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L’eccellenza sanitaria lombarda

di Aldo Di Piazza

Medico Specialista in Medicina Interna

Ogni menzogna è un debito con la Verità

ma i debiti prima o poi si devono pagare

Partiamo dai numeri.

Al 22 maggio 2020:

Questo significa che nel volgere di tre mesi, dalla data di esordio ufficiale il 21 febbraio 2020 , la Lombardia totalizza il 47,93% della mortalità complessiva nazionale, con una prevalenza ufficiale del 38,55% sulla presenza di Sars-Covid-19 nel suo ambito territoriale, mentre il Veneto con la stessa data di esordio ( Vo Euganeo e Codogno vengono sigillate lo stesso giorno) mostra il 5,58% della mortalità nazionale con l’8,11% di prevalenza.

Non casualmente scelgo il Veneto come terreno di confronto, in modo che non si possa lontanamente ipotizzare una lettura, diciamo, politica dei dati, essendo entrambe le regioni a conduzione Leghista .

Le distanze abissali fra i numeri di confronto non possono indurci a ritenere casuale una distribuzione statistica del genere e quindi si impone una attenta analisi sui fattori che possono aver determinato una differenza così sostanziale.

Iniziamo a prendere in considerazione le possibili ipotesi che possono ragionevolmente darci spiegazione su  quanto sia successo e quindi possiamo ipotizzare :

  1. MUTAZIONE A MAGGIORE LETALITA’ DEL CEPPO IN ESAME
  2. POSSIBILI DIFFERENZE DI CALCOLO E RECLUTAMENTO DEI DATI
  3. APPROCCIO NON COERENTE DELLE STRUTTURE E DEI DECISORI

Partiamo dalla prima ipotesi della mutazione peggiorativa. Esistono alcune serissime valutazioni sul genoma virale che escludono che vi siano state mutazioni significative nei ceppi virali isolati in Italia rispetto a quelli autoctoni cinesi (Nature Medicine et al.). Ma esiste anche una considerazione intuitiva che, viste le interconnessioni tra i siti lombardi e quelli veneti (Codogno e Vo Euganeo), esclude che  possa essere mutato un ceppo che ha preso decisamente la strada del nord-ovest e del sud risparmiando l’est cioè il Veneto. Sembra francamente inverosimile.

Il secondo punto su come vengono filtrati i dati prende corpo dalla differente lettura dei decessi  : “PER coronavirus” e “CON coronavirus“. E’ prevalsa alla fine “PER coronavirus” , che personalmente, da clinico, condivido , in quanto se un paziente avanti negli anni, diciamo novantenne, ma in buon equilibrio clinico, pur con importanti co-morbilità, si contagia con Covid-19 e fa la polmonite bilaterale, andando in insufficienza respiratoria, va al Creatore per questa ragione, non perchè alla fine la sua, poniamo, insufficienza renale è peggiorata, e la sua capacità contrattile cardiaca si è ridotta al lumicino, perchè se non avesse avuto il Covid-19, probabilmente sarebbe al circolo ricreativo a giocare a scopa con i suoi amici.

Allora, per togliere qualsiasi dubbio su una “cattiva raccolta” dei dati, ritengo esista una maniera semplice e rapida, alla fine giustamente adottata dall’ISTAT che ha fugato i dubbi di tutti :

  1.  MORTALITA’ TOTALE DEI MESI FEBBRAIO-APRILE 2020
  2. SOTTRARRE QUELLA UFFICIALE PER COVID-19
  3. OTTENERE IL DATO DI MORTALITA’ NON COVID-19
  4. RACCOGLIERE LA MORTALITA’ NELLO STESSO PERIODO DAL 2015 AL 2019
  5. CONFRONTARE I DATI

Devono essere comparabili, e, se non lo sono, bisogna valutare perchè.

