X

Via dei Georgofili, 27 maggio 1993

In copertina: via dei Georgofili, Firenze. L’immagine dei soccorsi nelle prime ore del mattino

di Roberto Greco

Tutto inizia qualche giorno prima, quando un’automobile parte da Palermo. A bordo ci sono quattro mafiosi di rango. È il 23 maggio 1993, esattamente un anno dopo l’attentatuni che uccise Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo, Vito Schifani. Si tratta di Giuseppe Barranca, Gaspare Spatuzza, Cosimo Lo Nigro e Francesco Giuliano. Al loro arrivo a Prato, una cittadina a pochi chilometri da Firenze, vengono accolti da Vincenzo Ferro, figlio del capofamiglia di Alcamo. Saranno ospitati da Antonino Messana. Prima della partenza da Palermo, Spatuzza, Lo Nigro e Giuliano, avevano confezionato quattro pacchi di esplosivo. Per la preparazione utilizzarono una vecchia casa semidistrutta situata in Corso dei Mille, messa a disposizione della famiglia mafiosa di Roccella. Un paio di giorno dopo l’arrivo a Prato dei quattro mafiosi, Pietro Carra, un autotrasportatore vicino alla famiglia mafiosa di Brancaccio, arriva a Galciana, una frazione di Prato. Spatuzza, Lo Nigro, Ferro e Giuliano lo raggiungono e, dal doppio fondo del camion, prelevano i quattro pacchi di esplosivo. I 227 chilogrammi di esplosivo sono arrivati a destinazione. Si tratta di una miscela composta da tritolo, T4, pentrite e nitroglicerina. Parte degli ingredienti sono stati estratti da residuati bellici recuperati in mare. Si tratta delle stesse tipologie di esplosivi e miscele utilizzati per la strage di Capaci.

È la sera del 26 maggio. Giuliano e Spatuzza rubano una Fiat Fiorino e la parcheggiano nel garage di Messana. L’esplosivo viene sistemato all’interno dell’auto. Giuliano e Lo Nigro prendono il Fiorino e si avviano verso Firenze. Guidano nella notte. Raggiungono il centro storico della città. Hanno studiato bene il percorso, per non sbagliare. Raggiungono via dei Georgofili. All’angolo con via Lambertesca parcheggiano. Con la codardia tipica dei mafiosi, se ne vanno. È passata da poco la mezzanotte. È il 27 maggio.

È l’1:04. La Fiat Fiorino esplode. La Torre delle Pulci, sede dell’Accademia dei Georgofili, una storica istituzione fiorentina, crolla. Nei dodici ettari circostanti l’epicentro della deflagrazione, il tessuto urbano di disgrega. Quando il fumo e la polvere si diradano, lo spettacolo che si presenta davanti agli occhi dei primi testimoni, ricorda più quello di una città devastata da una guerra che non la plasticità storica di Firenze. Crollano e vengono distrutti capolavori di inestimabile valore culturale. Ma non è tutto. Nella Torre delle Pulci, abita Angela, la custode, con la sua famiglia. Il tritolo della mafia devasta la Torre e la casa di Angela. Sotto le macerie combuste della Torre rimangono, senza vita, Angela Fiume di 36 anni, Fabrizio Nencioni di 39 anni oltre alle figlie Nadia di 9 anni e alla piccolissima Caterina, di appena 50 giorni di vita. Dario Capolicchio, ha 22 anni. Abita nell’edificio di fronte alla torre. L’esplosione ha devastato il suo appartamento e ha trasformato Dario in una torcia umana. Nelle ore successive si riscontrano danni alla Galleria degli Uffizi, poco distante e a moltissimi palazzi storici e abitazioni. Si contano anche quarantotto feriti.

Le indagini ricostruirono l’esecuzione della strage di via dei Georgofili in base alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Pietro Carra, Vincenzo e Giuseppe Ferro, Salvatore Grigoli, Antonio Calvaruso, Pietro Romeo e Vincenzo Sinacori. Nel 1998 Giuseppe Barranca, Gaspare Spatuzza, Cosimo Lo Nigro, Francesco Giuliano, Giorgio Pizzo, Gioacchino Calabrò, Vincenzo Ferro, Pietro Carra e Antonino Mangano vennero riconosciuti come esecutori materiali della strage nella sentenza per le stragi del 1993. Sulla base delle dichiarazioni di Gaspare Spatuzza, collaborante, fu possibile ricostruire anche le responsabilità dei mandanti, individuati nei partecipanti alla riunione in cui fu deciso l’attentato. Alla riunione parteciparono, oltre allo stesso Gaspare Spatuzza, Giuseppe Barranca, Giuseppe Graviano Matteo Messina Denaro e Francesco Tagliavia, finanziatore della trasferta fiorentina. Francesco Tagliavia fu condannato all’ergastolo e, da alcuni stralci delle motivazioni depositate dalla seconda Corte d’Assise di Appello di Firenze nel processo contro Tagliavia, si evince che “Lo Stato avviò una trattativa con Cosa nostra” – che – “indubbiamente ci fu e venne quantomeno inizialmente impostata su un do ut des” per interrompere la strategia stragista di Cosa nostra. E “l’iniziativa – precisano – fu assunta da rappresentanti dello Stato e non dagli uomini di mafia”.

Lo scorso 20 aprile si è concluso proprio il processo sulla “Trattativa Stato-mafia” con la Corte d’Assise di Palermo che ha condannato il boss mafioso Leoluca Bagarella a 28 anni di reclusione, il boss mafioso Antonino Cinà a 12 anni, l’ex senatore Marcello Dell’Utri e gli ex vertici del Ros Antonio Subranni e Mario Mori a 12 anni, l’ex colonnello Giuseppe De Donno a 8 anni. Condannato a 8 anni per calunnia Massimo Ciancimino mentre per quello di “falsa testimonianza” è stato assolto l’ex ministro Nicola Mancino. Per il pentito Giovanni Brusca è diversamente intervenuta la prescrizione. Aspettando di leggere le motivazioni della sentenza un altro “pezzo di verità” è stato disvelato. Nel frattempo, la procura fiorentina ha aperto una nuova inchiesta sui “mandanti occulti” dell’attentato.

Il 27 maggio 1993, il tritolo della mafia, devastò il centro storico di Firenze. Nell’attentato morirono Angela Fiume di 36 anni, Fabrizio Nencioni di 39 anni, Nadia Nencioni di 9 anni, Caterina Nencioni, di appena 50 giorni di vita e Dario Capolicchio, di 22 anni.

Roberto Greco:
Related Post