Vedere per non salvare: il ruolo di Frontex nel Mediterraneo centrale

Piuttosto che rafforzare la cooperazione nelle attività di ricerca e salvataggio (SAR) in acque internazionali Italia e Malta con la loro decisione di chiusura dei porti hanno condannato all’abbandono in mare centinaia di persone. Come sono stati impiegati i fondi sempre più ingenti destinati a Frontex, adesso ridefinita come Guardia di frontiera e costiera europea, che sono stati aumentati anno dopo anno?

di Fulvio Vassallo Paleologo

Recenti dichiarazioni del primo ministro maltese Abela respingono le critiche rivolte al suo governo che ha organizzato operazioni di push-back verso la Libia avvalendosi di imbarcazioni private per intercettare i migranti in acque internazionali, e riportarli direttamente a Tripoli, oppure quando questo risulta impossibile per le denunce delle ONG, per detenerli in navi hotspot al largo de La Valletta, dopo che i porti di Malta sono stati dichiarati non sicuri (unsafe), per la crisi del sistema sanitario derivante dalla pandemia del Covid-19.

Secondo quanto dichiarato a The Malta Independent da Abela con riferimento al gommone intercettato dal peschereccio Dar al Salam 1 nella notte tra il 13 ed il 14 aprile scorsi, sarebbe “categorically denied that there was any pushback of any migrants” (“negato categoricamente che ci fosse un respingimento di eventuali migranti”).

“A rescue was carried out; had it not been for the Maltese government which coordinated that rescue then a lot of lives at sea would have been lost, because the EU passed by with a Frontex plane and kept on going”Quindi Abela aggiunge ”perché l’UE è passata con un aereo Frontex e ha continuato“. Un accusa gravissima che va chiarita nelle sedi opportune, a Malta ed a Bruxelles. E forse anche a Roma.

Secondo il primo ministro maltese, “Malta coordinated the rescue and saw that the migrants were taken to a port which was open; so, there was no pushback; in fact we saved a lot of lives (…) Gafa’s only involvement (…) was not to coordinate the operation but to contact Libyan authorities to facilitate the rescue”.  “Nothing was paid, nothing was promised”. Una giustificazione che non regge perchè il porto di Tripoli che risultava formalmente “aperto” era stato oggetto di bombardamenti fino a qualche giorno prima, al punto che una nave della missione italiana Nauras, la Gorgona aveva dovuto mollare gli ormeggi nel giorno di Pasquetta, e non poteva certo definirsi come un “porto sicuro di sbarco”, a fronte delle notorie violenze, se non sevizie, inflitte ai naufraghi riportati a terra.

Le chiusure dei porti

Il governo di Malta ha adottato il provvedimento di “chiusura dei porti” dopo il decreto interministeriale con cui il governo italiano disponeva analoga misura, non nell’interesse delle persone che dovevano sbarcare, ma per le prevalenti ragioni di salute pubblica connesse al diffondersi della pandemia. Come se il COVID 19 potesse sospendere gli obblighi di salvaguardia della vita umana in mare a carico degli stati.

Piuttosto che rafforzare la cooperazione nelle attività di ricerca e salvataggio (SAR) in acque internazionali, nel Mediterraneo centrale, nel momento in cui l’aggravamento del conflitto civile libico costringeva un numero crescente di persone alla fuga ( e restituiva spazi alle organizzazioni dei trafficanti), Italia e Malta con la loro decisione di chiusura dei porti e di conseguente disimpegno delle unità statali di soccorso dalle attività SAR in alto mare, hanno condannato all’abbandono in mare centinaia di persone. Ed altre nei prossimi mesi saranno condannate anche a morte per naufragio, se, come sembra, queste politiche si inaspriranno ancora con il coinvolgimento di unità navali semiclandestine, appartenenti a privati che i governi utilizzano per quelle operazioni di respingimento per le quali potrebbero incorrere in pesanti responsabilità internazionali.

Nelle sue ultime dichiarazioni il premier maltese Abela richiama il ruolo di monitoraggio che Frontex con la missione Themis svolge nel Mediterraneo centrale dal 2018, solo con aerei però, dopo che, alla fine della precedente operazione Triton (2015-2018) la maggior parte degli assetti navali offerti dai singoli stati membri erano stati ritirati o dislocati lontano dalle rotte battute dai migranti che ancora riuscivano a partire dalla Tripolitania. Si riteneva che la presenza delle navi europee costituisse un fattore di attrazione (pull factor) e rendesse più facili le attività dei trafficanti.

