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Bambini e adolescenti dopo la quarantena

di Franca Regina Parizzi

Ci vorranno parecchi mesi per valutare l’impatto del lockdown sulla salute psichica e sociale dei bambini e degli adolescenti. Alcune considerazioni sono tuttavia possibili già adesso. Considerazioni non soltanto mie personali, come pediatra, ma derivate da uno scambio di opinioni, osservazioni ed esperienze tra pediatri e neuropsichiatri infantili, in collegamento tra loro secondo le modalità del webinar (cioè della tavola rotonda/seminario interattivo su Internet), nonché dall’articolo precedentemente pubblicato su questa rubrica da Marina Massenz (Bambini e lockdown. Come va? All’inizio tutto bene…”).

Alcune precisazioni preliminari. Il pediatra non si occupa soltanto della salute fisica dei propri pazienti (soggetti in età evolutiva, cioè dalla nascita ai 18 anni), non è un semplice “aggiustatore”, “riparatore” di malesseri organici, ma è in senso più ampio un consulente della famiglia, attento ai bisogni globali e ai diritti dei propri pazienti, che sono sia i bambini che gli adolescenti.

Le prime osservazioni sull’impatto del lockdown sui bambini e sugli adolescenti sono state registrate in Cina come alterazioni del comportamento: irritabilità, aggressività, disturbi del sonno e dell’alimentazione. Solo attraverso un rapporto di reciproca fiducia e un ascolto empatico dei genitori possono emergere questi problemi. Certamente il lockdown ha rappresentato una dura prova delle competenze genitoriali. I genitori di oggi sono più de-responsabilizzati rispetto a una volta e tendono a delegare. Delegano alla scuola l’educazione (salvo interferire e criticare spesso pesantemente l’operato degli insegnanti), delegano al pediatra anche i più banali problemi dei figli, che potrebbero essere risolti semplicemente con il buon senso. La competenza genitoriale è  fondamentale e tutti i genitori in fondo la possiedono, ma occorre aiutarli a prenderne possesso.

Un comportamento iperprotettivo, tipico della mamme italiane e della società attuale, è negativo per i figli. I genitori devono essere una guida per i figli e questo concetto va applicato sin dalla più tenera età. Guida non vuol dire possesso. I bambini non tollerano i NO, le frustrazioni, ma i genitori non devono cedere. Regole e autorevolezza sono requisiti indispensabili per crescere. Questo non vuol dire che i figli debbano essere dei semplici burattini, perché un proprio spazio di segreti, di bugie e di marachelle fa parte del normale sviluppo, dell’emancipazione. E’ un ambito privato, personale, intimo che tutti, bambini e adolescenti compresi, hanno diritto ad avere. Non per questo le bugie, quando scoperte dai genitori, devono essere tollerate. Ma una certa quota di bugie non scoperte hanno fatto parte della vita di tutti noi, da piccoli e da giovani.

La pandemia da coronavirus e la conseguente quarantena obbligata ha messo in crisi i genitori.

La comunicazione mediatica e politica è stata deliberatamente improntata a creare e ad alimentare la paura, l’angoscia negli adulti. Queste emozioni, contagiose come e più del coronavirus, si sono inevitabilmente trasmesse anche ai piccoli e ai giovani. L’angoscia degli adulti è conseguente non soltanto ai timori per la salute, ma anche alle preoccupazioni per il lavoro e alle difficoltà economiche. Ed è evidente pertanto come l’impatto della quarantena obbligata sia stato diverso a seconda del contesto sociale ed economico del nucleo familiare.

La sindrome della tana, della casa come rifugio, guscio protettivo, che improvvisamente viene a mancare con la riapertura post-lockdown, lasciando un senso di smarrimento e di difficoltà di re-inserimento, si è osservata non solo negli adulti, ma anche nei bambini e negli adolescenti.