Se andiamo a valutare i dati ISTAT, si evince per la regione Lombardia un incremento di mortalità rispetto al quinquennio precedente di oltre 16.000 decessi per il periodo febraio-aprile. Andando nello specifico, si raggiungono vette del 576% in più nella bergamasca, che rappresentano un vero e proprio record mondiale.

Approccio non coerente con il concetto di pandemia e scelte strategiche differenti.

Esistono delle differenze strategiche sostanziali tra la sanità lombarda e quella veneta che partono da molto lontano e rispecchiano una differente storia.

Partiamo da quella  lombarda, tendenzialmente pragmatica e di fatto formulata e impostata nei diciassette anni di governatorato Formigoni, quando l’inserimento di soggetti privati nell’ambito della sanità pubblica diventa asse portante della logica sanitaria.

 Si chiede a grossi gruppi finanziari di investire in sanità erigendo strutture e ospedali, di sicura qualità, con l’impiego di capitali propri, e, una volta portata a compimento l’operazione, con il sistema dell’accreditamento tutto il successivo impegno finanziario è passato ai fondi del SSN, quindi pubblici, stornandoli necessariamente dalle strutture pubbliche, che progressivamente sono andate in affanno per ingravescente carenza di personale e di investimenti.

I successivi otto anni a condotta Leghista, con Maroni prima e Fontana a seguire, hanno completato l’operazione strategica, togliendo risorse alla sanità del territorio tanto che il senatore Giorgetti il 26 agosto 2019 si lasciava andare:“Nei prossimi 5 anni mancheranno 45 mila medici di base, ma chi va più dal medico di base? Nel mio piccolo paese vanno a farsi fare la ricetta medica, ma chi ha  meno 50 anni va su internet e cerca lo specialista. Il mondo in cui ci si fidava del medico è finito”.

Quindi con il chiaro intento di portare a compimento quello che il buon Maroni aveva iniziato: sottrarre risorse e personale alla Medicina del Territorio.

In atto, la Regione Lombardia sta cercando di convincere i cittadini lombardi con malattie croniche, 3 milioni e 350.00 persone, ad affidare la cura di tali patologie ad un “gestore”, che nel 70% dei casi è una società privata che opererebbe con soldi pubblici. Essendo enti profit è legittimo pensare che il loro obiettivo più che la salute sarà il profitto. Alla voracità non c’è limite e la torta è immensa (la spesa sanitaria per i malati cronici in Lombardia supera i 10 miliardi).

 Il tutto non è casuale e ha una logica progettuale ben specifica, che viene contrabbandata per efficienza, termine che in Lombardia è abusato oltre ogni limite. L’efficienza di cui si parla è strettamente correlata al fine ultimo di un Servizio Sanitario Nazionale, che è fondamentalmente etico secondo i dettami della nostra Costituzione. Ma quando con il passaggio alla cosidetta aziendalizzazione  delle strutture sanitarie in realtà, in modo subdolo, si è modificato il fine ultimo trasformandolo da Etico a Monetario con sullo sfondo ben visibile ” Il Profitto”.

 Allora  l’Efficienza Lombarda ha un soprassalto e intuisce che se noi investiamo in programmi di prevenzione, ad esempio, sul territorio, dobbiamo impiegare risorse umane ed economiche con l’obiettivo di ridurre l’incidenza di alcune malattie, riducendo quindi i costi futuri del SSN. Facciamo un piccolo esempio. Se si programma una campagna per la riduzione del rischio cardio-vascolare con l’obiettivo di ridurre a dieci anni il numero di eventi maggiori (infarti, ictus cerebrali), si deve impegnare la rete dei medici di base e gli specialisti territoriali, si deve investire in monitoraggio strumentale (laboratorio, cardiologico, vascolare, metabolico e via dicendo) e in supporto farmacologico per dieci anni per ottenere il risultato previsto, che è quello di ridurre il numero di soggetti con eventi maggiori, con ovvi vantaggi individuali (riduzione del numero di soggetti con infarto e ictus), sociali (recupero ore lavoro altrimenti perse), economici per il SSN (minor numero di eventi maggiori).

