I racconti dei migranti: violenze, stupri, omicidi e uomini in divisa che li minacciano

Uomini in uniforme costringono i migranti ad imbarcarsi sotto la minaccia delle armi. Uomini venduti come schiavi. Violenze e stupri tra i migranti detenuti da aguzzini senza scrupoli in attesa di imbarco

“Sulla spiaggia le persone avevano paura di fronte al mare agitato. Ma le guardie in uniforme ci hanno puntato contro le pistole e costretto a salire”. Queste le parole di uno dei migranti a bordo del gommone soccorso nella mattina di sabato dalla Ong SOS Mediterranee e raccolte a bordo della nave Aquarius dai volontari che vi operano. Ritornano sempre, nei racconti dei migranti soccorsi nel Mediterraneo centrale, le descrizioni di uomini in non ben definite uniformi che li costringono con le armi puntate a salire sui gommoni. Una circostanza che persiste anche dopo gli accordi tra l’Italia e la Libia che avrebbero dovuto vedere gli uomini libici in uniforme a tutela dei migranti invece che manforte dei loro aguzzini. Un tredicenne della Guinea ha raccontato di aver tentato due volte di fuggire dalla Libia via mare: “La prima volta la barca si è sgonfiata, tutti urlavano, siamo tornati sulla spiaggia spinti dalle onde. La seconda volta la barca è stata fermata dagli Asma Boys, i criminali del mare, e siamo stati riportati indietro.”

A bordo di nave Aquarius ci sono i volontari di SOS Mediterranee che hanno soccorso i migranti e quelli di Medici Senza Frontiere che se ne prendono cura, ed il viaggio fino al porto sicuro indicato per lo sbarco è lungo. Durante la traversata che separa la “zona SAR” – l’area di Mediterraneo centrale a nord della Libia in cui si effettuano la maggioranza delle operazioni Search and Rescue – dalla Sicilia, i soccorsi parlano con i soccorritori e raccontano ciò che si sentono di raccontare. Come il venticinquenne camerunense che ha rivelato di preferire la morte piuttosto che tornare in una prigione libica: “Un giorno in prigione in Libia una guardia ha sparato in aria e tutti sono fuggiti. Io no. Ero sdraiato a terra, la guardia mi ha colpito alla testa con delle pietre, sanguinavo. In cella ci hanno picchiato: mani e piedi legati, appesi a testa in giù, ci hanno colpito per tre giorni sulle articolazioni. Quando gli europei venivano a visitarci le guardie ci dicevano di non parlare. Sceglievano chi mostrare agli europei. Io però ho parlato e quando sono andati via mi hanno punito trascinandomi in strada per 200 metri. Dopo le violenze, ti riportano in cella.”

Tra le inenarrabili atrocità subite in Libia, e raccolte dai volontari di bordo, c’è anche quella di una donna della Guinea che parla di stupri e di uomini venduti come i cavalli: “Ho trascorso due mesi in Libia. Eravamo fantasmi. Dovevamo nasconderci tutto il tempo. Siamo finiti in prigione diverse volte. Un uomo del gruppo con cui ero partita dalla Guinea è stato venduto per 700 dollari. Una volta un rappresentante ufficiale della Guinea è venuto nella nostra prigione per visitarla e portare delle persone all’aeroporto per rimandarle nel loro Paese. La mia amica temeva fosse un inganno e che ci avrebbero preso per torturarci, così ci siamo nascoste. Pochi giorni dopo è stata violentata e picchiata. È morta.”

Le violenze subite in Libia sono atroci psicologicamente oltre e forse più che fisicamente. Riescono ad annullare la volontà e la dignità di una persona, svuotandola, rendendola morta prima ancora che sopraggiunga la morte fisica. Forse addirittura anche a desiderare la morte rinunciando alla speranza e quindi alla vita. Questo emerge dalle testimonianze, anche dal proseguo della giovane guineana che pare abbia riportato lesioni permanenti e danni psicologici difficili da qualificare e quantificare: “Abbiamo provato in ogni modo a uscire di lì. Abbiamo scavato un buco nel bagno ma le guardie ci hanno scoperti. Abbiamo tentato di forzare la cella, con un amico eravamo quasi riusciti a scappare ma ci hanno presi mentre eravamo sulla recinzione e picchiato. Sono svenuta, ho vomitato e urinato sangue. Mi hanno colpito all’occhio e ora vedo sfocato. Non ho più osato provare a scappare, ma non avevo più paura di niente, ero già morta.”

Le testimonianze raccolte domenica a bordo della Aquarius raccontano dell’estrema gravità della situazione in Libia per migranti e rifugiati, che in mancanza di alternative sicure rischiano la propria vita in mare per fuggire da quello che chiamano inferno libico. Oggi l’urgenza assoluta è andare a salvare in mare le persone che continuano a fuggire e di accompagnarle in un luogo sicuro, dove siano protetti e dove i loro diritti fondamentali di esseri umani vengano rispettati”, ha dichiarato Sophie Beau, vicepresidente di SOS Mediterranee. Nave Aquarius venerdì è stata testimone dell’intercettazione da parte della Guardia Costiera libica di un’imbarcazione in difficoltà in acque internazionali al largo della Libia, 35 miglia nautiche dalla costa. Il natante è stato individuato da un aereo del dispositivo Eunavformed e una nave militare irlandese dell’operazione Sophia era presente nella zona dell’intercettazione. L’offerta di assistenza da parte della Aquarius, con il suo equipaggio di soccorritori professionisti, è stata rifiutata dalla Guardia Costiera libica, che ha dichiarato di coordinare l’operazione e ha intimato alla nave di SOS Mediterranee di allontanarsi dalla zona. Le persone intercettate dalla Guardia costiera libica sono state ricondotte in Libia.

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