Costretti a vivere chiusi in casa, anche nei casi di una prigione dorata, i bambini e gli adolescenti hanno pagato un caro prezzo: è venuta a mancare la possibilità di sperimentazione di sé e di costruzione delle relazioni. Indispensabile alla crescita psicologica e sociale, alla costruzione della propria identità, dell’autostima e della fiducia in se stessi, che si acquisisce solo attraverso le relazioni e il confronto. Volare via dal nido è importantissimo. E’ una tappa indispensabile all’emancipazione. I bambini hanno bisogno di confrontarsi con i propri pari, ma hanno bisogno anche di fisicità, di toccarsi, di abbracciarsi, magari anche di fare a botte. Questa fisicità è mancata e probabilmente sarà impedita ancora per lungo tempo.

E a proposito di fisicità nei rapporti, in particolare nel rapporto genitori/figli, possiamo immaginare il trauma psicologico dei bambini in quelle case in cui un genitore ammalato era isolato in una stanza. O un genitore che, lavorando in ospedale, rientrato a casa era costretto ad allontanare i figli rifiutando i loro abbracci. Situazioni certamente difficili da spiegare ai figli, difficili da capire e da accettare  per i piccoli.

Ancora più difficili sono le situazioni in cui una persona della famiglia è stata ricoverata in ospedale per Covid-19 o ha perso la vita per questa malattia. Se queste perdite sono difficili da accettare e da elaborare da parte degli adulti, a maggior ragione lo sono per i piccoli. Spesso i bambini capiscono tutto semplicemente a livello empatico, registrando e facendo proprie le angosce dei genitori. E’ importante dire loro sempre la verità, con il linguaggio appropriato, adatto alla loro età e a loro comprensibile. Non dire la verità crea nei bambini frustrazione, sfiducia, sensazione di tradimento da parte dei genitori, può generare addirittura sensi di colpa (“è colpa mia se non merito la fiducia dei miei genitori”). La bugia impedisce l’elaborazione della vicenda dolorosa (malattia, lutto) da parte del bambino. E così il mistero diventa “il mostro”. 

Quanto agli adolescenti, i problemi non sono minori. L’adolescenza implica un processo, spesso sofferto e difficile, di costruzione del proprio io attraverso la contestazione dei modelli genitoriali e l’identificazione nel gruppo, al di fuori della famiglia. E’ evidente come la convivenza forzata h24 con i genitori e la mancanza di contatti esterni reali abbiano creato non pochi problemi agli adolescenti. L’impossibilità di relazioni nel mondo reale li ha spinti a un ossessivo utilizzo delle tecnologie per mantenere e coltivare le relazioni nel mondo virtuale. Gli adolescenti sono stati inoltre pesantemente criticati e additati come untori per la loro legittima voglia di aggregazione nelle fasi di riapertura. Anche in questo senso la comunicazione mediatica è stata errata, colpevolizzante, probabilmente per nascondere ben altre inefficienze e colpe a carico delle istituzioni.

Paradossalmente, sono stati liberi i “vecchi”, gli over 50, quelli che dovevano lavorare (in Lombardia il 50% delle aziende non mai hanno chiuso), quelli più a rischio, mentre sono state murate vive le nuove generazioni, quelle meno a rischio.  

Alcune famiglie, nelle quali la relazione d’amore è la base della convivenza, hanno vissuto l’esperienza della quarantena come positiva, come un’opportunità di stare insieme e di essere più uniti. Diverse e più complicate sono invece le situazioni di rapporto conflittuale tra i genitori, che la convivenza forzata ha esasperato. In questi casi, per i figli l’esterno rappresentava l’unico modo per evadere da una situazione dolorosa, l’ancora di salvezza, che è venuta a mancare.

Per non parlare dei casi più gravi di violenza domestica intra-familiare (aumentati durante il lockdown) che i figli si sono trovati a vivere o ad assistervi.

Nel caso di genitori separati, i bambini sono stati costretti a vivere un lungo periodo con un solo genitore, privati della presenza dell’altro genitore (la normativa di deroga al lockdown in questi casi era poco chiara).

Tutti i genitori hanno accumulato un grosso stress dovuto alla chiusura protratta delle scuole.