Già a partire dal 2017, proprio da Frontex, era partita una campagna di aggressione e denigrazione nei confronti delle Organizzazioni non governative che operavano con navi umanitarie per supplire alla carenza di mezzi statali, progressivamente ridotti, nell’espletamento delle attività di ricerca e salvataggio sulla “rotta libica”.

Nel tempo la teoria del cosiddetto pull factor ( fattore di attrazione), diffusa in modo massiccio anche da politici e giornalisti più attenti al vantaggio elettorale che alla vita delle persone, apriva la strada alla criminalizzazione delle ONG ed a una serie di processi che oggi, seppure conclusi nella maggior parte dei casi con archiviazioni, salvo che a Ragusa ( Open Arms), Agrigento (Sea Watch) e Trapani (Iuventa), hanno tuttavia spostato l’attenzione e il giudizio negativo della popolazione su chi salvava vite in mare e non su chi, con le proprie scelte politiche od operative, quelle vite metteva a rischio. Anche a Malta, come in Sicilia, diversi processi bloccavano le navi delle ONG e diminuivano in modo sostanziale le possibilità di soccorso in alto mare, che le navi commerciali ed i pescherecci si rifiutavano di assolvere anche quando si trovavano vicini ai barconi carichi di disperati in fuga dalla Libia.

Le missioni europee

Dal 2018 con la missione Themis l’Agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne Frontex, su indirizzo del Consiglio Europeo, stabiliva che i porti di sbarco dei naufraghi soccorsi nel Mediterraneo centrale sarebbero stati anche in paesi diversi dall’Italia e comunque nel luogo più vicino ai soccorsi. Una regola che non sempre, nella prassi applicata, si è tradotta nel rispetto delle norme sancite dalle Convenzioni internazionali di diritto del mare, che impongono lo sbarco più rapido in un porto sicuro che deve essere indicato dalle autorità che hanno coordinato le attività SAR, o che dopo essere state informate dell’evento di soccorso, sono comunque intervenute con loro mezzi, anche al di fuori della propria area di competenza.

Per le missioni Frontex, inoltre, dal 2018 si prevedevano due nuove aree di pattugliamento: una ad est, tra Turchia, Grecia e Albania e una ad ovest tra Tunisia e Algeria. In questo modo, con la riduzione degli assetti navali, si sguarnivano le zone SAR nel Mediterraneo centrale, con il riconoscimento di una vasta area di responsabilità alle autorità di Tripoli. Secondo Fabrice Leggeri, direttore esecutivo di Frontex, Themis avrebbe dovuto essere “una missione che contribuirà a fronteggiare e contrastare non solo l’immigrazione clandestina, ma anche il traffico di droga, il contrabbando e l’eventuale arrivo di terroristi”. Sotto gli occhi di tutti, ormai, lo scarto tra i propositi, le risorse impiegate ed i risultati conseguiti. Mentre l’area operativa di Triton si estendeva a circa 30 miglia ed oltre dalla costa italiana, ma nel 2015 arrivava fino a 30 miglia dalla costa libica, le navi di Themis in genere non pattugliavano più di 24 miglia dalle coste italiane, e poi venivano ritirate dai paesi membri.

La rimodulazione della missione di Frontex Themis, con il mantenimento dei soli assetti aerei, a partire dal 2018 e la “guerra” mediatica, giudiziaria e amministrativa innescata contro i soccorsi umanitari operati dalle ONG, scaricavano una crescente pressione migratoria su Malta, e sulle coste più esposte della penisola italiana, su Lampedusa soprattutto, e quindi più recentemente sulle coste meridionali della Sicilia, con un incremento dei cosiddetti sbarchi autonomi.

Gli accordi di redistribuzione

Il premier maltese denuncia adesso la mancanza di solidarietà dell’Unione Europea che non condivide gli impegni di redistribuzione dei naufraghi che sembravano derivare dalla bozza preliminare del cosiddetto Accordo di Malta, stipulato nel settembre dello scorso anno. Ma si rifiuta di applicare il medesimo principio di solidarietà quando si tratta, se non di chiedere l’intervento delle motovedette italiane che rimangono ferme in porto per ordini superiori che ne limitano l’operatività al di fuori delle acque territoriali, quantomeno di inviare mezzi di salvataggio maltesi di AFM ( le forze armate maltesi) e di approntare soluzioni di prima accoglienza in linea con le Direttive dell’Unione Europea.

