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Influenza o Covid-19 ?

di Franca Regina Parizzi

Ogni anno circa 8 milioni di italiani (cioè il 13% della popolazione) si ammalano di influenza. Un numero esorbitante di persone, che affollano gli ambulatori dei Medici di Medicina Generale e dei Pediatri di Libera Scelta, ma anche i Pronto Soccorso degli ospedali. Quest’anno tuttavia c’è anche il coronavirus e i casi di Covid-19 stanno aumentando sì da far temere a molti una seconda ondata epidemica in autunno-inverno. I sintomi iniziali della Covid-19 sono del tutto simili a quelli dell’influenza e l’unica possibilità per distinguere le due malattie è il tampone rinofaringeo per la ricerca del SARS-Cov2.

L’importanza di una diagnosi precoce e tempestiva di Covid-19 è fondamentale per impedire l’aggravamento dei sintomi, per consentire la somministrazione di farmaci mirati e per evitare, se possibile, il ricovero ospedaliero. Queste sono le ragioni principali per le quali quest’anno la vaccinazione anti-influenzale rappresenta un presidio fondamentale della strategia anti-Covid. Raccomandata e offerta gratuitamente negli anni scorsi per le persone di età superiore a 65 anni o, indipendentemente dall’età, per tutti coloro affetti da patologie a rischio, quest’anno la vaccinazione anti-influenzale dovrebbe essere raccomandata per tutti, proprio nell’ambito della strategia anti-Covid per i motivi illustrati sopra.

Recentemente, la fascia di età alla quale viene offerta la vaccinazione gratuita è stata ampliata alle persone con più di 60 anni (non più soltanto agli over 65). Inoltre, mentre negli anni scorsi, in base alla situazione climatica del nostro Paese, il periodo indicato per le vaccinazioni anti-influenzali andava da metà-fine ottobre fino alla fine di dicembre, quest’anno la campagna vaccinale contro l’influenza inizierà già ai primi di ottobre, dal momento che la protezione indotta dal vaccino inizia circa due settimane dopo la vaccinazione e perdura per un periodo di 6-8 mesi, per poi diminuire.

Tuttavia i problemi non mancano. L’accaparramento dei vaccini da parte delle Regioni per offrire la vaccinazione gratuita alle persone con più di 60 anni e ai soggetti a rischio ha infatti ridotto le scorte disponibili per le farmacie, cioè quelle destinate a chi il farmaco lo acquistava. Tra questi, soprattutto bambini, ragazzi e adulti, quei soggetti  cioè che, frequentando comunità scolastiche, università, ambienti di lavoro, sono particolarmente esposti al rischio di contrarre e trasmettere l’influenza.

L’inadeguatezza delle scorte di vaccino anti-influenzale rappresenta il primo grosso limite nella strategia anti-Covid, volta a decongestionare ambulatori medici e ospedali e ridurre il numero di persone con sintomi tali da obbligare il personale sanitario a effettuare accertamenti per escludere un’infezione da coronavirus.

Anche nell’ipotesi (o meglio utopia) di avere scorte sufficienti per poter vaccinare tutti, ma proprio tutti, chi potrebbe farsi carico di somministrare tutti quei vaccini? Certamente non i servizi vaccinali  delle ASL, già intasati da tutte le vaccinazioni rimandate a causa del lockdown. I medici di Medicina Generale e i pediatri? Se calcoliamo una media di mille pazienti per ogni medico di Medicina Generale o pediatra, per vaccinare tutti i suoi pazienti nell’arco di un mese-un mese e mezzo, un medico dovrebbe dedicare la maggior parte delle sue ore di lavoro alle vaccinazioni. Questo, aggiunto alla burocrazia esasperante che caratterizza purtroppo oggi il lavoro del medico, a scapito naturalmente delle visite mediche e del rapporto con i pazienti. Cioè del vero lavoro del medico.

Sicuramente un malato di influenza oggi impone – ed è inevitabile – di seguire un percorso diagnostico che distoglie risorse sanitarie preziose.

