Nascere e morire al tempo del Covid

di Sandra Morano Ginecologa, Professore a contratto Università degli Studi di Genova

di Sandra Morano

Ginecologa, Professore a contratto  Università degli Studi di Genova

Siamo in guerra, in trincea, sul fronte: il linguaggio della pandemia ci descrive in termini bellici, il lavoro di cura è una difesa dagli attacchi di un nemico. La sofferenza è stata “esposta”, ripresa da foto e media: corpi inermi in posti letto ridotti o improvvisati. All’indomani della prima ondata di paura e di resistenza, mentre in Italia siamo oltre il picco di contagi, è possibile qualche riflessione. La strada è ancora lunga, e non è detto che alla fine ci sia un traguardo o solo una delle tappe.

La morte

La prima riflessione, sull’onda della emozione, è su questa morte di civili in un assetto di guerra: le bare scortate dall’esercito, una immagine simbolo che ha fatto il giro del mondo, un moderno lazzaretto di moderne agonie con respiratore. Angoscianti agonie in reparti di rianimazione senza uno sguardo conosciuto, senza dare o ricevere un ultimo saluto nel passaggio da un mondo all’altro, tenere la mano. L’assenza di umani accompagnamenti “di rito”, tradizioni pietose della nostra civiltà, è stata, per ogni vittima e per ogni famiglia colpita, forse la più terribile delle condanne. Al di là dei numeri, queste morti appaiono dis-umane.

La nascita

Questo non è neanche un buon momento per nascere.

Dalla metà del secolo scorso l’ospedale è assunto come la modalità di assistenza più sicura. La partoriente veniva isolata da parenti e marito ed entrava da sola in una sala asettica dove la aspettavano operatori sconosciuti. Ci sono voluti molti decenni per “umanizzare”quello scenario, in cui le donne in genere non erano né ammalate né infette. Con la pandemia in un attimo siamo tornati indietro, e una delle prime “concessioni” a saltare è la presenza di “estranei”: cioè la presenza durante il parto del sostegno di un familiare. In questi giorni terribili molti sanitari hanno raccontato di aver visto la disperazione negli occhi della persona che sta per morire. Allo stesso tempo, nella sala parto, la donna in travaglio attraverso una mascherina guarda negli occhi l’operatore di fronte a lei. In una distopica “quadratura del cerchio”, come in una navicella spaziale, una madre bardata ed impaurita ed una ostetrica ugualmente vestita, rappresentano il più normale degli eventi umani. La nascita ai tempi dell’epidemia ha imposto una ulteriore “sicurezza” che azzera il “superfluo”: la vicinanza, la com-passione. La prima cosa che viene sacrificata è l’alfa mancante di quella stessa pietas che nei pazienti che muoiono soli ci indigna e ci rattrista.

Umanità vs sicurezza. Che cosa ci insegna la pandemia

I colleghi di Bergamo (1) hanno parlato di un necessario cambio di paradigma : “abbiamo bisogno di altre risorse (epidemiologi, infettivologi, pianificatori nelle emergenze) per eventi su cui siamo completamente impreparati; siamo stati abituati ad un modello di cura patientcentered, mentre invece per fronteggiare la pandemia ci vuole un modello community centered“. Vorremmo rispondere che è vero, ma la definizione di patientcentered non è la più appropriata per il nostro modello di salute. Avremmo voluto essere patientcentered, ma eravamo solo Hospital centered, che è ben diverso.

Il frenetico muoversi di queste settimane in funzione di un problema di cui non si conosce ancora la soluzione mette in luce la necessità di un ripensamento globale della sanità pubblica rispetto agli attuali bisogni di salute. Abbiamo portato l’esempio della nascita non a caso. Altri fattori già da tempo, in tutto il mondo, di fatto reclamano una trasformazione degli attuali sistemi. Tra i più urgenti, comuni a tutti, c’è per esempio la presenza in maggioranza di donne che curano. Il loro protagonismo potrebbe portarle ad accettare le sfide ambientali, le relazioni fra queste e la salute, tra sviluppo sostenibile e rispetto della terra. Il caso Italia, al di là delle sua caratteristiche, della gratitudine delle prime tragiche settimane, della eroica narrazione, può essere d’aiuto agli altri paesi per imparare dagli errori : il cruciale ruolo del SSN da anni mortificato, i drastici tagli degli ospedali, gli operatori maltrattati, l’altissimo numero di morti, e infine l’incerto futuro. E’ tempo di scrivere una agenda della salute più realistica e perciò più umana.

Riportando a casa le nostre vite

E’ tempo di ri-costruire la continuità delle cure: tra salute e malattia, tra cura e benessere, tra territorio e ospedale, tra vita e morte. Abbiamo visto che in Cina la casa è stato il primo luogo di cura che ha permesso di evitare l’aggravamento e limitare i ricoveri in ospedale: era piuttosto il sistema sanitario che elasticamente si muoveva da e tra differenti luoghi, in base a differenti gradi di emergenze e necessità. In Italia avremo negli occhi per molto tempo il dolore di operatori impossibilitati perfino ad una carezza a persone sconosciute nell’estremo saluto. E non sappiamo quanto durerà la limitazione del “superfluo” per le donne che di qui in avanti partoriranno. Grazie a movimenti di donne, madri, esperte/i, associazioni, dappertutto nel mondo stanno intanto fiorendo appelli (secondo le raccomandazioni OMS) per permettere una nascita rispettosa, e suggerimenti per scegliere luoghi differenti dall’ ospedale, lontani dal maggior rischio di infezione, paura, solitudine.

Il primo round è già stato giocato come si è potuto. Ma ci saranno, soprattutto se la follia dei potenti continuerà a guerreggiare col pianeta, altre pandemie, altre emergenze, quando questa in atto finirà. Guardando al futuro, ora è il momento di ripensare non solo i sistemi sanitari, ma anche le reti e il razionale degli ospedali, umani spazi di cura per chi si ammala. Molti sono stati i riferimenti al ruolo delle donne, per le loro più efficaci capacità: la resilienza, l’abilità a convivere con l’emergenza. Le donne non sono incoscienti, perché sono le prime e le uniche a provare sul proprio corpo quanto la vita e la morte siano strettamente intrecciate. E dopo il momento del parto passano l’intera esistenza a proteggere quelle vite di cui più di ogni altro conoscono il valore. Nulla sarà più come prima, e da questa crisi finalmente la casa – o ciò che più si sente casa – ,un luogo appropriato per nascere e morire, tornerà ad essere quel posto sicuro in cui oggi tutti, donne e uomini, confidiamo per salvarci.

(1) M. Nacoti, A. Ciocca, A. Giupponi et al. ‘At the epicenter of the Covid-19 pandemic and humanitarian crises in Italy: changing perspectives on preparation and mitigation’ NEJM Catal. 2020

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