Come risulta dai dispacci via Twitter di Alarm Phone, le autorità italiane ricevono tutte le segnalazioni di imbarcazioni in difficoltà e vengono coinvolte nel monitoraggio dei barconi da soccorrere, come si è verificato da ultimo in occasione del soccorso operato 30 miglia a sud di Lampedusa nella notte tra il 13 ed il 14 aprile scorsi, nel quale perdevano la vita 12 naufraghi, ma non inviano mezzi navali in acque internazionali, come invece avveniva fino al 2018. Al punto che Malta, che a sua volta dichiara di non avere motovedette disponibili per l’emergenza sanitaria in corso, affida i soccorsi ad una navetta privata, senza segni di riconoscimento, che si camuffa da peschereccio. Mentre in realtà sembra specificamente destinata ad attività illecite di push back con nomi e bandiere sempre diversi, al fine di collaborare con la guardia costiera libica per i respingimenti collettivi vietati dalle Convenzioni internazionali. Una collaborazione che le autorità maltesi giustificano ancora oggi, in nome dell’emergenza COVID 19, ma che dura da tempo, con un paese terzo in guerra che non garantisce il rispetto dei diritti umani, una cooperazione operativa mediata da oscuri personaggi, che rimarrebbe interdetta dalle indicazioni delle Nazioni Unite (UNHCR). Una collaborazione che deriva direttamente dagli accordi bilaterali stipulati da Malta con il governo di Tripoli, sulla scorta, ancora una volta, degli accordi stipulati dal governo di Roma nel febbraio del 2017 con le autorità di Tripoli.

Come ha dichiarato ieri Carola Rackete“t’s not only about Malta. They do this with the acceptance of the EU, which has since years supported illegal push backs to Libya by Libyan actors. EU Governments must be prosecuted for these crimes, bc they are responsible for death and suffering of people returned to Libya”.

Le responsabilità di Frontex

Dopo il richiamo del premier maltese alle attività di tracciamento degli aerei europei, che avvistano e poi vanno via, i vertici dell’agenzia FRONTEX non possono limitarsi ad affermare che dopo i primi avvistamenti la responsabilità dei soccorsi incombe soltanto ai singoli stati che dispongono di mezzi navali e sono competenti in base alla distribuzione delle zone SAR ( ricerca e salvataggio) riconosciuta dall’IMO (Organizzazione internazionale del mare delle Nazioni Unite).

Questa affermazione potrebbe sostenersi se si basasse su un rigoroso rispetto degli obblighi di ricerca e salvataggio imposti dalle Convenzioni internazionali agli stati. Ma così non è, come è confermato dall’ultimo respingimento illegale operato dai maltesi verso la Libia. Nel 2018, all’avvio dell’operazione Themis, la portavoce di Frontex, Isabella Cooper, dichiarava all’agenzia Reuters: “continueremo a seguire la legge marittima internazionale che impone di portare le persone recuperate nel posto sicuro più vicino”. Che cosa è cambiato oggi ? Frontex può ignorare la sorte che attende i naufraghi intercettati dai libici o respinti dai maltesi grazie alle sue attività di tracciamento aereo ?

Quando gli stati ritardano gli interventi di ricerca e salvataggio (SAR) in acque internazionali o affidano le operazioni di soccorso ad imbarcazioni private che poi effettuano push back illegali in Libia, tutto questo non può avvenire impunemente sotto gli occhi dei militari che conducono le attività di tracciamento dagli aerei di Frontex impegnati nel Mediterraneo centrale. Ed ancora più grave sarebbe se gli assetti aerei di Frontex collaborassero con la sedicente guardia costiera “libica”, per orientare le motovedette sulle imbarcazioni avvistate in mare in evidente situazione di distress, per il sovraccarico e la mancanza di mezzi di sicurezza e di rifornimenti. Ancora oggi i libici hanno ripreso in alto mare una imbarcazione carica di migranti e la hanno ricondotta nel porto di Zuwara come informa con un tweet ( non si va oltre) l’OIM Libia.

Il rappresentante dell’UNHCR per il Mediterraneo centrale Vincent Cochetel ha criticato il ritardo negli interventi di ricerca e soccorso operati a sud di Lampedusa nella notte tra il 13 ed il 14 aprile. “Questa barca non avrebbe mai dovuto essere lasciata alla deriva”, ha scritto Vincent Cochetel in un tweet.“La perdita di vite avrebbe potuto essere evitata. Coloro che considerano la Libia un porto sicuro dovrebbero visitare i sopravvissuti nel terribile centro di detenzione in cui si trovano. Nessuno può onestamente ignorare oggi a quale” salvataggio “porta la Guardia costiera libica”.

