Omissione di soccorso coordinata: altre vittime nel Canale di Sicilia?

Ancora una volta ieri è giunta una segnalazione da Alarmphone, dopo un primo rilevamento eseguito da Sergio Scandura di Radio Radicale, e Frontex non potrà negare la presenza di un suo aereo nella stessa zona nella quale era stato segnalato un gommone in difficoltà quando si trovava a circa 70 miglia a nord di Khoms, in quella che impropriamente viene definitta come “zona SAR libica”

(Foto d'archivio)

di Fulvio Vassallo Paleologo

Sembra ripetersi in queste ore lo stesso schema operativo che ha portato alla strage di Pasquetta, nella notte tra il 13 ed il 14 aprile, quando nel Canale di Sicilia, a 35 miglia sud da Lampedusa, dodici persone hanno perso la vita, mentre il resto dei naufraghi è stato respinto in Libia, con il coordinamento maltese, e l’intervento di un peschereccio fantasma, senza bandiera ma riferibile alle autorità di La Valletta che ne hanno coordinato i movimenti fino al respingimento a Tripoli. Sembra che lo stesso mezzo abbia cambiato nome, da Maria Christiana in Dar al Salam.

Ancora una volta ieri è giunta una segnalazione da Alarmphone, dopo un primo rilevamento eseguito da Sergio Scandura di Radio Radicale, e Frontex non potrà negare la presenza di un suo aereo nella stessa zona nella quale era stato segnalato un gommone in difficoltà quando si trovava a circa 70 miglia a nord di Khoms, in quella che impropriamente viene definitta come “zona SAR libica” , anche se oggi sono le stesse autorità libiche a dichiarare che non sono in grado di intraprendere missioni di soccorso in quella zona, per i conflitti sempre più violenti tra, e con, le milizie locali. Dopo questa segnalazione, sembra che dalle 4,22 di questa notte i contatti con il gommone in difficoltà si siano persi. A riferire questi eventi solo la stampa maltese, ed oltre alle notizie desunte da Radio radicale e da Rai News, il silenzio totale dei grandi canali di informazione sta coprendo fatti che possono definirsi come crimini contro l’umanità.

Dopo la richiesta di intervento rivolta da Alarm Phone a tutte le autorità coinvolte per responsabilità di soccorso derivanti dalle Convenzioni internazionali, i maltesi hanno inviato sulla zona due aerei, mentre nessuno stato ha attivato mezzi navali militari per andare incontro al gommone in difficoltà e trarre in salvo i naufraghi. Eppure da Lampedusa, in un paio d’ore, i mezzi veloci della Guardia costiera avrebbero potuto raggiungere il gommone in difficoltà. Evidentemente i provvedimenti di chiusura dei porti, perchè definiti “non sicuri”, alla luce dell’emergenza del sistema sanitario in Italia ed a Malta, ma non nell’interesse della salvaguardia della vita delle persone migranti, sta producendo i suoi frutti. Gli stati tengono in porto le loro imbarcazioni di soccorso, ed aumentano i cd, sbarchi autonomi. Ovvero si utilizzano pescherecci fantasma, privi di segni identificativi, che cambiano nome ad ogni missione, per operare respingimenti collettivi in Libia vietati dalle Convenzioni internazionali. L’ennesimo aggiramento della sentenza Hirsi con la quale nel 2012 la Corte europea dei diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia per i respingimenti collettivi verso la Libia operati nel 2009.

Non tutte le imbarcazioni provenienti dalla Libia con il loro carico di umanità disperata sono in grado di completare la traversata sino a Lampedusa. Nel caso dei gommoni che vengono fatti ancora partire dalle coste libiche, se non si interviene tempestivamente, come sarebbe prescritto dalle Convenzioni internazionali, la sorte dei naufraghi è segnata. Il blocco imposto dai governi alle Organizzazioni non governative, adesso anche con le procedure di quarantena, elimina i pochi mezzi di soccorso che ancora potevano salvare vite nel Mediterraneo centrale, anche se è sempre più evidente che la presenza delle ONG non costituiva alcun fattore di attrazione (pull factor). Dalla Libia in preda alla guerra civile, infatti, le persone continuano a fuggire ad ogni costo, anche a costo della vita, senza attendere che arrivi qualche nave umanitaria a sostituire i mezzi di soccorso che Frontex e gli stati hanno ritirato.

