Covid-19: Tra scienza, social network e mass media

Benessere è Salute - Rubrica a cura della dottoressa Franca Regina Parizzi

di Franca Regina Parizzi

Da quando è iniziata l’epidemia da coronavirus ad oggi si è riversata sui media e sui social network una quantità di informazioni –  spesso soltanto opinioni, di esperti e non -, che hanno contribuito a creare nei “non addetti ai lavori” una grande confusione, ma anche ad alimentare speranze e convinzioni sulla base di inesistenti o insufficienti prove scientifiche.

Molti esperti sono stati in contraddizione tra loro e molti hanno espresso opinioni che loro stessi hanno successivamente contraddetto. Tutto normale. In Medicina si fanno ipotesi, che poi possono verificarsi valide o infondate con il progredire delle conoscenze e dell’esperienza. Sarebbe tutto normale se questi dibattiti si fossero limitati al contesto scientifico, più adatto al confronto e alla discussione. Tuttavia, nel momento in cui le ipotesi scientifiche vengono “volgarizzate” la prudenza è d’obbligo. Ho usato il termine “volgarizzare” non nel suo senso spregiativo, naturalmente. “Volgarizzare” nel senso di esporre concetti scientifici in maniera chiara, comprensibile e accessibile a tutti. 

L’esposizione (sovraesposizione) mediatica è stata molto probabilmente un’esperienza del tutto nuova per molti medici e scienziati, che hanno sottovalutato non soltanto l’impatto sull’audience, ma anche i rischi di strumentalizzazione. Un esempio eclatante e recentissimo è quello del Dott. De Donno, primario pneumologo all’Ospedale di Mantova,  per la sua terapia sperimentale con il plasma dei guariti da Covid-19.  Il medico si è trovato al centro di teorie complottiste, che sostengono come il Governo, i poteri forti (Big Pharma) e Bill Gates ostacolino la sua terapia per promuovere il prossimo vaccino anti-coronavirus finanziato dal miliardario americano.

Da La Nuova Padania:

Da Open:

Su questa nuova sperimentazione con il plasma dei guariti torneremo dopo. Adesso vediamo di ripercorrere le tappe delle conoscenze su questa malattia e quindi delle cure.

Inizialmente siamo venuti a conoscenza che questo coronavirus causava una polmonite interstiziale, responsabile di grave insufficienza respiratoria, tale da richiedere la ventilazione meccanica.

Adesso sappiamo che il Covid-19 è una malattia sistemica, cioè interessa più organi e apparati, non soltanto i polmoni. Sappiamo che il virus scatena una “tempesta infiammatoria”, responsabile in molti casi di fenomeni trombo-embolici diffusi a livello di diversi organi: oltre ai polmoni, il cuore, i reni, il fegato, il cervello, come dimostrato dalle autopsie eseguite. Sappiamo che ogni caso è diverso dall’altro e che la terapia va modulata non soltanto caso per caso, ma anche nelle diverse fasi della malattia. Sappiamo che in alcuni soggetti la ventilazione meccanica è necessaria, mentre in altri casi, in cui l’improvvisa comparsa di dispnea (affanno) è dovuta a un’embolia polmonare massiva e non tanto alla polmonite, la ventilazione meccanica può essere addirittura dannosa ed è necessaria invece una terapia anticoagulante. 

Un farmaco antivirale specifico contro questo coronavirus non è ancora disponibile, anche se diversi farmaci sono stati e sono utilizzati.

L’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) ha avviato numerose sperimentazioni con farmaci antivirali già impiegati in altre infezioni come il remdesivir (già utilizzato contro il virus Ebola), la combinazione lopinavir/ritonavir (già utilizzata nell’AIDS), il farmaco giapponese Abigan, farmaci in grado di modulare la risposta infiammatoria come antimalarici (clorochina e idrossiclorochina), tocilizumab (utilizzato nell’artrite reumatoide), interferone.

In Lombardia, un centinaio di medici di famiglia, in assenza di linee guida istituzionali sulla gestione dei malati di Covid-19 (inizialmente veniva raccomandato solo l’impiego della Tachipirina), si sono trovati a gestire a domicilio pazienti che, dopo la comparsa di febbre e tosse, presentavano un rapido peggioramento, tale da richiedere il ricovero in ospedale o da condurli in breve tempo alla morte. Confrontandosi con i colleghi, informandosi sugli studi scientifici pubblicati o in corso e sull’esperienza della Cina, hanno messo a punto un protocollo di trattamento condiviso di impiego di un antimalarico (Plaquenil: idrossiclorochina) e di un anticoagulante, la enoxaparina (Clexane), quest’ultima per prevenire le complicanze trombo-emboliche, che sono in molti casi la causa di morte per Covid-19. I risultati sono stati decisamente incoraggianti: applicato precocemente, il trattamento con idrossiclorochina ed enoxaparina ha evitato il ricovero in ospedale, portato alla guarigione e probabilmente salvato molte vite. Anche per questi farmaci, l’AIFA ha avviato la sperimentazione a domicilio nei malati di Covid-19  in fase precoce con un quadro clinico lieve.

