Bambini e Covid-19. Riaprire le scuole, ma come?

Benessere è Salute Rubrica a cura della dottoressa Franca Regina Parizzi

Riaprire le scuole a settembre è doveroso, è un diritto dei bambini ed è fondamentale dal punto di vista psicopedagogico. Ma cerchiamo di capire perché è stato altrettanto importante a scopo precauzionale protrarre così a lungo la chiusura delle scuole e perché è necessario attenersi alle  misure preventive alla prossima riapertura.

Qual è il rischio per i bambini di ammalarsi di Covid-19?

I bambini possono essere infetti ma asintomatici, e quindi contagiosi?

Se all’inizio della pandemia non eravamo in grado di rispondere a queste domande, e pertanto la decisione di chiudere le scuole a scopo precauzionale era in un certo senso obbligata, adesso è importante valutare i dati finora disponibili per decidere con un certo grado di sicurezza la riapertura, nel rispetto del diritto allo studio per i bambini, oltre che per consentire ai genitori di riprendere il lavoro.

I dati attualmente disponibili sulla Covid-19 nei bambini e negli adolescenti non sono molti, tuttavia permettono già qualche osservazione. Nello  studio di Vo’ Euganeo (il migliore per campionamento di massa eseguito nel nostro Paese), coordinato dal Prof. Andrea Crisanti dell’Università di Padova, l’86% circa della popolazione di Vo’ Euganeo è stata sottoposta a tampone naso-faringeo all’inizio del lockdown e il 71,5% alla fine. La provenienza dei dati dalla popolazione generale (invece che dagli ospedali) ha consentito di rilevare come il 43% dei soggetti positivi al coronavirus fossero asintomatici e presentassero una carica virale non diversa da coloro che avevano manifestato la malattia. Nessuno dei 234 bambini di Vo’ di età compresa tra 0 e 10 anni, sottoposti a test in due riprese, è risultato positivo al virus, nemmeno quando c’erano adulti infetti in famiglia. Nella fascia di età immediatamente successiva, tra gli 11 e i 20 anni (studenti delle scuole medie inferiori e superiori), sono invece risultati positivi al tampone l’1% dei ragazzi.

In Cina, secondo i dati trasmessi dai Centers for Disease Control cinesi fino all’11 febbraio 2020 e pubblicati dal Pediatric Infectious Disease Journal, su circa 73.000 casi di Covid-19 solo il 2% avevano meno di 19 anni.

L’assenza o la scarsità dei sintomi spiegano il ridotto numero di tamponi eseguiti ai bambini e agli adolescenti rispetto agli adulti. Quasi tutti i casi pediatrici cinesi sono infatti emersi dal tracciamento dei contatti familiari di adulti malati. Un’indagine effettuata a Shenzhen su 391 casi e su 1.286 loro stretti contatti, pubblicata a marzo sul Lancet Infectious Diseases,dimostra come la possibilità di infettarsi, che non vuol dire necessariamente di sviluppare la malattia, non sia significativamente diversa in relazione all’età.

Anche se i dati pubblicati non sono molti, perché raramente sono stati eseguiti i tamponi ai bambini e ai ragazzi, è dimostrato come anche i bambini possano essere infetti, ma asintomatici, e quindi trasmettere l’infezione, anche se è raro che si ammalino, e ancora più raro che sviluppino una malattia grave.

Ma vediamo ora quali sono le manifestazioni cliniche possibili, anche se rare, della Covid-19 nei bambini.

SINTOMI  PIÙ COMUNI DI COVID-19 NEI NEONATI, NEI BAMBINI E NEI GIOVANI

Sono pochi, pochissimi i casi gravi e i decessi pediatrici per Covid-19 nel mondo. L’infezione da coronavirus in età pediatrica si presenta per lo più in modo asintomatico o in forma lieve. E anche i tempi di guarigione sono rapidi: un report cinese su 398 bambini ha dimostrato come la maggior parte di loro guarisca nel giro di 1-2 settimane. Questa minor gravità della malattia potrebbe essere dovuta a una più attiva risposta immunitaria, innata o mediata da precedenti vaccinazioni (i cosiddetti off-target effects) o all’immaturità dei recettori ACE2 (i recettori del coronavirus) nei bambini rispetto agli adulti.

Tutte le fasce dell’età pediatrica possono ammalarsi di Covid-19, dall’età neonatale all’adolescenza. La maggior parte dei bambini presentano febbre, raffreddore, tosse, mal di gola, mal di testa, stanchezza e dolori muscolari, sintomi che tuttavia si risolvono in pochi giorni. Ma a volte possono essere presenti altri sintomi più subdoli, come diarrea e vomito o congiuntivite. Gli esami di laboratorio sono normali, non c’è un aumento degli indici infiammatori (globuli bianchi e proteina C reattiva). In pochissimi casi si sviluppa una polmonite: dopo un periodo di incubazione medio di 5 giorni (con un range da 2 a 14 giorni), solo il 5% presentano difficoltà respiratoria e solo lo 0,6% in forma grave o con compromissione di altri organi, oltre ai polmoni.