E gli ospedali che fanno?

Allora invertiamo la rotta e torniamo all’Efficienza, riduciamo al lumicino il territorio, la popolazione si ammalerà e dovrà recarsi negli ospedali per curarsi, per carità anche con ottime cure, e abbiamo trovato l’uovo di Colombo. Più gente si ammala più lavoro negli ospedali, quindi maggiori flussi finanziari. Non vorrei apparire cinico, ma credo che alla fine quello che succede può essere spiegato con parole e concetti semplici.

La verità ha una sua semplicità che la correla alla sua evidenza.

Vediamo qualche numero :


La spesa sanitaria in Lombardia supera i 18 miliardi, pari a oltre il 70% del bilancio regionale.

 Quindi il quadro complessivo prevede una progettazione sanitaria di tipo ospedalocentrica, con buone e anche ottime strutture ospedaliere e un territorio desertificato di quadri operativi e vigilanza sanitaria reale ed Efficiente (questa volta lo dico io).

Il Veneto ha una storia differente, molto legata alla presenza cattolica associativa e quindi necessariamente con una visione più votata al territorio, che si è tradotta in una presenza privata decisamente meno vistosa e invadente e mantenendo una struttura territoriale consistente.

Nel 2010, emerge, il Fondo Sanitario Regionale era di 8 miliardi 137 milioni, dei quali 719 milioni per i privati. Nel 2018, il Fondo Sanitario Regionale è ammontato a 8 miliardi 913 milioni (+9%) dei quali 634 milioni per i privati (-12%). In Veneto, inoltre, le strutture private accreditate risultano aver contratto la loro attività, riducendola dal 27% (anno 2010) al 16% (anno 2018).

Questo ha fatto la differenza , insieme alla non marginale presenza all’Università di Padova di un microbiologo di poche parole ma di molti fatti, il Prof. Andrea Crisanti, che, contrariamente al panorama lombardo lanciato nella ricerca delle terapie intensive senza occuparsi minimamente del territorio, si è buttato “ventre a terra” alla ricerca dei focolai, operando ad esempio a Vo’ Euganeo con tamponi a tappeto sull’intera popolazione, ripetuti a due settimane, e quindi lavorando principalmente sul territorio, ben comprendendo che una battaglia contro una pandemia la vinci solo sul territorio, impedendo che l’onda di piena si formi, perché, se questo succede, sarai travolto, e non esiste un sistema sanitario al mondo in grado di reggerla.

Quali possono essere stati gli elementi che hanno travolto la Lombardia ?

  1. Densità abitativa
  2. Alta circolazione individuale
  3. Inquinamento atmosferico
  4. Presenza del virus sottotraccia da settimane prima del 21 febbraio
  5. Inadeguatezza del Sistema Sanitario
  6. Errori strategici decisionali

La Lombardia è la  quarta regione italiana per dimensioni, dopo Sicilia, Piemonte e Sardegna, ma la seconda per densità di popolazione dopo la Campania (422 vs 424 per Km2). Questo sicuramente favorisce le diffusioni epidemiche, ma nel mondo abbiamo numerosissime zone a densità anche molto più alta, e finora nessuno ha eguagliato i numeri lombardi

La grande mobilità personale, in gran parte con i sistemi di trasporto pubblico, è grande elemento di trasmissione del virus, ma anche questo è comune a innumerevoli aree metropolitane nel mondo

Esistono studi recenti che correlano la diffusione del Covid-19 con le PM10 atmosferiche (ARPA), ma anche questo è comune a innumerevoli aree metropolitane nel mondo.

Questi tre elementi sicuramente hanno favorito il diffondersi della pandemia, ma, ripeto, non si tratta di Unicità, ma di condizioni presenti in almeno un altro centinaio di siti nel mondo.