Perché trattare precocemente a domicilio i malati di Covid-19, anche in assenza di esito del tampone, ma con sintomatologia suggestiva, è fondamentale per evitare un’evoluzione grave e il ricovero ospedaliero.

Va dunque rafforzata la Medicina del territorio, supportando i medici di famiglia, dotandoli di dispositivi di protezione individuale e strumenti diagnostici (ad esempio gli ossimetri per i pazienti), ma soprattutto attivando su tutto il territorio nazionale le USCA (Unità Speciali di Continuità Assistenziale) previste dal D.L.  N. 14 del 9 marzo, che sono ancora troppo poche.

Le USCA sono équipe composte da un medico e un infermiere e hanno il compito di coordinarsi con il medico o il pediatra di famiglia, effettuare il tampone a domicilio, segnalare e tenere sotto osservazione la persona malata e i contatti ed evitare che i pazienti si rechino negli ambulatori dei medici e pediatri di famiglia, alla guardia medica o al Pronto Soccorso, in modo da evitare la diffusione del contagio.

Un po’ di chiarezza si impone a seguito dell’inutile e infondata polemica in corso sui social e sui media sull’efficacia del plasma dei guariti, che secondo alcuni renderebbe addirittura inutile il vaccino e sarebbe anzi preferibile al vaccino. Polemica, come ho già accennato, cavalcata dai complottisti e dai no-vax, che finora erano stati zitti e quieti (e molto probabilmente anche speranzosi in un vaccino nel più breve tempo possibile).

Il plasma dei guariti è una terapia, cioè serve se ti ammali.

Il vaccino è una prevenzione, cioè serve a non ammalarti.

La terapia con il plasma dei guariti è in corso di sperimentazione clinica, ma ancora non ci sono evidenze scientifiche sulla sua reale efficacia, ma solo osservazioni. E’ comprensibile l’entusiasmo di chi per primo l’ha sperimentata in Italia (in Cina era già stata utilizzata), che ha osservato in tempi rapidi un netto miglioramento delle condizioni cliniche dei suoi pazienti. Come è comprensibile che questo entusiasmo sia così incontenibile e contagioso da portare a una diffusione virale sui social e sui media. E’ umano, ma poco scientifico.  D’altra parte, si comprende anche come i comuni cittadini possano accogliere queste notizie con entusiasmo, sia per i brillanti risultati comunicati, sia perché è facile per chiunque comprendere come il plasma di chi è guarito da Covid-19 funzioni. Se il donatore è guarito e io ricevo i suoi anticorpi, che lo hanno fatto guarire, guarisco  anche io. Ovvio, semplice. Certamente per chi non è “addetto ai lavori” non è altrettanto facile capire come funziona, ad esempio, il tocilizumab, peraltro fornito dalla Roche gratuitamente agli ospedali.

Una delle tesi complottiste è quella che il plasma dei guariti costa poco. Ma non è così: se è vero che la donazione è gratuita, tutto il processo che segue ha dei costi. Basta pensare ai costi del personale per il prelievo, la purificazione e l’infusione del plasma, oltre a quelli dei macchinari necessari e della loro manutenzione. Certamente poi l’infusione di plasma non è una terapia domiciliare, richiede il ricovero ospedaliero.

Ma vediamo di fare il punto su questa terapia. I risultati finora ottenuti sono decisamente promettenti, ma i casi trattati ad oggi sono troppo pochi per validarne l’efficacia e per sbandierare una rapida guarigione e una riduzione della mortalità. Occorre molta prudenza prima di esultare. Occorre una sperimentazione su un’ampia popolazione di malati e un confronto con altri trattamenti in un altrettanto ampio “gruppo di controllo”, cioè un campione di malati con caratteristiche analoghe (età, sesso, fase della malattia, ecc.). Sperimentazione che è stata già avviata e non solo in Italia.

Il plasma dei guariti contiene, ma non in tutti i casi, anticorpi contro il virus. Non tutti gli anticorpi sono ugualmente efficaci. Lo sono solo quelli neutralizzanti, che non tutti i guariti hanno. In più la carica (cioè la quantità) di anticorpi deve essere molto alta. Le raccomandazioni dell’FDA (Food and Drug Administration), l’agenzia americana dei farmaci, hanno stabilito un livello efficacia di 1:160, cioè gli anticorpi devono essere neutralizzanti verso il virus anche quando diluiti 160 volte. Sembra che le infusioni di plasma abbiano un effetto terapeutico rapido, ma di solito ne sono necessarie almeno tre. E non va dimenticato che si tratta sempre di un emoderivato, cioè di un derivato del sangue, la cui donazione è sottoposta, giustamente, a una rigida legislazione. Non dimentichiamo anche che, a partire dagli anni ‘70, sono state molte le segnalazioni di infezioni da virus dell’epatite B e C, e successivamente da virus HIV (il virus dell’AIDS),  trasmesse in soggetti trasfusi con sangue o derivati del plasma umano, molti di questi malati di emofilia. Virus che in quel momento non si conoscevano, resistenti ai comuni trattamenti di purificazione del plasma. Anche se le tecniche di estrazione e purificazione del plasma umano sono decisamente migliorate, oggi non sappiamo se altri virus sconosciuti possano essere trasmessi con l’infusione di plasma, perché queste sono cose che si scoprono sempre “dopo”.