Quanto ai neonati, un articolo pubblicato a fine marzo su JAMA (Journal of American Medical Association) riporta una casistica di 33 neonati da madri SARS-CoV2 positive: solo 3 sono risultati positivi all’infezione, ma hanno presentato sintomi lievi (febbre, tosse e vomito), e si sono negativizzati tra il 6° e il 7° giorno di vita.

Sono segnalati quadri dermatologici e un aumento dei casi di malattia di Kawasaki, comunque rari.

In ogni caso, la mortalità per Covid-19 nei bambini è praticamente nulla. 

SINTOMI DERMATOLOGICI

Le osservazioni di coinvolgimento extra-polmonare da Covid-19 negli adulti sono moltissime e  in Italia, ma anche in altri Paesi, si sono creati registri descrittivi e fotografici dei casi dermatologici di Covid-19.

Come negli adulti, anche nei bambini e nei giovani con infezione da coronavirus pauci-sintomatica o asintomatica sono stati segnalati fenomeni vasculitici isolati, generalmente alle dita dei piedi (tipo geloni) (Fig. 1), tuttavia per lo più a decorso benigno e risoluzione spontanea in 12-20 giorni. Quadri clinici diversi da quelli ben più gravi osservati negli adulti.

Nei bambini sono stati osservati, ma molto raramente, anche esantemi diffusi, simili all’orticaria (Fig. 2).

MALATTIA DI KAWASAKI

La malattia di Kawasaki è una malattia rara, una vasculite di cui non è ancora nota la causa, che colpisce soprattutto i bambini della prima e primissima infanzia (in genere attorno ai 2 anni).

Si manifesta con:

– febbre elevata e prolungata

– eruzione cutanea rossa diffusa (Fig. 3)

– gonfiore dei linfonodi del collo

– occhi arrossati (senza secrezione) (Fig. 4)

– labbra arrossate, secche e spaccate e lingua rosso-fragola (Fig. 5)

– gonfiore, rossore e desquamazione del palmo delle mani e della pianta dei piedi (Fig. 6).

E’ una malattia che, se non diagnosticata e curata, può causare un aneurisma (cioè una dilatazione tipo “sacca”) delle coronarie, che può rompersi o causare un infarto.

Recentemente, il National Health System ha segnalato ai pediatri inglesi un aumento dei casi di malattia di Kawasaki correlata all’infezione da coronavirus. Anche l’Istituto Gaslini di Genova e l’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo hanno osservato un aumento di cinque volte dei casi rispetto agli abituali 7-8/anno. La Società Italiana di Pediatria ha pertanto inviato una lettera ai pediatri italiani per allertare la sorveglianza, precisando tuttavia che solo una minoranza, inferiore all’1% dei bambini (della prima e primissima infanzia) infettati da SARS-CoV-2, sviluppano la malattia di Kawasaki.

La complicanza più temibile di questa malattia, cioè lo sviluppo di aneurisma delle coronarie, può essere prevenuta da una tempestiva terapia venosa con immunoglobuline a dosaggio elevato, ma sembra utile associare anche antinfiammatori (cortisone e tocilizumab).

I BAMBINI E LE MASCHERINE

La riapertura delle scuole non è più procrastinabile, ma le misure precauzionali (mascherine, distanziamento, lavaggio delle mani) restano necessarie e devono essere rispettate.

I dati finora disponibili sulla Covid-19 in età pediatrica sono ancora troppo pochi, ma sufficienti per affermare che anche i bambini si infettano, ma nella maggior parte dei casi sono asintomatici o sviluppano sintomi lievi. Anche se asintomatici, rappresentano una possibile fonte di contagio soprattutto per gli adulti più fragili, che vanno protetti. 

Fino a poco tempo fa i bambini e i ragazzi sono rimasti isolati, chiusi in casa e di conseguenza è diminuito drasticamente il rischio di contagio non solo per il coronavirus, ma per molte altre malattie che si trasmettono comunemente nelle comunità infantili, soprattutto nella scuola.

Sarà necessario valutare attentamente la diffusione del coronavirus tra i bambini e i giovani quando riapriranno le scuole e si allenteranno le misure protettive.