Sulla presenza del Covid-19 sottotraccia per un periodo non ancora chiarissimo, ma sicuramente oscillante fra alcune settimane e circa due mesi, si dibatte da tempo con dati concreti. E’ molto verosimile che dal focolaio di partenza cinese il virus sia partito con inconsapevoli vettori umani, con ragionevole certezza nel mese di dicembre 2019 e forse anche prima, raggiungendo le piazze a elevato scambio commerciale con la Cina (Francoforte , Milano, Londra) . Il Paziente 0, almeno in Italia, sembra essere stato un imprenditore tedesco venuto in lodigiana ai primi di febbraio, anche se oggi si cercano pazienti ben prima di quella data. E qua vengono i nodi al pettine, partendo da ripetute episodiche rilevazioni, cadute nel vuoto, di molti colleghi di Medicina di Base, sin dalla fine di dicembre e nel mese di gennaio, polmoniti virali in numero decisamente anomalo rispetto ai dati degli anni precedenti e con caratteristiche atipiche.

Ecco dove il sistema non ha iniziato a funzionare, per la mancata raccolta di informazioni così preziose con conseguenti misure di contenimento e chiarimento del fenomeno anomalo. E dire che già si sapeva ampiamente cosa stava succedendo a Wuhan.

Ma la Cina è lontana . Si è dovuto attendere la positività dei due coniugi cinesi allo Spallanzani di Roma e la felice intuizione di una giovane e brava anestesista dell’Ospedale di Codogno, la dott.ssa Annalisa Malara, che, non rispettando i protocolli, ha insistito per chiedere un tampone per il Covid-19,  rivelando che la Cina era vicina ed era arrivata. “L’obbedienza alle regole mediche è tra le cause che ha permesso a questo virus di girare indisturbato per settimane” ha dichiarato la collega, e questo dimostra quanto sia importante alimentare il pensiero creativo nei giovani medici invece di comprimerlo in protocolli e linee guida, ma questa è un’altra storia.

Quello che è mancato in Lombardia è stata la capacità di leggere quello che succedeva nel territorio e questo ha bruciato qualsivoglia possibilità di anticipare la pandemia.

Seconda conseguenza immediata, gli ospedali, che diventano i luoghi dove convergono sempre più numerosi pazienti con severe complicanze polmonari, per due o tre giorni diventano luogo di contagio, per il personale sanitario e per chi a qualsiasi titolo si trovi in un Pronto Soccorso.

E questo succede perchè non si è avuta la capacità di leggere il territorio e perchè un Sistema Sanitario basato sulla centralità dell’ospedale, che marginalizza il territorio, ha una vulnerabilità estrema a qualsivoglia fenomeno pandemico.

Siamo all’inizio della fine: scarsa disponibilità di Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) con ecatombe di medici e operatori sanitari a qualsivoglia titolo. Dai dati in mio possesso, ai primi di giugno si contano quasi 170 medici , oltre 40 operatori sanitari, e due suicidi. Di questi bisogna sottolineare che oltre la metà sono medici di base e, a questo punto , non mi posso trattenere dal ricordare al Senatore Giorgetti questi numeri, sottolineando che forse in futuro potremmo fare a meno di tuttologi, con nessuna competenza, piuttosto che di medici.

Si consuma tutto in venti giorni scarsi, dal 21 febbraio al 9 marzo, giorno del lockdown .

Credo che ci sia l’imbarazzo della scelta nell’elencare gli errori strategici commesi dai decisori politici, supportati da fantomatici comitati tecnici, ma se devo proprio scegliere quell’ordinanza della regione Lombardia sulla necessità che le RSA mantengano al loro interno anche i malati sospetti Covid, dobbiamo dire sospetti, per il semplice fatto che la politica dei tamponi ha escluso le RSA , e quindi la gran parte dell’ecatombe non è tecnicamente “certificata Covid”.

