9 paesi. I 4000 chilometri che li attraversano diventano la sua casa: dal Messico all’Honduras, al Nicaragua, al Guatemala, Costa Rica, Belize, El Salvador, Panama, Colombia: la natura incontaminata, le scimmie che gli saltano accanto e un coccodrillo che attraversa la strada sterrata.
Otto anni senza mai lo stesso tetto sulla testa, con tante spiagge come giaciglio e infiniti visi, semplici e poveri, a cui regalare un sorriso.
Bastava poco. Bastava arrivare con un bus degli anni ’60 carico di patate o trovare il coraggio di strappare via un dente dolente senza anestesia. Tutto. Tutto ciò in cui si imbattesse gli donava “vita”.
Così, quell’esistenza precaria si faceva forte, prepotente. E il suo battito era ormai diventato un concerto, colonna sonora di ogni passo, su e giù per 8 anni, 9 paesi, 4000 chilometri.
Era pronto? Pronto a tornare? Forse. Durante le 12 ore di volo, stringe tra le mani un piccolo sacchetto e sorride.
Rivede Juan Alberto e Reina che con il sorriso e l’accoglienza unica dei messicani, gli mostrano il giardino sul retro della propria umile casa: uno spettacolo meraviglioso, un tripudio di colori. Non aveva mai visto tanta esplosione di natura. Non erano fiori. Erano piccoli, grandi, rossi, gialli, rugosi, lisci…peperoncini tropicali. Non fiori.

Peperoncini!
Stringe ancora il sacchetto. E sorride. Di nuovo.
L’Italia che lo accoglie é immutata ma i rumori sono così forti, il ritmo è così veloce che quasi non riesce a sentire “quell’unico suono” che per lui è certezza.
Lo ritrova però nella sua Puglia; nella campagna silenziosa dei trulli di Martina Franca.
Ha solo qualche giorno per provare ad accordare luoghi e animo quando il suo passato, un malinconico e caldo passato, bussa alla sua porta.
Ha il dolce volto di Cuba, la sua semplicità, sincerità, speranza.
È insieme a lei, la bella Maday, che decide di aprire, qualche tempo dopo, il sacchetto che teneva così stretto: tanti piccoli, preziosi semi piccanti attendevano soltanto di germinare.
Ma è una sfida dura. Martina Franca è a più di 400 metri sul livello del mare e d’inverno nevica pure! È una follia.
I diffidenti pronti a scoraggiare il suo intento, hanno gran soddisfazione nel primo, totale, fallimento: nulla. Nessun germoglio a fare capolino.
Ma Alessandro non accetta sconfitte. Per questo aveva conservato alcuni dei suoi semi. Studia, analizza, si confronta. Trascorre notti insonni alla ricerca di tecniche, informazioni. Sarà lui allora a dare il giusto calore, creare le giuste condizioni.
– La casetta degli attrezzi! È perfetta per la prima germinazione!
Poi il trapianto nella porzione di terra più al riparo…
Gli sarebbe bastata una piantina, magari un paio.
E invece tornó presto a quel giorno, a Juan Alberto e Reina, al Messico. Perché la stessa esplosione di vita colorava adesso il giardino intorno ad un trullo di Martina Franca.
Erano loro. Erano davvero loro: piccoli, grandi, rugosi, lisci, verdi, gialli, rossi, arancioni…
Un piccantissimo arcobaleno di peperoncini tropicali.
– Sono davvero troppi per poterli consumare da solo e in Italia ci sono così tanti mercatini! Qualche “temerario calabrese” magari li apprezzerà!
In una sola sera, la prima, tutto viene acquistato con inaspettato entusiasmo e in poco tempo si sparge la voce.
Fioccano richieste da ogni parte d’Italia. Alessandro coglie, come sempre, la sfida che il destino gli offre. Ordina nuovi semi, crea incroci, azzarda.
Funziona.
Io ho visto con i miei occhi che funziona.
Adesso il Prof è Alex Pepper. Produce 500 varietà di peperoncini tropicali. Ogni anno 7 mila (settemila!) piantine germogliano timide e fiere fra i trulli e, da agosto a dicembre, è festa di raccolto.
Ogni foglia è vigore che torna prepotente e ogni bitorzoluto frutto è il sorriso di un amico incontrato in quei lunghi otto anni.
È un raccolto di vita quello di Alessandro.
L’Italia e Cuba adesso non sono più i luoghi della sua staffetta ma, insieme, in un bimbo che ha il suo viso.
E sono certa che, ad ogni nuovo assaggio, mentre il suo palato brucia ardente di vita, lui ritorna lì.
Ad ascoltare il suo cuore.

Io sono romantica e malinconica ormai lo sapete.
Vi lascio il link.
Se volete “bruciare” di vita. Fateci un salto
http://www.alexpepper.it/

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