Immagini e parole nel Mediterraneo: Sciacca film Fest, il diario di un viaggio/2

Rubrica culturale di Roberto Greco

Prima proiezione del giorno prevista alle 17:00. Verso le 16:30 arrivo all’ingresso del festival. Porte già aperte, tecnici e personale del festival si muovono nei diversi spazi all’interno dei quali si sviluppa il festival. E’ presto. Mi avvicino alla zona bar, ancora chiusa. Mi siedo all’ombra e mi preparo una sigaretta. Dal fondo dell’ampia arena all’aperto, la sottile figura nera di Alicia si avvicina. Il suo capo è chino e il grande cappello nero glielo copre interamente. Il suo “Was Shakespeare Englis?” è in proiezione alle 19:30. Ritengo che sia emozionata, anche se non è la sua prima proiezione con quest’opera, già presente al Festival di Taormina quest’anno. Alza il capo e scopre il viso. E’ lì da diverse ore perché ha avuto problemi con la copia del film da proiettare. Ha bisogno di chiudere gli occhi e riposarsi un pò. Si dirige verso il palco dell’arena, che è all’ombra. Lo raggiunge e si stende sul fondo, vicino al fondale. Dopo qualche minuto il suo corpo sembra una linea nera sul grande palco di legno chiaro. Sta dormendo. Spero abbia puntato una sveglia. Rifletto un attimo. Sicuramente l’ha fatto. Con passo veloce vedo arrivare dall’ingresso Sino. Indossa un abbigliamento comodo, da lavoro, segno che è ancora in giro. Si siede di fronte a me. Cominciamo a chiacchierare. Noto che qualcosa lo disturba. Le copie dei film africani in programmazione non sono arrivate. Problemi di spedizione tra l’Africa e l’Italia. Dovrò aspettare ancora per vedere, e quindi raccontarvi qualcosa, sul potente “The revolution won’t be televised” di Rama Thiaw, regista senegalese. Mi rendo conto che non sono però l’unico che aspettava la proiezione del film. Qualcuno l’avevo già incontrato la sera prima, pubblico storico del Festival. Come sempre i banconi del bar sono lì a due passi, invitanti. Si ordinano dei caffè e si comincia a parlare del Festival e di cinema. Un paio di loro aveva visto sia “A Ciambra” di Jonas Carpignano, reduce dalla Quinzaine di Cannes 2017 sia “Taranta on the road”, una commedia dolceamara che tratta il tema dell’immigrazione snodando la sua storia tra musica, amore e Salento. Il tempo scivola attraverso le parole versate sul tavolo, il sole è sempre più basso. Arrivano gli amici con i quali volevo vedere il film di Alicia. La vedo avvicinarsi. Problemi risolti. Ora ha il volto più rilassato.

Ma Shakespeare era inglese? Ne avevo sentito parlare. L’autrice, attraverso una tesi peraltro già dibattuta anche in sedi accademiche diversi anni fa, cerca di tracciare un quadro credibile, all’interno del quale, individua una serie di “prove possibili” che ben mescola con il continuo uso del condizionale quando gli inglesi parlano del loro drammaturgo, sulla cui vita, pare, non abbiamo grandi certezze.
Il lungo lavoro di Alicia si snoda tra la Sicilia, Messina, Venezia, Verona e arriva sino a Stratford-upon-Avon, luogo ufficiale della nascita del drammaturgo, ma, se escludiamo il business dei gadget shakespiriani e le ingenue ricostruzioni storiche, nulla è certo. L’autrice racconta con grande dovizia anche gli spazi che corredano la sua tesi. Vediamo quindi scorrere davanti ai nostri occhi le immagini di Messina e delle città in cui ha ambientato alcune delle sue opere, Venezia e Verona. Non c’è risposta, alla fine del film. Rimane però una curiosità intrigante sull’argomento, pur scremando su alcune testimonianze che, però, danno colore al film. Mi serve una birra.

Tra una ventina di minuti un altro dei lavori che voglio assolutamente vedere. Si tratta di “Pellegrino” dei palermitani Ruben Monterosso e Federico Savonitto. Avevo già visto lavori precedenti della coppia, tra questi ho trovato molto interessante il loro “La fine che non ho fatto”, un ottimo lavoro sul sempre poco conosciuto Nino Gennaro.
Il monte Pellegrino è parte della cartolina classica di Palermo. Svetta sul lato ovest ed è parte del sacro di questa città. La grotta della Santuzza, l’acchianata. Ma non solo. Monterosso ci svela un luogo magico, poco conosciuto. Un luogo di convivenza, di aggregazione per comunità indiane tamil, rom e africane. Li mescolano i colori, gli odori, i suoni, i canti e da questa miscela scaturisce una insospettabile ed inaspettata armonia. E così, la montagna, diviene il racconto di una città, con i suoi suoni e colori, là dove le lingue e le anime si mescolano tra loro. Un racconto di quelli che ti fanno pensare che “un altro mondo è possibile…”.

Ancora un film il cui odore è quello del mar Mediterraneo. Si tratta de “ La guerra dei cafoni” dei pugliesi Davide Barletti e Lorenzo Conte. Attori non professionisti, a parte il cameo iniziale di Claudio Santamaria. I protagonisti del film sono tutti adolescenti, se si esclude la timida e rassegnata figura del barista che, suo malgrado si trova in mezzo ad una guerra. Sì, perché si tratta di una guerra, una di quelle che sono iniziate nella notte dei tempi e che hanno mutato il corso del tempo, la guerra di classe. Da un lato i discendenti dei nobili proprietari terreni che dominavano sulle terre e suoi loro cafoni. Dall’altra parte loro, i discendenti dei cafoni, imprigionati nel loro stato sociale. E, tutte le estati, questi due gruppi di ragazzi alzano il livello del conflitto di classe. Ma il tempo fa mutare le cose. L’ingresso di un “corpo estraneo”, che si basa su diversi valori, trasforma la farsa in tragedia. Ben recitato, ben diretto. Il lungo tempo di preparazione ritengo abbia dato i suoi frutti.

E il festival torna a parlare di emigrazione, anzi del più importante flusso di emigrazione degli ultimi dieci anni. Qualcuno resterà deluso, ma “Influx” di Luca Vullo, analizza il fenomeno dell’emigrazione degli italiani a Londra. Lo fa dall’interno, raccontando anche i suoi perché, poco prima del voto che, in seguito, ha poi approvato la Brexit. Il ritratto di un Italia che non è in Italia, un’Italia che passeggia sui ponti del Tamigi e prende la metropolitana a Piccadilly Circus.

Paolo Scanabissi ha già iniziato a suonare, quando esco dalla sala dei Palchi. Bolognese, trapiantato a Sciacca. Le sue dita si muovono veloci sulla tastiera poi sembra che indugino ma il tocco è sempre preciso. Il film della notte è l’ottimo “Hugo Cabret” di Martin Scorsese. L’ho già visto un paio di volte, continuerò ad ascoltare musica. Lentamente le luci si spengono. I visitatori del festival escono dalle sale. Qualcuno si affretta mentre altri si stanno godendo il fresco della notte. Il portone di Badia Grande si chiude. Buonanotte. “Note dolenti”? Nessuna, anzi, le polpette al sugo della zona ristoro erano spettacolari. Domani assaggerò “lenticchie con cozze”.

Roberto Greco
17/set/2017

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