L’ordinanza in questione, del 08/03/2020, su disposizione dell’assessore al welfare G. Gallera, approvava con voto favorevole dell’intera Giunta Regionale la disposizione che in Allegato 1 recitava testuale : “l’individuazione da parte delle ATS di strutture autonome dal punto di vista strutturale (padiglione separato dagli altri o struttura fisicamente indipendente) e dal punto di vista organizzativo, sia di strutture non inserite nella rete dell’emergenza-rgenza e POT, sia di strutture della rete sociosanitaria (ad esempio RSA) da dedicare all’assistenza a bassa intensità dei pazienti COVID positivi

Quell’ordinanza ha di fatto condannato una generazione di pazienti anziani (e fragili per definizione)  alla permanenza in un ghetto, senza possibilità di alcun contatto con l’esterno. In un mese, dal 13 aprile al 13 maggio, ne sono morti 4154.

 Le modalità del lockdown nel bresciano e nella bergamasca inducevano il Corriere della Sera a scrivere a metà marzo: “Quasi un terzo dei contagi si trova tra le aziende d’ogni genere dei due polmoni economici d’Italia, Brescia e Bergamo. Brescia è la prima in classifica per densità produttiva, seguita da Milano e, appunto, Bergamo, che ha 4.305 contagi e 84 mila imprese attive nelle quali lavorano 385 mila dipendenti. Brescia ha 3.783 contagi, 107 mila ditte e 402 mila lavoratori. Stare a casa è più facile dirlo che farlo qui, dove, per ammissione di Confindustria Lombardia ,il 73% delle imprese sta andando avanti, come in tutta la regione. Come dire che nelle aree più epidemiche mezzo milione di lavoratori continua a fare avanti e indietro casa-lavoro.

Quindi si arriva al paradosso che la Beretta, nota fabbrica di armi del bresciano, ha continuato a lavorare sempre come se nulla fosse . Le armi ovviamente sono attività essenziali . Le pressioni di Confindustria Lombardia sia sul Governo Regionale, che probabilmente anche su quello Nazionale, sulla non chiusura come zona rossa a Nembro e Alzano Lombardo sono oggetto di un’inchiesta della Magistratura, come è a tutti noto.

 Tutto questo è costato vite umane , paralisi non di una regione, ma di una nazione, danni economici incalcolabili. Perchè non si sono chiuse tutte le attività produttive non essenziali e si continua ad avere questo stillicidio di contagi sino ad oggi, quando, sul numero di contagi generali, quello lombardo pesa per il 65% . Abbiamo tenuto i Parchi chiusi e i bimbi a casa, ma la Beretta aperta .

Anche i media hanno avuto la loro parte. Tutta l’enfasi sulla Rianimazione in Fiera, costruita in sei giorni, meglio dei cinesi, costata 22 milioni di euro, di donazioni di privati cittadini, con 250 posti di Rianimazione, l’inaugurazione con Fontana e Gallera a fare gli onori di casa, bello spot elettorale, per la più inutile delle opere immaginabili. Con la stessa cifra si sarebbe potuto mappare tutto il territorio lombardo e metterlo in sicurezza oppure finanziare mille borse di studio per anestesisti rianimatori, per fronteggiare il futuro.  Ma si è costruita una cattedrale nel deserto territoriale, la cui massima occupazione è stata di 10 malati ricoverati. Sono curioso di sapere cosa ne penserà la Magistratura.

Questo continuo insopportabile rimpallo sulle responsabilità decisionali, quando questa disastrosa Sanità consegnata alle Regioni attribuisce ogni potere decisionale alle strutture regionali.

Facciamo un esempio. Le Regioni hanno istituito oltre duecento zone rosse dalla Val D’Aosta alla Sicilia, comunicando  dopo ai poteri centrali le decisione di chiudere territori più o meno ampi per il contenimento dei focolai individuati. Soltanto Gallera e Fontana non avevano contezza di avere questo potere, come la triste storia di Nembro e Alzano racconta.

Ho la sgradevole sensazione che alla fine si tirerà a campare e che i veri problemi sollevati da questo disastro resteranno insoluti come atavica italica abitudine.

