Luigi il “divo”

Editoriale di Mauro Seminara

Luigi Di Maio è il divo, belzebù, e tutti gli altri soprannomi che erano stati affibbiati a Giulio Andreotti. Così è stato deciso. Può suscitare perplessità l’affermazione di Fabio Fazio che ospita Luigi Di Maio ed afferma, ad un certo punto dell’intervista, che il suo ospite ricorda il giovane Andreotti. Può suscitare curiosità sapere che per Bruno Vespa Luigi Di Maio ricorda il giovane Andreotti. Inizia a suscitare meno perplessità e meno curiosità, o stupore, sentire fare questo paragone anche ad altri anchorman di diverse emittenti televisive e diverse testate. Ancor meno quando si ascolta il politico di turno definire il giovane Di Maio un giovane Andreotti. L’uso della comparazione poi è trasversale. Pare che a tutti piaccia paragonare Luigi Di Maio a Giulio Andreotti. Ma perché Luigi Di Maio dovrebbe somigliare, o ricordare, obbligatoriamente Giulio Andreotti? Per comprenderlo potrebbe bastare una rassegna breve e concisa delle principali caratteristiche di Giulio Andreotti. Il divo, come da soprannome che ha dato il titolo allo splendido film di Paolo Sorrentino magistralmente interpretato da Toni Servillo, è stato sicuramente il mattatore della politica italiana nella cosiddetta “prima Repubblica”. Non è un dettaglio irrilevante. In queste ultime settimane, dalla disfatta del Partito Democratico alle regionali siciliane in poi, si è capito senza dubbio alcuno che i volti noti che si sfideranno alle prossime politiche saranno quelli di Luigi Di Maio e Silvio Berlusconi. Il primo dei due contendenti è nato nel 1986, quindi 31 anni compiuti a luglio. Il secondo di anni ne ha 81, compiuti a settembre, e rappresenta l’intera “seconda Repubblica”. Quella che il Movimento Cinque Stelle vuole mandare a casa e che è innegabilmente responsabile dello stato sociale in cui viviamo.
Come potrebbe quindi un leader – attualmente – incandidabile, immagine di copertina dal dopo “Mani pulite” ad oggi, sfidare l’inedito e giovane politico di 31 anni già eletto dal Movimento quale candidato alla Presidenza del Consiglio? In teoria non dovrebbe esserci partita. Quindi bisogna associare a Luigi Di Maio una immagine quantomeno peggiore di quella del rivale. Non solo questo, bisogna in qualche modo accorciare le distanze tra i due leader separati all’anagrafe da mezzo secolo. Non è facile. Potrebbe però contribuire l’associazione tra Luigi Di Maio e quel Belzebù Andreotti della “prima Repubblica”. Personaggio negativo della storia politica italiana con sentenze mai pronunciate su rapporti con la mafia di Cosa nostra e sulle stragi. Ombre sui rapporti con la mafia di Cosa nostra – rapporti in parte però dimostrati dai processi di altre persone, come ad esempio Marcello Dell’Utri – che pendono sul capo di Silvio Berlusconi come il coinvolgimento sulle stragi buttato li dal boss Graviano in carcere. Allora torna utile il messaggio subliminale. Ripetere l’associazione fino a quando nell’inconscio collettivo il giovane e fresco Luigi Di Maio non viene associato al vecchio ed oscuro democristiano Giulio Andreotti anche dalla casalinga che però non ne comprende la ragione. Se il candidato del Movimento Cinque Stelle verrà diffusamente associato al “divo” della “prima Repubblica”, parte del gioco sarà fatto. Ma solo una parte. Perché la storia di Silvio Berlusconi non è certo facile da ripulire. Bisogna lavorare molto anche sull’allontanamento delle macchie sul bel doppiopetto del palazzinaro di Arcore.
Un contributo continua a darlo il caro Matteo Renzi. Il segretario del Partito Democratico è infatti difficile da associare al Partito Democratico. Sembra più uno dei giovani comunicatori di Forza Italia che il leader Dem. Il 21 novembre, cinque giorni dopo Silvio Berlusconi, anche Matteo Renzi si siede nel salotto di Bruno Vespa a “Porta a porta”. Con un tweet lanciato sul fine messa in onda del programma che viene registrato nel pomeriggio, il segretario del PD ribadisce ancora la testimonianza di soccorso al leader del centrodestra: “Berlusconi ora non si può candidare. Ma sarei contento se potesse farlo, perché vorrei che i cittadini potessero, nello stesso collegio, scegliere direttamente tra me e lui”. Renzi quindi non è soddisfatto dell’aver resuscitato Berlusconi, quando tutti lo davano per spacciato, con il “Patto del Nazareno” che lo ha prima rilanciato politicamente e poi anche popolarmente. Matteo Renzi lo vuole proprio alla ribalta delle elezioni, e perché questo avvenga arriva persino a manifestare dispiacere per l’incandidabilità del “rivale”. Dimenticando ovviamente, nel suo “dispiacere”, le ragioni per cui Silvio Berlusconi non si può candidare e tutto quello che rappresenta la storia di un uomo che ha meritato soprannomi quanti o più di quelli che furono affibbiati a Giulio Andreotti. Il cavaliere – onoreficenza ritirata – è il palazzinaro, il caimano, il venditore di tappeti, il piazzista di Arcore, quello con lo stalliere mafioso, il corruttore e tanto altro che, al confronto, i soprannomi di Andreotti appaiono tutti dei complimenti.
La puzza di “patto del Nazareno 2.0” quindi si comincia a sentire anche con i televisori spenti. Da una parte la necessità di ridimensionare il pretendente al titolo: Luigi Di Maio. Per il candidato Cinque Stelle quindi l’associazione a Giulio Andreotti va in onda a reti unificate in modo che il pubblico di ogni emittente e di ogni fascia oraria abbia modo di assumere questa immagine di atavica e nera politica nazionale senza rendersene conto. Dall’altra invece c’è sempre il ridimensionamento di Di Maio mediante il sovradimensionamento di Silvio Berlusconi quale “rivale” di un competitor, Matteo Renzi, che non vale ormai neanche la spesa dei manifesti in campagna elettorale; essendo il segretario del PD più bollito del Silvio Berlusconi prima del Patto del Nazareno. Va quindi ora in onda l’alleanza centrodestra-centrosinistra – o quel che resta di quest’ultima – anti-M5S. Un’alleanza in cui il leader di quello che è stato il più grande partito italiano finisce di distruggerlo in favore del leader della teorica ideologia opposta. Se Luigi Di Maio ricorda il giovane Andreotti, gli iscritti al Partito Democratico ricordano gli italiani che corrono verso Caporetto il 24 ottobre del 1917.

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