Quindici anni fa ci lasciava Alberto Sordi, con lui se ne è andata una parte di Roma

La Rubrica del Greco

In copertina: Alberto Sordi in un fotogramma tratto da “Il Marchese del Grillo” di Mario Monicelli

Era la fine degli anni ’90. Eravamo in replica all’Argot Studio, un piccolo teatro situato nel cuore trasteverino di Roma, con uno spettacolo di Massimo Martelli. La casa in cui alloggiai per tutto il periodo, si trovava in via S. Cosimato, a pochi passi dal teatro. Più volte, chiacchierando con i negozianti e gli ambulanti che frequentavano quel pezzo di città, avevo sentito dire che Alberto Sordi era nato lì. La vecchia casa era però stata distrutta prima della seconda guerra mondiale e, al suo posto, avevano costruito il Palazzo delle Sacre Congregazioni Romane. E lì, con le modifiche dovute al tempo, c’era la struttura di cui ero ospite. Albertone è morto il 24 febbraio 2003. Attore, comico, regista, sceneggiatore, doppiatore, cantate e compositore, aveva 82 anni. Nato a Roma il 15 giugno del 1920, Alberto Sordi dimostra da subito la sua predisposizione per la recitazione. Al suo rientro a Roma dopo una serie di vani tentativi di trasferirsi al Nord, comincia a frequentare Cinecittà. In quegli anni, fare la comparsa nel cinema era una delle nuove possibilità che si presentavano per le migliaia di disoccupati che gravitavano attorno alla capitale. Era il 1937 e, dopo ore interminabili di attesa fuori dai cancelli, Alberto è scelto come comparsa. Si sta girando Scipione l’Africano, il colossal in costume diretto da Carmine Gallone. Nello stesso anno la sua voce è scelta dalla Metro Goldwyn Mayer per doppiare quella di Oliver Hardy, Ollio. Fino al 1956 la sua principale attività fu di doppiatore, dando voce, tra gli altri, a Bruce Bennet, Anthony Quinn e Robert Mitchum. Lo scoppio della seconda guerra mondiale, gli fece indossare l’uniforme del Regio Esercito Italiano. Prestò servizio presso la Banda Musicale dell’81° Reggimento di Fanteria “Torino”.

“Lo sceicco bianco” di Federico Fellini (1952) – trailer

Alla fine della guerra, Albertone, inizia a lavorare alla radio e, finalmente, comincia ad avere un po’ di notorietà. Quando Alberto Sordi incontra Federico Fellini è il 1952 e ha già al suo attivo oltre venti film. Il maestro lo sceglie come protagonista per il suo “Lo sceicco bianco”. Da quel momento in poi, Alberto Sordi, ha incarnato l’italiano medio, con i suoi tic, le sue abitudini e i suoi aspetti oscuri. Tutta l’Italia ha riso di se stessa, attraverso i film di Alberto Sordi. Tutta l’Italia si è guardata allo specchio, ma si è presto dimenticata dei veri motivi che l’avevano fatta ridere, seppur amaramente.

“I nuovi mostri”  di Mario Monicelli, Dino Risi ed Ettore Scola (1977) – trailer

 

Oggi, non sarebbe più possibile. Oggi, l’italiano medio raccontato dai film che hanno visto Sordi come protagonista, non esiste più. Non si può provare simpatia per un finto moralista o per un commerciante d’armi e nemmeno per un corruttore. Già negli ultimi venticinque anni della sua lunghissima carriera, Alberto Sordi non era più riuscito a creare le maschere che rappresentavano l’italiano medio. Il 1977 è l’anno in cui Sordi interpreta sia Un borghese piccolo piccolo, diretto da Mario Monicelli, sia I nuovi mostri, diretto a sei mani da Monicelli, Risi e Scola. Dopo questi capolavori, il suo spessore, si assottiglia.

“Un borghese piccolo piccolo” di Mario Monicelli (1977) – trailer

Bisognerà aspettare il 1982 per ritrovare il Sordi italiano medio, e lo si troverà in quel Il Marchese del Grillo che è molto di più di un classico ritratto romanesco alla Luigi Magni. Onofrio del Grillo, il nome del personaggio magistralmente interpretato da Sordi, è un ruolo archeologico e riassuntivo. In lui, il maestro Monicelli, mette tutto quello che troviamo nell’uomo contemporaneo, dai giovanotti nullafacenti de I vitelloni al Guido Tersilli tratteggiato da Luciano Salce. Il suo “Io sono io e voi non siete un cazzo” è diventato, da subito, un tormentone che incarna i cattivi usi e costumi dell’italiano medio, il suo particolare rapporto con il concetto di legalità, la sua necessità di sentirsi più furbo degli altri. Romanista da sempre, Albertone è morto nella sua Roma. Durante la sua lunga carriera ha ricevuto oltre cinquanta premi, tra cui diversi alla carriera, un Leone d’Oro al Festival di Venezia, un Orso d’Oro e uno d’Argento al festival di Berlino, un Golden Globe oltre a diversi David di Donatello e Nastri d’Argento. Il tumore, che lo colpì ai polmoni nel 2001, lo costrinse a chiudersi in casa. La sua ultima apparizione in televisione risale al 18 dicembre 2001, quando fu ospite di un Porta a Porta che Bruno Vespa gli dedicò. Il 23 febbraio del 2003 Alberto Sordi perde la sua battaglia con il tumore e muore. Ai suoi funerali parteciparono oltre 250.000 persone. Albertone riposa nella tomba di famiglia, al cimitero del Verano. Le sue ultime parole, a imperitura memoria, sono scritte sulla lapide. Sono le parole che Ricciotto, il personaggio meravigliosamente interpretato da Giorgio Gobbi, ripeteva spesso al Marchese Onofrio del Grillo: ”Sor Marchese, è l’ora”.

 

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