Frontex è estranea alle intercettazioni operate dai libici o vi collabora attivamente ? Negli scorsi anni era emersa in Italia, anche in sede giudiziaria, una forte sinergia tra la sedicente Guardia costiera libica, le navi della missione italiana Nauras ( di Mare Sicuro) presente a Tripoli e la Centrale di coordinamento di Roma della Guardia costiera (IMRCC), anche con comunicazioni dirette, in occasione del blocco e della riconduzione in Libia di imbarcazioni cariche di migranti. Non risulta che tale collaborazione, derivante dal Memorandum tra Italia e Libia del 2 febbraio 2017, si sia oggi interrotta, e Frontex non è certamente estranea alle attività di contrasto coordinate dagli stati previste dal Memorandum Italia-Libia.

Le testimonianze dei naufraghi intercettati in acque internazionali da motovedette libiche dopo essere stati individuati da aerei di Frontex in perlustrazione sono inequivocabili, sia sulla presenza degli assetti aerei europei sulle loro teste mentre i libici li riportavano indietro, che sulle torture e sugli abusi subiti dopo lo sbarco a terra.

La opaca esistenza dell’agenzia europea

I Regolamenti Frontex n. 656 del 2014 e n. 1624 del 2016, integrati dalle decisioni del Consiglio europeo dello scorso anno non possono derogare quegli obblighi di salvaguardia della vita umana in mare e dei diritti umani delle persone migranti che i Regolamenti europei richiamano espressamente, anche se nella prassi operativi cedono spesso alle esigenze di law enforcement, consistenti nel contrasto di quelle che si definiscono ancora migrazioni “illegali”, ma che in realtà rappresentano le uniche modalità di fuga dei migranti intrappolati nel conflitto libico e ridotti a merce di scambio tra le milizie. L’analisi rischi 2020 dell’agenzia Frontex, pur dando notizia del rischio contagi da COVID-19, rimane nel solco delle logiche di esternalizzazionene di law enforcement contro l’immigrazione “illegale” adottate negli anni precedenti. Non si prevede, di fronte alla imminente chiusura delle frontiere marittime, alcun specifico intervento di ricerca e salvataggio o di garanzia dei diritti umani che vada oltre le esigenze di contenimento e di repressione proprie dell’agenzia, affidate da ultimo soltanto ad assetti aerei.

L’Agenzia Frontex si è distinta da anni per la sua opacità, oltre che per la totale autonomia, anche nei rapporti con gli stati terzi, al fine di favorire rimpatri e respingimenti. Sarebbe adesso tempo che i competenti organi della giustizia internazionale e dell’Unione Europea chiedessero conto all’agenzia delle sue attività di monitoraggio nel Mediterraneo centrale e del grado di collaborazione che garantisce alle autorità maltesi, italiane e libiche nelle operazioni di respingimento e soccorso che vengono realizzate sotto gli occhi degli agenti europei, anche quando sono affidate a navi private prive di bandiera e di segni identificativi.

Proprio per la situazione di emergenza che si è determinata, anche in mare, a seguito del COVID-19, per effetto della chiusura dei porti alle navi che hanno soccorso naufraghi nel Mediterraneo centrale, sarebbe essenziale che l’Unione Europea, o almeno alcuni paesi che operino nell’ambito della cd. cooperazione rafforzata, si dotino di un piano europeo per gli sbarchi, che sono e resteranno su numeri ben più ridotti rispetto agli anni dal 2014 al 2017. Occorre che l’Unione europea sospenda il Regolamento Dublino e programmi il ritorno dei mezzi di soccorso statali, delle guardie costiere, in particolare, rispetto ai quali le navi umanitarie delle ONG, che vanno immediatamente liberate dalle minacce di processo e dagli ostacoli burocratici, possono avere un ruolo complementare, ma non sostitutivo. La missione navale Eunavfor Med IRINI va rimodulata ed ubicata nelle acque del Mediterraneo centrale, accrescendo la mission del soccorso in mare, oggi residuale, senza distanziarsi dalle rotte più battute dai gommoni che partono dalla Libia.

In questo quadro la collaborazione di Frontex e di Eunavfor Med con gli stati membri, e con i paesi terzi, dovrà garantire il rispetto rigoroso delle Convenzioni internazionali che i Regolamenti europei n.656 del 2014 e n.1624 del 2016 richiamano espressamente, a partire dalla Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati, che vieta il respingimento verso paesi non sicuri ( art. 33).

L’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, in suo recentissimo documento chiede un maggiore coordinamento, solidarietà e condivisione delle responsabilità, in vista dell’aumento dei movimenti di rifugiati e migranti nel Mar Mediterraneo”.

