La bomba H della Corea del Nord: Storia ed analisi di un conflitto mondiale

Domenica 3 settembre, alle 05:30 ora italiana, è esplosa la bomba atomica all’idrogeno della Corea del Nord. L’esplosione è stata considerata cinque volte più potente di quella che nel 1945 distrusse Nagasaki, in Giappone, per mano statunitense. Il test, che ha causato un terremoto rilevato dai sismografi con magnitudo 6.3 gradi della scala Richter seguito da un contraccolpo tellurico di 4.6 gradi, è stato condotto in una regione – di natura vulcanica – a nordest della Corea del Nord. Il tutto accade ad una settimana esatta dalla festa nazionale della Repubblica Popolare Democratica di Corea, che di democratico ha ben poco. Il test nucleare, per inciso, avviene dopo che – con il test missilistico del 29 agostoPyongyang ha dimostrato di poter raggiungere obiettivi molto distanti dalla penisola coreana. Il missile lanciato qualche giorno addietro ha infatti sorvolato il Giappone. Adesso Kim Jong-un ha completato la sua dimostrazione di forza mostrando la potenza distruttiva con cui quel tipo di missile può essere equipaggiato. Oggi, secondo fonti della Corea del Sud, Pyongyang si starebbe preparando ad un nuovo lancio missilistico.

Oggi si terrà l’ennesimo Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per discutere sul da farsi alla luce della prova atomica nordcoreana. La sesta e più temibile dimostrazione di potenza distruttiva. Ma mentre gli Stati Uniti, e con essi anche il Giappone e la Corea del Sud, continuano a considerare e scartare azioni di forza che scatenerebbero un possibile conflitto mondiale, dall’altra parte si sono già riuniti Russia, Cina, India, Brasile e Sud Africa. Vertice che si è tenuto proprio il giorno dell’esplosione del potente ordigno nordcoreano. Il mondo è quindi diviso in due schieramenti di superpotenze ed al centro c’è la Corea del Nord di Kim Jong-un con la sua corsa agli armamenti. Una partita difficile, se non impossibile, in cui gli Usa di Donald Trump rischiano di perdere la faccia dopo che all’insediamento del nuovo presidente era stata avviata una campagna di intolleranza e sfida nei confronti di Kim Jong-un. Adesso qualcuno sta ricordando a Washington che non è possibile attaccare Pyongyang senza l’intervento di Mosca e Pechino e che il risultato sarebbe il più devastante nella storia del genere umano: nessun vincitore e centinaia di milioni di vittime tra i civili.

Per comprendere la crisi della penisola coreana bisogna guardare ben più indietro della successione di Kim Jong-un al padre, il “Caro leader” Kim Jong-il. Come sempre è necessario cercare tra le pagine dei libri di storia se si vuol capire il presente. La Corea era una unica nazione non autonoma. Essa era infatti stata conquistata dal Giappone all’epoca della politica espansionista nipponica. Nel 1945 arrivano le prime esplosioni atomiche in quel del sol levante. Sono le bombe atomiche che gli Stati Uniti sganciarono su Hiroshima il 6 agosto del 1945 e su Nagasaki appena tre giorni dopo a mettere fine al conflitto Usa-Giappone ed a far arretrare il Paese sconfitto e devastato dalle conseguenze di due esplosioni nucleari. Era appena finita la seconda guerra mondiale e le due superpotenze dovevano immediatamente riposizionare i propri confini prima che sulla linea di questi si insediassero basi militari nemiche. La Germania venne divisa in due con il muro che tagliò Berlino fino al 1989. In due venne separata anche la penisola coreana. All’epoca dei fatti esisteva l’URSS, la grande Unione Sovietica, ed essa sostenne l’insediamento del leader Kim Il-sung nella Corea del Nord; il nonno di Kim Jong-un. La Corea del Sud divenne una Repubblica democratica sotto il protettorato degli Stati Uniti ed elesse Syngman Rhee primo presidente della sua storia.

L’Unione sovietica, poi sciolta secondo gli accordi – mai mantenuti che prevedevano anche il rispettivo freno del Patto Atlantico che ancora oggi continua ad annettere nazioni alla Nato – si dovette “accontentare” di mantenere sotto la propria vigilanza la sola radice della penisola coreana: quella di fatto confinante con la Russia. La Corea del Sud, di contro, ebbe da sempre il ruolo di regione ospite della politica a stelle e strisce. Malgrado la popolazione dell’intera penisola volesse riunificare le due parti della Corea, tale impresa venne resa impossibile da entrambe le parti: Urss e Usa. Nel 1950, con l’approvazione della Cina di Mao Tse-tung, la Corea del Nord invase la Corea del Sud. Già 67 anni addietro la Russia e la Cina sostenevano la Corea del Nord e gli Stati Uniti, con truppe di stanza a sud della penisola, sostenevano la Corea del Sud. Il conflitto costò la vita a circa quattro milioni di persone. Tre anni dopo ci fu un armistizio che pose fine al conflitto e determinò in seguito la zona di smilitarizzazione al confine tra le due parti della penisola. Nessun trattato di pace venne però mai ufficialmente ratificato tra le parti.