Il DPCM del 26 aprile prevede l’uso obbligatorio delle mascherine anche per i bambini, ma solo al di sopra dei 6 anni. L’assenza dell’obbligo delle mascherine per i bambini di età inferiore è giustificata dalla difficoltà oggettiva di far indossare a un bambino più piccolo per parecchio tempo la mascherina. I bambini sotto i 2 anni non devono indossare mascherine, non solo per l’oggettiva difficoltà, ma anche per il rischio di soffocamento, che non va sottovalutato. A questa età potrebbero essere utilizzati cappellini o cerchietti con visiera trasparente lunga, che schermino anche occhi, naso e bocca, possibili vie di ingresso del virus.

La mascherina va indossata in ogni situazione in cui non sia garantito un distanziamento di almeno un metro da altri bambini o adulti non appartenenti al proprio nucleo familiare. Se il bambino passeggia o va in bicicletta o gioca all’aperto da solo o con un adulto convivente e non c’è il rischio di incontrare a distanza ravvicinata altre persone, non è necessario che indossi la mascherina. Invece, la mascherina diventa necessaria al supermercato, sui mezzi pubblici, in qualunque luogo chiuso dove le distanze non possono essere mantenute e, quindi, naturalmente, anche a scuola.

Le mascherine per adulti (10 cm x 20 cm circa) non assicurano la necessaria aderenza se indossate dai bambini. I bambini possono utilizzare le mascherine di stoffa, lavabili e riutilizzabili. Le mascherine tuttavia non bastano: vanno rispettate tutte le altre misure preventive fondamentali: osservanza della distanza di sicurezza di almeno 1 metro e frequente e corretto lavaggio delle mani con acqua e sapone o gel idroalcolici.

RIAPRIRE LE SCUOLE, MA COME?

Si possono accogliere le classi per intero così come erano prima del lockdown?

Questo è il problema principale, perché si può fare di tutto:  misurazione della temperatura, ingressi scaglionati, divieto di alcune attività, ma la vera criticità è lo spazio nell’aula, che dipende dal  numero di alunni e dalle dimensioni dei locali nelle nostre scuole. Perché è chiaro che vanno evitate le classi “pollaio”, ma anche l’ipotesi di smembramento delle classi è inaccettabile e psicologicamente traumatizzante per i bambini. Così come l’ipotesi dei doppi turni, che non rispettano i ritmi fisiologici del bambino.

L’unica soluzione vera è l’adeguamento dell’edilizia scolastica, ma ovviamente ci vogliono volontà politica, investimenti e tempo. 

Una possibile soluzione innovativa è la così detta “didattica outdoor” o “didattica on the road”, la didattica all’aperto.

Boschi, giardini, parchi pubblici, cortili possono diventare aule a cielo aperto per i bambini. Un nuovo modo di fare didattica, che recentemente ha raccolto molte adesioni nel nostro Paese e che,  pur con le difficoltà e i limiti legati alle condizioni atmosferiche (peraltro superabili) ha un vantaggio educativo non trascurabile: l’interazione dei bambini con la natura (ved. precedenti articoli su questa rubrica di Maria Leduisi: “Il deficit di natura” e “La natura e i bambini dopo la quarantena: si può fare”).

La didattica all’aperto è un modo nuovo ed efficace di ripensare lo spazio-lezione, che travalica i confini fisici delle aule e utilizza un setting ottimale per l’apprendimento e la costruzione del pensiero riflessivo e delle competenze.

Informazioni su Franca Regina Parizzi 27 Articoli
Nata a Milano il 15.12.1947, ha conseguito la laurea in Medicina e Chirurgia nel 1972 presso l’Università degli Studi di Milano con voti 110/110 e lode. Nel 1974 è stata assunta presso l’Ospedale San Gerardo di Monza, inizialmente come Assistente nel Reparto di Malattie Infettive e successivamente, dal 1980, nel Reparto di Pediatria, divenuto nel 1983 sede della Clinica Pediatrica dell’Università degli Studi di Milano Bicocca, ove ha ricoperto successivamente (dal 1988) il ruolo di Aiuto Corresponsabile Ospedaliero, e, dal 2000, di Dirigente Medico con incarico di Alta Specializzazione. Ha conseguito la Specializzazione in Malattie Infettive e successivamente in Chemioterapia, entrambe presso l’Università degli Studi di Milano. Nel 1977 e 1978 è stata responsabile del Reparto di Pediatria presso l’Hôpital Général de Kamsar (République de Guinée – Afrique de l’Ouest) nell’ambito della Cooperazione Tecnica con i Paesi in via di sviluppo del Ministero degli Affari Esteri italiano. Autrice di numerose pubblicazioni scientifiche su riviste nazionali e internazionali e relatrice in diversi convegni (nazionali e internazionali). Dal 2010 si è trasferita da Monza a Lampedusa, isola alla quale è profondamente legata, dove esercita tuttora la sua attività come pediatra.

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