Il Coronavirus deve farci ancora paura

Ci sarà una seconda ondata? Dall’andamento attuale dei contagi è ragionevolmente prevedibile. Tuttavia va precisato che la prima ondata in realtà non è mai finita. I numeri dimostrano come la diffusione del coronavirus, dopo il rallentamento evidentemente dovuto al lockdown, stia aumentando a livelli preoccupanti

di Franca Regina Parizzi

I  dati sulla Covid-19 trasmessi dal Ministero della Salute e dall’Istituto Superiore di Sanità, nonché dalla Fondazione GIMBE (Fig.1),  non sono affatto confortanti: il numero dei contagiati da SARS Cov-2 è in costante aumento. Un terzo dei contagiati (un terzo!!) si ammalano e chi si ammala è sempre più giovane. La maggior parte hanno contratto il virus in Italia e i focolai attivi nel nostro Paese sono oggi circa 1.400.

Sempre secondo il monitoraggio GIMBE, nella settimana dal 26 Agosto al 1° Settembre si è registrato un ulteriore aumento dei nuovi casi (+ 2.477), dei pazienti ricoverati con sintomi (+322) e dei pazienti in Terapia Intensiva (+41).

Bisogna pertanto mantenere alta la guardia e rispettare in modo rigoroso le misure di sicurezza raccomandate (mascherine, distanziamento, lavaggio frequente delle mani, evitare assembramenti).

La maggior parte dei casi attuali riguarda persone sempre più giovani. L’età media di chi si ammala è oggi 29 anni (era 61 all’inizio dell’epidemia!): giovani adulti che hanno contratto l’infezione in Italia. Solo il 21% circa dei nuovi casi sono importati dall’estero e il “peso” dei migranti sull’aumento dei contagi è minimale, poiché solo il 3-5% di loro sono positivi e spesso contraggono l’infezione nei centri di accoglienza, dove è difficile, se non impossibile, mantenere misure sanitarie adeguate.

Il 36% dei nuovi casi diagnosticati in Italia è stato identificato tramite attività di screening, mentre il 32%  dal tracciamento dei contatti. I restanti casi sono stati identificati in quanto sintomatici, perciò malati, più o meno seriamente.

Ci sarà una seconda ondata? Dall’andamento attuale dei contagi è ragionevolmente prevedibile. Tuttavia va precisato che la prima ondata in realtà non è mai finita. I numeri dimostrano come la diffusione del coronavirus, dopo il rallentamento evidentemente dovuto al lockdown, stia aumentando a livelli preoccupanti.

E se  la percezione diffusa è quella di un virus meno aggressivo, che fa meno morti e meno intubati, è solo perché l’età media dei contagiati si è drasticamente abbassata, di conseguenza ci sono più contagiati con sintomi lievi o asintomatici. Più giovani, con un quadro di malattia meno grave o del tutto assente, ma in grado di diffondere il contagio.

Dopo tre mesi di lockdown, passata la fase del terrore, tutti hanno sentito il bisogno di tornare alla vita di sempre. L’oggettivo calo di contagi, dovuto esclusivamente al lockdown dei mesi precedenti  – una misura che funziona e ha funzionato egregiamente – e il contestuale allargamento delle misure restrittive  (riapertura dei confini, possibilità di tornare a viaggiare, riapertura di attività commerciali, ecc.), hanno generato la falsa convinzione che il virus fosse quasi scomparso e causato una diffusa scarsissima aderenza alle norme di prevenzione e di distanziamento sociale che sono tuttora in vigore, dall’uso delle mascherine all’evitare assembramenti.

Sarebbe dovuta finire la fase del terrore, non quella della paura”, sottolinea Stefano Vella, infettivologo dell’Università Cattolica di Roma.

“La paura in questi casi è ciò che ci fa drizzare le antenne, non ci fa abbassare la guardia, ci spinge a essere prudenti e a proteggerci. In poche parole, ci salva la vita”.

L’autunno e l’inverno porteranno nuovi scenari, soprattutto per il sovrapporsi dell’epidemia influenzale e la diffusione di altri virus respiratori. La  vaccinazione antinfluenzale dovrà essere pertanto raccomandata a tutti ed effettuata a tappeto, non solo agli anziani e alle categorie a rischio, perché distinguere i potenziali casi di Covid-19 da quelli di influenza stagionale (i sintomi all’esordio sono molto simili) è fondamentale per non far ricadere il nostro Sistema Sanitario Nazionale nel caos ben noto e già vissuto.

Abbiamo imparato dall’esperienza che la Covid-19 si affronta soprattutto sul territorio, oggi siamo in grado di effettuare test diagnostici rapidamente e precocemente, abbiamo una maggiore conoscenza e disponibilità di farmaci efficaci, siamo più preparati, ma non dobbiamo assolutamente abbandonare lo stato di allerta.

Non dobbiamo cullarci nell’illusione che in Italia la situazione sarà diversa rispetto a quello che sta succedendo ora in Spagna, Francia, Croazia, Romania o a Malta.

Se in altre nazioni intorno a noi i casi stanno aumentando pericolosamente, il rischio di una seconda ondata di Covid-19 nel nostro Paese è purtroppo reale e probabilmente imminente.

Non è terrorismo psicologico, è semplicemente la lettura di una realtà che non possiamo, non dobbiamo ignorare.

Informazioni su Franca Regina Parizzi 27 Articoli
Nata a Milano il 15.12.1947, ha conseguito la laurea in Medicina e Chirurgia nel 1972 presso l’Università degli Studi di Milano con voti 110/110 e lode. Nel 1974 è stata assunta presso l’Ospedale San Gerardo di Monza, inizialmente come Assistente nel Reparto di Malattie Infettive e successivamente, dal 1980, nel Reparto di Pediatria, divenuto nel 1983 sede della Clinica Pediatrica dell’Università degli Studi di Milano Bicocca, ove ha ricoperto successivamente (dal 1988) il ruolo di Aiuto Corresponsabile Ospedaliero, e, dal 2000, di Dirigente Medico con incarico di Alta Specializzazione. Ha conseguito la Specializzazione in Malattie Infettive e successivamente in Chemioterapia, entrambe presso l’Università degli Studi di Milano. Nel 1977 e 1978 è stata responsabile del Reparto di Pediatria presso l’Hôpital Général de Kamsar (République de Guinée – Afrique de l’Ouest) nell’ambito della Cooperazione Tecnica con i Paesi in via di sviluppo del Ministero degli Affari Esteri italiano. Autrice di numerose pubblicazioni scientifiche su riviste nazionali e internazionali e relatrice in diversi convegni (nazionali e internazionali). Dal 2010 si è trasferita da Monza a Lampedusa, isola alla quale è profondamente legata, dove esercita tuttora la sua attività come pediatra.

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