Lampedusa, doppio incendio ai barconi dei migranti. Tanta diossina e clima di odio

Vigili del Fuoco impegnati con le fiamme dell'incendio ai barconi dei migranti di Lampedusa la sera del 5 giugno 2020

di Mauro Seminara

Ore 22, a Lampedusa la popolazione è a casa ed ha da poco finito di cenare, il vento soffia forte da nord. Le fiamme si alzano dal piccolo cimitero di barche con cui i migranti avevano raggiunto l’isola e che si trovano abbandonate in un’area adiacente il campo di calcio. Una dopo l’altra escono le autopompe dei Vigili del Fuoco, ma il vento alimenta le fiamme e le barche di legno intrise di oli esausti e residui di carburante vengono immediatamente avvolte dalle fiamme. Due grosse autopompe sparano acqua alla base delle fiamme per raffreddare le barche e domare il rogo, ma non c’è nulla da fare. L’incendio verrà domato solo dopo mezzanotte, quando la materia prima del rogo è quasi esaurita. Una dozzina di barche e barconi accumulati in pieno centro abitato sono stati distrutti e l’isola ha respirato per oltre due ore una enorme nuvola nera di fumo, acre. Tossica.

Sulla matrice dolosa non c’è alcun dubbio e non è necessario attendere la perizia dei Vigili del Fuoco. Ad escludere che si possa trattare di un incendio spontaneo è la perfetta coincidenza di orario e di soggetto in fiamme. Nei pressi del “Giardino della memoria”, luogo dedicato alla memoria delle 366 vittime del naufragio del 3 ottobre 2013, in direzione di Capo Ponente, alcuni barconi erano stati posati in una esposizione museale a cielo aperto. Anche questi, che erano assolutamente isolati da tutto e da tutti, alla stessa ora bruciavano di fiamme indomabili. Con priorità al centro abitato, ai Vigili del Fuoco di Lampedusa, impegnati a tutto spiano e con ogni mezzo, rimaneva una sola autopompa disponibile per tonnellate e tonnellate di legno, olio e gasolio. Avvolte dalle fiamme anche le barche sulla parte ovest di Lampedusa, con il vento che lassù soffiava ancora più forte, per i Vigili del Fuoco c’era da sperare di poterne salvare soltanto una; almeno in parte.

Il vento che soffia su Lampedusa è questo, capace di dare alle fiamme un museo, di distruggere la memoria come i negazionisti dei lager nazisti, di coprire la Porta d’Europa che venne ideata e dedicata ai migranti che sono morti nel Mediterraneo centrale nella speranza di raggiungere l’Europa. Il vento che soffia a Lampedusa è il più becero che una società civile possa immaginare nel secolo corrente. Non ci sono equivoci su artisti recentemente scomparsi che usavano incendiare memoria e monumenti come Christo usava impacchettare ciò che lo ispirava. Ed è poco probabile che un artista potesse pensare di chiudere la porta aperta alle anime delle vittime di uno sterminio diluito nel mare. A Lampedusa ci si può adesso anche attendere che nottetempo vengano strappate le piante del Giardino della Memoria, o che al cimitero vengano devastate le tombe di quanti sono morti ma non sono rimasti dispersi sul fondo del mare. Nessuna pietà ha la propaganda miserabile che a Lampedusa sta sostituendo il buonsenso con l’odio e la protesta con il crimine.

Domani sull’isola è previsto l’arrivo del ministro per il Sud e la coesione territoriale Giuseppe Provenzano. Il ministro era stato invitato dopo il misfatto criminale commesso sul monumento del maestro Mimmo Paladino, la “Porta d’Europa”. In programma un incontro con varie associazioni di categoria e comitati locali dopo che il ministro ha accettato l’invito di Pietro Bartolo, oggi europarlamentare in quota PD. Ma alla luce di quanto accaduto ieri sera, alla vigilia della visita del ministro senza portafoglio, è forse più indicato un viaggio del procuratore capo di Agrigento che di un politico. Sarà infatti la Procura della Repubblica di Agrigento a dover indagare, a questo punto, non su diversi episodi “di protesta” o di pessimo gusto – oltre che molto pericolosi – ma su una serie di eventi che costituiscono un grave clima di odio con una persistente nota di razzismo. Eventi capaci di distruggere la storia e la memoria, come nel caso dei barconi installati sul lato nordovest di Lampedusa.

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Informazioni su Mauro Seminara 704 Articoli
Giornalista palermitano, classe '74, cresce professionalmente come fotoreporter e videoreporter maturando sulla cronaca dalla prima linea. Dopo anni di esperienza sul campo passa alla scrittura sentendo l'esigenza di raccontare i fatti in prima persona e senza condizionamenti. Ha collaborato con Il Giornale di Sicilia ed altre testate nazionali per la carta stampata. Negli anni ha lavorato con le agenzie di stampa internazionali Thomson Reuters, Agence France-Press, Associated Press, Ansa; per i telegiornali nazionali Rai, Mediaset, La7, Sky e per vari telegiornali nazionali esteri. Si trasferisce nel 2006 a Lampedusa per seguire il crescente fenomeno migratorio che interessava l'isola pelagica e vi rimane fino al 2020. Per anni documenta la migrazione nel Mediterraneo centrale dal mare, dal cielo e da terra come freelance per le maggiori testate ed agenzie nazionali ed internazionali. Nel 2014 gli viene conferito un riconoscimento per meriti professionali al "Premio di giornalismo Mario Francese". Autore e regista del documentario "2011 - Lampedusa nell'anno della primavera araba", direttore della fotografia del documentario "Fino all'ultima spiaggia" e regista del documentario "Uomo". Ideatore e fondatore di Mediterraneo Cronaca, realizza la testata nel 2017 coinvolgendo nel tempo un gruppo di autori di elevata caratura professionale per offrire ai lettori notizie ed analisi di pregio ed indipendenti. Crede nel diritto all'informazione e nel dovere di offrire una informazione neutrale, obiettiva, senza padroni.

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