I medici e gli operatori sanitari eroi, lasciamo stare la retorica, tutti  fanno il loro lavoro, molti con passione ed abnegazione, ma i programmi per fronteggiare la carenza di personale medico specializzato dove sono ?

Siamo certi che aver creato 21 piccoli Sistemi Sanitari Regionali, 21 piccole repubbliche marinare,  sia un’ operazione sensata e utile all’unico destinatario del servizio: il cittadino?

Oppure bisogna riflettere sul riportare il timone di alcune direttive al Governo Centrale, lasciando alla periferia la sensibilità e l’indirizzo per le soluzioni da concordare?

Se esistono disponibilità economiche europee finalizzate  alla Sanità, vediamo di dare corpo a progetti a medio-lungo termine, mettendo al centro la ricerca e la formazione. Abbiamo bisogno di statisti, che sappiano lanciare il cuore oltre l’ostacolo e che non abbiano paura che i benefici delle loro scelte saranno raccolti da altri. Dei politicanti di bassa lega non abbiamo cosa farcene.

Dedicato  a tutti coloro che non ce l’hanno fatta, a quella generazione di padri, madri e di nonne , nonni , che è stata falciata in questi drammatici mesi, portando per sempre via il loro affetto, la loro memoria familiare, i loro sorrisi .

Abbiamo il dovere di trovare soluzioni migliori. Lo dobbiamo a loro.

Una società che perde la memoria è una società senza futuro                                                          

Aldo Di Piazza: Nato ad Agrigento il 14/05/1950, ha conseguito la Laurea in Medicina e Chirurgia all'Università di Palermo nel luglio 1975 con 110/110 cum laude . Ha conseguito la specializzazione in Medicina Interna nel 1980 presso la Clinica Medica, diretta dal Prof. Edoardo Storti, dell'Università di Pavia . Ha prestato servizio come studente interno, dal 1971 al 1975, ed a seguire come Medico Interno sino al 1980, presso l'Istituto di Patologia Medica, diretta dal Prof. Giandomenico Bompiani, dell'Università di Palermo. Si è costantemente occupato di Metabolismo ed è stato responsabile del Centro Antidiabetico Mediterraneo, struttura accreditata al Servizio Sanitario Nazionale, sita a Palermo sino al 1990. Da allora sino al pensionamento, nel 2020, è stato responsabile di ambulatori territoriali di Medicina Interna e Diabetologia presso l'ASP 6 di Palermo e presso l'isola di Lampedusa nel poliambulatorio SSN. Grande esperienza nella gestione di patologie croniche e degerative sul territorio e nelle realtà isolane. Socio ordinario della SIMI (Società Italia Medicina Interna) e della SID (Società Italiana Diabetologia) da lunga data. Della SIMDO (Società Italiana Metabolismo Diabete Obesità) più di recente. Componente del Consiglio Direttivo Regionale SID per due quinquenni. Amante della lettura, della musica e della fotografia.

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  • Condivido, anche se da non addetta ai lavori, l’analisi e le considerazioni del dott. Di Piazza; La recente pandemia ha segnato la pagina più nera della Sanità Lombarda, già scossa dagli scandali “Formigoni”. La abnegazione e il sacrificio di medici e infermieri ( beata la patria che non ha bisogno di eroi!) non possono cancellare gli errori e la dissennatezza del sistema.

  • Da non addetto ai lavori, non posso, purtroppo, non condividere le valutazioni del Dottor Di Piazza! Vivendo nel profondo Sud (forse dovrei dire “non in Italia “) nutro grandi preoccupazioni per, ed in caso di, una nuova ondata di contagi; in Lombardia è stato approntato il maxi ospedale alla fiera, lì dove di posti in terapia intensiva c’è ne erano un discreto numero, non è stato fatto niente in Sicilia: possiamo solo fidare nella competenza ed abnegazione degli Operatori Sanitari e nell’Eterno Padre! Auguri a tutti!!!

  • bel lavoro, del tutto condivisibile, specie per l'attenzione al territorio, certamente trascurato, non solo in Lombardia

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