Secondo l’UNHCR,“Nonostante le circostanze estremamente difficili che devono affrontare attualmente molti paesi a causa del COVID-19, la protezione delle vite e dei diritti umani fondamentali deve rimanere in prima linea nel nostro processo decisionale. Il salvataggio in mare è un imperativo umanitario e un obbligo ai sensi del diritto internazionale.

Per l’Agenzia delle Nazioni Unite“I problemi legittimi di salute pubblica possono essere affrontati attraverso la quarantena, i controlli sanitari e altre misure. Tuttavia, il salvataggio ritardato o l’incapacità di sbarcare le barche in pericolo mettono in pericolo la vita. Un porto sicuro per lo sbarco dovrebbe essere fornito senza indugio, insieme a un rapido accordo su come condividere la responsabilità tra gli Stati per l’hosting delle persone una volta raggiunta la sicurezza sulla terra ferma”.

Che impegno garantisce oggi Frontex in questa direzione, tenendo conto che l’Agenzia dovrebbe mantenere un rapporto di interlocuzione diretta con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) ?

Denaro a piaggia per un’agenzia autonoma

Come sono stati impiegati i fondi sempre più ingenti destinati a Frontex, adesso ridefinita come Guardia di frontiera e costiera europea, che sono stati aumentati anno dopo anno? Come si stanno dispiegando oggi i mezzi della Guardia Costiera e Polizia di frontiera europea prevista dal Regolamento 1624 del 2016, che alcuni definiscono come una Frontex Plus, di cui mantiene la personalità giuridica? In cosa consistono davvero le attività di formazione della Guardia costiera libica condotte da Frontex a bordo delle navi di Eunavfor Med e quali risvolti operativi hanno ? Quale è oggi il livello effettivo di collaborazione tra gli assetti aerei di Frontex e la sedicente Guardia costiera “libica”? Dove sono finite le 11 navi di Frontex Triton che facevano parte della missione nel Mediterraneo centrale nel 2017 ? 

Anche se Frontex e le autorità italiane ritengono di non dovere chiarire le modalità con le quali nel Mediterraneo centrale avviene il tracciamento aereo delle imbarcazioni che salpano dalla Libia, con il loro carico di disperazione, ed addirittura si cerca di oscurare i tracciati di monitoraggio, ci saranno tempi e modi, a livello europeo e nazionale, per stabilire le responsabilità dell’agenzia e degli stati con i quali collabora. Se non sarà il Consiglio ad imporlo, ciascun membro del Parlamento europeo sarà moralmente impegnato a verificare che le attività di una agenzia dell’Unione Europea come Frontex, seppure dotata di autonoma personalità giuridica, rimangano nei limiti del mandato e non si rivelino funzionali ad operazioni illegali di push back. Sulle quali dovrebbe intervenire anche la magistratura, quando vanno perdute in mare vite di persone, di uomini, donne e bambini, in operazioni SAR che comunque vedono coinvolte a vario titolo le autorità di coordinamento di stati diversi. Sembra che non ci siano più neppure scafisti da arrestare, forse perchè nei processi, come avvenuto in passato, potrebbero venire fuori circostanze imbarazzanti per i governi.

Per lo stesso motivo vanno abrogate le misure amministrative, come le Ordinanze della Protezione civile, che in Italia hanno imposto divieti di sbarco, utilizzando in modo strumentale la qualificazione dei porti come “non sicuri”. Normative che sono in contrasto con le Convenzioni internazionali che forniscono la nozione di “place of safety” per i naufraghi e non invece, con riguardo alla sicurezza sanitaria dei cittadini dei paesi di ingresso. Non si vede davvero, anche nel momento attuale, in che modo la salute pubblica possa essere minacciata da un numero tanto esiguo di persone, soccorse in mare sul punto di fare naufragio, da sottoporre comunque agli opportuni protocolli sanitari. Di tutti i naufraghi finora soccorsi a sud di Lampedusa e sbarcati in Italia non risulta un solo caso di accertata positività al virus Covid 19.

La rilocazione dei naufraghi in altri paesi europei non può essere la condizione, quasi un ricatto, per consentire il loro sbarco a terra in un porto sicuro, come purtroppo si sta verificando ancora oggi, dietro la giustificazione dell’emergenza dei sistemi sanitari nazionali derivante dal COVID 19. Una emergenza che però può essere fatta valere da tutti i paesi europei. Ed allora che fine faranno i naufraghi soccorsi in acque internazionali, se non faranno naufragio o se non saranno riconsegnati ai libici, saranno condannati ad un limbo interminabile a bordo di navi hotspot ?

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*