The Post, uno Spielberg fuori forma salvato da Meryl Streep

Rubrica culturale di Roberto Greco

In copertina: La locandina di “The Post” e quella di “Tutti gli uomini del presidente”

Emulare il capolavoro di Alan Pakula è impresa difficile anche per Steven Spielberg. Il suo “The Post”, nelle sale cinematografiche italiane dall’1 febbraio, ha creato molte attese. La libertà di stampa, tematica principale del film, è argomento quotidiano.


“Tutti gli uomini del presidente”, Alan Pakula (1976) – Official trailer

Nella classifica annuale relativa al 2016 stilata da “Reporters sans Frontieres”, il nostro Paese guadagna 25 posizioni rispetto al 2015, ma rimangono ancora diversi problemi. Nel rapporto si legge: “Il livello di violenze contro i reporter in Italia è molto preoccupante. Alcuni politici non esitano a pubblicare l’identità di coloro che gli danno fastidio”. Stampa sotto attacco, quindi. “La maggior parte dei giornalisti italiani subisce pressioni. Alcuni sono minacciati apertamente dalla criminalità organizzata e dalle mafie ma, in realtà, ognuno di noi è costretto a vivere i condizionamenti e le influenze negative del sistema”, ribadisce Enrico Del Mercato, redattore capo di Repubblica Palermo che, con Salvatore Cusimano, direttore della sede Rai di Palermo e Marco Romano, vicedirettore responsabile del Giornale di Sicilia ha introdotto la proiezione del film di Spielberg la sera dell’1 febbraio scorso.

Il dibattito prima della proiezione del film. Da sx: Salvatore Cusimano, Gian Mauro Costa, Enrico Del Mercato e Marco Romano
Il dibattito iniziale, coordinato da Gian Mauro Costa, ha voluto tenere alto il livello di attenzione di tutti noi nei confronti dell’informazione, delle fake-news e del sistema di distribuzione delle informazioni in rete, monopolizzato dai nuovi network quali Google e Facebook. “Il pubblico ha bisogno di un ritorno alla qualità”, queste le parole di Salvatore Cusimano. Le stesse parole che Meryl Streep, nel ruolo di Kay Graham, usa quando il suo giornale affronta il delicato momento della quotazione in borsa. “Investire sulla qualità dell’informazione è reddituale”, sostiene Kay Graham, proprietaria del “Washington Post” alla riunione con gli azionisti. Gemma fondamentale per “The Post”, Meryl Streep, così come Kay Graham a suo tempo, ha fatto la differenza. Il suo incedere da casalinga di mezz’età della provincia americana, il percorso che porta il personaggio alla consapevolezza del proprio ruolo di editore, le permettono la costruzione di un mirabile personaggio. Ottimo il lavoro di Ann Roth, pluripremiata costumista. Ho amato tutti gli abiti indossati dalla Streep e ho ancora negli occhi almeno due paia delle scarpe che ha indossato nel film.


“The Post”, Steven Spielberg (2017) – Official trailer

Candidato a due premi Oscar, a sei Golden Globe e ad altri dieci riconoscimenti internazionali, “The Post” sarà un film ricordato più per la sua tematica che non per la regia di Spielberg che poco ha concesso ai ricchi margini della storia in cui decide di far vivere i suoi personaggi. Risulta poco tracciato il valore della Graham, prima donna editore di un grande giornale americano, che vince doppiamente, sia come editore sia come donna, dimostrando di non essere “una gallina dritta sulle zampe”. Ben tracciato, anche se in parte, uno degli altri problemi riguardanti la libertà di stampa, il dualismo tra editore e direttore. La storia dei quotidiani italiani ci ha insegnato, com’è stato ricordato nel dibattito iniziale, che la fusione in un’unica persona dei due ruoli, non ha mai portato bene alla qualità dell’informazione. “Stai superando le tue competenze”, dice Tom Hanks, che interpreta Ben Breedley, direttore del “Post”. Il suo sguardo si alza verso quello di Kay che abbassa il suo.

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