Dopo che, come pediatri, abbiamo sostenuto l’importanza di limitare nei bambini e nei ragazzi l’uso di smartphone, tablet, PC, TV ecc. a non oltre un’ora al giorno, è arrivata la didattica a distanza, che li ha costretti a un’esposizione eccessiva allo schermo.

Si sono registrati anche episodi gravi di hacker che si sono inseriti nella piattaforma online della scuola. Una bambina, chiamata per nome, dopo una parte iniziale che utilizzava il collegamento con gli insegnanti, ha ricevuto proposte oscene (per fortuna la madre se ne è accorta).

In aggiunta al carico di lezioni di didattica online, molti genitori e ragazzi hanno lamentato un carico eccessivo di compiti e molti bambini hanno manifestato un rifiuto verso i compiti. I genitori si sono trovati a svolgere un ruolo di aiuto e di vigilanza nei confronti dei figli per controllare il loro impegno nella didattica online. Molti di loro senza avere peraltro le competenze per seguire i figli nella scuola a distanza. Quel che è certo è che bambini e adolescenti sono stati sottoposti a ritmi di lavoro e di vita esageratamente organizzati. In alcune famiglie si sono creati problemi legati alla necessità di utilizzare contemporaneamente gli strumenti informatici da parte di più figli per la didattica a distanza e dei genitori per lo smartworking. A parte queste situazioni, tutt’altro che rare, la didattica online ha amplificato il divario sociale: circa un milione e mezzo di studenti non hanno potuto beneficiarne per mancanza di strumenti (PC, tablet) e/o di connessione a Internet. Sono stati così violati gli art. 33 e 34 della Costituzione che sostengono il diritto allo studio per tutti.

La didattica a distanza non può in alcun modo sostituire la scuola

La scuola deve creare competenze, non può essere solo dispensatrice di conoscenze.

Le conoscenze sono una cosa, le competenze sono altro.

La competenza implica l’interiorizzazione delle conoscenze,

la traduzione delle conoscenze apprese nella pratica, nella risoluzione di problemi,

e si costruisce con il confronto e la relazione tra gli individui.

Franca Regina Parizzi: Nata a Milano il 15.12.1947, ha conseguito la laurea in Medicina e Chirurgia nel 1972 presso l’Università degli Studi di Milano con voti 110/110 e lode. Nel 1974 è stata assunta presso l’Ospedale San Gerardo di Monza, inizialmente come Assistente nel Reparto di Malattie Infettive e successivamente, dal 1980, nel Reparto di Pediatria, divenuto nel 1983 sede della Clinica Pediatrica dell’Università degli Studi di Milano Bicocca, ove ha ricoperto successivamente (dal 1988) il ruolo di Aiuto Corresponsabile Ospedaliero, e, dal 2000, di Dirigente Medico con incarico di Alta Specializzazione. Ha conseguito la Specializzazione in Malattie Infettive e successivamente in Chemioterapia, entrambe presso l’Università degli Studi di Milano. Nel 1977 e 1978 è stata responsabile del Reparto di Pediatria presso l’Hôpital Général de Kamsar (République de Guinée – Afrique de l’Ouest) nell’ambito della Cooperazione Tecnica con i Paesi in via di sviluppo del Ministero degli Affari Esteri italiano. Autrice di numerose pubblicazioni scientifiche su riviste nazionali e internazionali e relatrice in diversi convegni (nazionali e internazionali). Dal 2010 si è trasferita da Monza a Lampedusa, isola alla quale è profondamente legata, dove esercita tuttora la sua attività come pediatra.

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  • Molto giusto quello che dici. Concordo. Mi viene da sottolineare in particolare tre punti: 1) attuale smarrimento e difficoltà nel re-inserimento; 2) il bisogno di fisicità e di contatto, specie per bambini e adolescenti, che in questo momento è comunque precluso; 3) i limiti di esposizione alle tecnologie, che abbiamo difeso e sostenuto a oltranza, sono saltati. Con danni conseguenti. Ora l'importanza del ritorno alla scuola "in presenza" si impone, è necessario!

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