La vaccinazione anti-influenzale dovrebbe essere obbligatoria (non se n’era parlato?) o per lo meno raccomandata fortemente con un’adeguata campagna di informazione attraverso i media. Mentre siamo alle soglie dell’autunno e non se ne parla nemmeno. Brancoliamo in un clima di incertezza e di colpevole ritardo.

Intanto stanno emergendo risultati di studi scientifici che evidenziano la relazione tra l’infezione da SARS-CoV2 e alcune vaccinazioni, tra queste l’anti-influenzale e l’anti-pneumococco, ma non solo.

Si tratta di studi preliminari, ma su ampie popolazioni: una ricerca condotta alla Mayo Clinic (Rochester, Minnesota) su oltre 137.000 persone e una condotta in Brasile su più di 92.000 persone con infezione da SARS-CoV2,  nelle quali sono stati valutati i profili vaccinali di ogni singolo paziente. Uno studio italiano è in corso, in collaborazione tra il Policlinico di Milano e l’Istituto Mario Negri.

Tra le ipotesi che potrebbero spiegare come mai la vaccinazione anti-influenzale in un certo senso “protegga” dal SARS-CoV2, c’è uno studio di laboratorio dell’Università di Hong Kong pubblicato su un’autorevole rivista scientifica, The Lancet, che dimostra come i virus influenzali facilitino l’ingresso del SARS-CoV2 nell’apparato respiratorio, aumentando l’espressione (cioè in un certo senso amplificando) dei recettori ACE-2, punti di attacco delle cellule umane per le spikes del coronavirus. La vaccinazione anti-influenzale, evitando di contrarre l’infezione da virus influenzale, impedirebbe pertanto l’amplificazione dei recettori umani del coronavirus.

Sembra dunque che chi è vaccinato contro l’influenza e contro lo pneumococco abbia un rischio minore di ammalarsi di Covid-19 e comunque di sviluppare un quadro grave di malattia rispetto a chi non è vaccinato.

Anche se è vero che questi primi risultati hanno bisogno di ulteriori conferme scientifiche, anche se è vero che chi si vaccina in genere è più attento alla propria salute e alle regole di prevenzione contro il coronavirus, questi dati incoraggiano e raccomandano decisamente la vaccinazione anti-influenzale.

Sembra tuttavia che non solo la vaccinazione anti-influenzale e quella anti-pneumococco, ma anche altre vaccinazioni, come quella contro l’Haemophilus influenzae B e l’antipolio aumentino le difese contro il coronavirus. E questo spiegherebbe come mai i bambini, soprattutto i più piccoli, nel primo e secondo  anno di vita, si ammalano meno e meno gravemente di Covid-19  rispetto agli adulti. Dobbiamo capire tuttavia ancora perché.

Franca Regina Parizzi: Nata a Milano il 15.12.1947, ha conseguito la laurea in Medicina e Chirurgia nel 1972 presso l’Università degli Studi di Milano con voti 110/110 e lode. Nel 1974 è stata assunta presso l’Ospedale San Gerardo di Monza, inizialmente come Assistente nel Reparto di Malattie Infettive e successivamente, dal 1980, nel Reparto di Pediatria, divenuto nel 1983 sede della Clinica Pediatrica dell’Università degli Studi di Milano Bicocca, ove ha ricoperto successivamente (dal 1988) il ruolo di Aiuto Corresponsabile Ospedaliero, e, dal 2000, di Dirigente Medico con incarico di Alta Specializzazione. Ha conseguito la Specializzazione in Malattie Infettive e successivamente in Chemioterapia, entrambe presso l’Università degli Studi di Milano. Nel 1977 e 1978 è stata responsabile del Reparto di Pediatria presso l’Hôpital Général de Kamsar (République de Guinée – Afrique de l’Ouest) nell’ambito della Cooperazione Tecnica con i Paesi in via di sviluppo del Ministero degli Affari Esteri italiano. Autrice di numerose pubblicazioni scientifiche su riviste nazionali e internazionali e relatrice in diversi convegni (nazionali e internazionali). Dal 2010 si è trasferita da Monza a Lampedusa, isola alla quale è profondamente legata, dove esercita tuttora la sua attività come pediatra.
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