Il plasma dei guariti non è inoltre una cura adatta a tutti. Dall’esperienza della Cina su circa 300 malati, sembra efficace se somministrato precocemente, nella prima settimana dalla comparsa dei sintomi, mentre è meno efficace nei  malati gravi di Covid-19. Verosimilmente, dopo la fase di replicazione del virus, se la tempesta infiammatoria si è già scatenata e si sono instaurate le complicanze trombo-emboliche, gli anticorpi contenuti nel plasma dei guariti da soli non bastano.  Mediante tecnologie complesse, già in atto, che mirano a isolare gli anticorpi neutralizzanti contro il coronavirus dal plasma dei guariti, si possono produrre molecole sintetiche equivalenti e più sicure, chiamate anticorpi monoclonali. Questa probabilmente è la strada migliore, più sicura, e non condizionata dalla disponibilità di donatori guariti. Non dimentichiamo infatti che il numero di malati, e quindi di guariti potenziali donatori, sta diminuendo.

Recentemente alcuni esperti hanno avanzato l’ipotesi che il coronavirus sia diventato meno aggressivo, sulla base dell’osservazione del minor numero attuale di malati gravi di Covid-19.

Se questo sia effetto del lockdown piuttosto che di un miglioramento delle cure non possiamo dirlo. Certamente  non ci sono evidenze scientifiche di mutazioni del virus tali da giustificare una sua minore aggressività. Occorre pertanto molta prudenza nel diffondere questi messaggi, perché potrebbero indurre i cittadini a comportamenti irresponsabili, allentando le misure di sicurezza raccomandate. 

In attesa del vaccino, via via che i malati diminuiscono, che si alleggerisce (come si è già alleggerito) il carico assistenziale nelle terapie intensive e negli ospedali, la qualità dell’assistenza per Covid-19 migliora. Vengono studiate e messe in atto strategie di trattamento precoce per prevenire un’evoluzione grave della malattia, oltre che terapie differenziate e personalizzate in rapporto alla fase clinica e alle eventuali complicanze. Nessuna cura è ancora stata validata dai risultati di studi scientifici, perché questi sono ancora in corso.

Col tempo vengono acquisite sempre nuove conoscenze e si fa tesoro dell’esperienza e della stretta rete di collaborazione tra ospedali e centri di ricerca nei diversi Paesi. Una collaborazione così attiva ed efficiente come mai si era osservato prima di questa pandemia.

Non va dimenticato che la Medicina è una scienza empirica ed è solo con la ricerca scientifica che le ipotesi, le opinioni, le osservazioni derivate dall’esperienza “sul campo” possono diventare evidenze da applicare nella pratica clinica. 

Informazioni su Franca Regina Parizzi 27 Articoli
Nata a Milano il 15.12.1947, ha conseguito la laurea in Medicina e Chirurgia nel 1972 presso l’Università degli Studi di Milano con voti 110/110 e lode. Nel 1974 è stata assunta presso l’Ospedale San Gerardo di Monza, inizialmente come Assistente nel Reparto di Malattie Infettive e successivamente, dal 1980, nel Reparto di Pediatria, divenuto nel 1983 sede della Clinica Pediatrica dell’Università degli Studi di Milano Bicocca, ove ha ricoperto successivamente (dal 1988) il ruolo di Aiuto Corresponsabile Ospedaliero, e, dal 2000, di Dirigente Medico con incarico di Alta Specializzazione. Ha conseguito la Specializzazione in Malattie Infettive e successivamente in Chemioterapia, entrambe presso l’Università degli Studi di Milano. Nel 1977 e 1978 è stata responsabile del Reparto di Pediatria presso l’Hôpital Général de Kamsar (République de Guinée – Afrique de l’Ouest) nell’ambito della Cooperazione Tecnica con i Paesi in via di sviluppo del Ministero degli Affari Esteri italiano. Autrice di numerose pubblicazioni scientifiche su riviste nazionali e internazionali e relatrice in diversi convegni (nazionali e internazionali). Dal 2010 si è trasferita da Monza a Lampedusa, isola alla quale è profondamente legata, dove esercita tuttora la sua attività come pediatra.

1 Commento

  1. Ottima analisi, come sempre, sullo stato dell’arte. Bisogna sottolineare la velocità con la quale la ricerca ha aggredito il problema Covid, e questa è sicuramente un ottima notizia perché garantirà in tempi ragionevolmente brevi risultati concreti

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