Roh Moo-hyun
Vari furono negli anni i tentativi di distensione tra le due parti della Corea. Nel 2000 un premio Nobel per la pace venne immediatamente assegnato al presidente sudcoreano Kim Dae-jung per l’apertura al dialogo verso la Corea del Nord. Il presidente della Corea del Sud incontrò in quell’anno il leader della Corea del Nord Kim Jong-il ed insieme concordarono una tregua alle ostilità ed una apertura al dialogo. La storia di Kim Dae-jung aveva molti aspetti in comune con quella di Nelson Mandela: venti anni di carcere dopo una condanna a morte commutata in pena detentiva, l’elezione alla presidenza della nazione, una ampia visione pacifista e votata alla conciliazione. Nel 2007 venne il turno del presidente sudcoreano Roh Moo-hyun, eletto cinque anni prima, di incontrare Kim Jong-il e tentare l’apertura pacifista. Il risultato fu positivo e le due coree ratificarono un trattato in otto punti che riaprì la frontiera fra i due Paesi agli scambi commerciali ed ai trasporti ferroviari ed aerei. Roh Moo-hyun era un riformista anti-americano e per questa sua posizione opposta al “protettore” d’oltre oceano venne eletto nel 2004 presidente della Corea del Sud. Appena quattro mesi dopo la ratifica del trattato con l’omologo del nord Kim Jong-il lasciò la poltrona presidenziale tra polemiche e dissidi interni alla Corea del Sud, venne travolto da accuse di corruzione ed infine trovato morto il 23 maggio del 2009. Ufficialmente la causa del decesso è il suicidio che i media si affrettarono ad attribuire alle indagini si si stavano conducendo a suo carico.

Park Geun-hye
In tempi molto più recenti si è in qualche modo replicata la storia di Roh Moo-hyun con la prima presidente donna della Corea del Sud: Park Geun-hye. Non omonima ma figlia del presidente golpista Park Chung-hee che detenne il potere presidenziale in Corea del Sud dal 1961, anno del colpo di Stato, fino al 1979 consentendo alla nazione l’inizio di un fausto sviluppo economico mai regredito. Park Geun-hye venne eletta nel 2013 e la sua posizione fu sempre molto cauta nei confronti del dominus americano al quale opponeva ragioni diplomatiche per moderare le pretese di espansione militare sul territorio sudcoreano. Alle elezioni Park Geun-hye vinse con il 3,6% di voti in più rispetto al suo diretto rivale: l’attuale presidente Moon Jae-in. La prima presidente donna della Corea del Sud venne travolta da “impeachment” già nel 2016 e il 9 dicembre dello stesso anno venne sospesa dalle funzioni presidenziali. Quattro mesi dopo decadde la sua presidenza e due mesi più tardi, maggio di quest’anno, arrivò l’elezione di Moon Jae-in. L’attuale presidente pare avere maggiore inclinazione verso la necessità americana di opporre un fronte militare al crescente potenziale bellico della Corea del Nord che, nel frattempo, con la successione di Kim Jong-un al padre Kim Jong-il del 2011, ha accelerato ed intensificato ricerca e test missilistici e nucleari. Appare crescente e proporzionale l’attività militare nordcoreana con quella sudcoreana di stampo Usa.

Kim Jong-un
Un ostacolo all’insediamento tanto ambito dagli Stati Uniti arriva adesso dal ministro della Difesa sudcoreano Sung En Mon che qualche giorno addietro, prima del test nucleare nordcoreano, aveva incontrato il capo del Pentagono James Mattis. Al termine del vertice Sung En Mon aveva dichiarato all’agenzia di stampa Yonhap che “Non abbiamo mai creduto di dover dispiegare le armi nucleari americane”. Una chiusura netta all’uso della Corea del Sud quale base nucleare a brevissima distanza da Cina e Russia. Le due superpotenze che continua a tutelare Pyongyang si limitano infatti ad ammonire Kim Jong-un ma senza prendere una posizione di fatto per la destituzione del leader. Perdere il deterrente anti-americano della Corea del Nord significherebbe per Mosca e Pechino ritrovarsi in breve tempo missili a testata nucleare puntati addosso dalla penisola coreana che dista un tiro di schioppo dalle due nazioni. Ma il rischio che i due protettori possano concludere un accordo con gli Stati Uniti a discapito della dinastia nordcoreana è un ulteriore motivo perché Kim Jong-un si affretti nello sviluppo delle proprie armi. Mentre tutti guardano a quanto lontano questi possano volare in direzione est, oltre il Giappone e verso gli Stati Uniti, nessuno si pone il dubbio di dove e come questi possano colpire la Cina e la Russia in caso di tradimento. I missili a testata nucleare, equipaggiati con bombe all’idrogeno da 120 chilotoni, di Pyongyang quindi non servirebbero ad attaccare nessuna nazione – anche perché la Corea del Nord è tanto povera da non riuscire quasi a sfamare se stessa – ma ad evitare che altri invadano il Paese o lo rovescino come già fatto altrove. Il problema sta però nella militarizzazione della Corea del Sud, e forse adesso anche del Giappone. Siamo quindi ad un passo da un conflitto nucleare catastrofico ed in mano a grandi statisti della levatura di Donald Trump e Kim Jong-un.

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