Adesso, mentre decine di persone rischiano di annegare, o forse sono già annegate, siamo di fronte ad un azione coordinata di omissione di soccorso, forse un respingimento collettivo coordinato, da parte degli stati costieri interessati ( Malta ed Italia) e dell’agenzia Frontex, che ha limitato la sua presenza a qualche aereo che serve più a segnalare ai libici la presenza dei gommoni in difficoltà, che a promuovere azioni di soccorso. In questa ultima occasione i libici hanno dichiarato che non possono inviare alcun mezzo per attività di ricerca e salvataggio in acque internazionali, vedremo presto con quali conseguenze.

In base alla Convenzione di Amburgo ( SAR) ed alla Convenzione di Montego Bay (UNCLOS) gli stati che hanno zone SAR confinanti con quella impropriamente riconosciuta nel 2018 dall’IMO al governo di Tripoli ( su forti pressioni italiane) hanno il dovere di attivarsi per coordinare attività di soccorso, non per praticare una sistematica omissione di soccorso giocata sui ritardi e sul rimpallo di competenze, nella più totale opacità.

Sembra anzi che stia diventando un sistema operativo ordinario il ricorso a pescherecci fantasma, privi di bandiera, come il Maria Christiana, poi ridenominato Mae Yemenja e quindi Dar al Salam, che ancora in queste ore le autorità maltesi hanno fatto partire da la Valletta per andare ad intercettare il gommone in difficoltà, probabilmente non per salvare vite, ma per effettuare un’altro respingimento collettivo, come quello praticato, con 12 vittime, nella notte tra il 13 ed il 14 aprile scorsi. Una pratica che abbassa il livello di intervento degli stati al grado di pirateria internazionale. Sono le navi pirata che cambiano nome e bandiera dopo ogni arrembaggio. adesso questo avviene con il coordinamento degli stati.

Non basta puntare il dito per additare le responsabilità del governo maltese. Le autorità italiane sono pienamente coinvolte nelle responsabilità di ricerca e salvataggio nel canale di Sicilia, quando gli eventi si verificano a poche decine di miglia a sud di Lampedusa. Secondo le Convenzioni internazionali, quando uno stato non rispetta gli obblighi di ricerca e soccorso, che vanno estesi fino alla indicazione di un porto sicuro di sbarco, che oggi non può essere certo individuato in Libia, gli stati responsabili delle zone SAR confinanti devono intervenire. Come accadeva fino al 2017, fino a quando le autorità italiane autorizzavano e coordinavano gli interventi delle navi di soccorso, incluse quelle delle ONG, tanto nella zona SAR maltese, che nella zona SAR che successivamente è stata definita come SAR libica ( dal 28 giugno del 2018).

La Convenzione SAR di Amburgo del 1979 si fonda sul principio della cooperazione internazionale. Le zone di ricerca e salvataggio sono ripartite d’intesa con gli altri Stati interessati. Tali zone non corrispondono necessariamente alle frontiere marittime esistenti. Esiste l’obbligo di approntare piani operativi che prevedono le varie tipologie d’emergenza e le competenze dei centri preposti. In base al punto 3.1.9 della Convenzione di Amburgo del 1979, oggetto di un emendamento introdotto nel 2004, «la Parte responsabile della zona di ricerca e salvataggio in cui viene prestata assistenza si assume in primo luogo la responsabilità di vigilare affinché siano assicurati il coordinamento e la cooperazione suddetti, affinché i sopravvissuti cui è stato prestato soccorso vengano sbarcati dalla nave che li ha raccolti e condotti in luogo sicuro, tenuto conto della situazione particolare e delle direttive elaborate dall’Organizzazione marittima internazionale (Imo). In questi casi, le Parti interessate devono adottare le disposizioni necessarie affinché lo sbarco in questione abbia luogo nel più breve tempo ragionevolmente possibile».

Tale obbligo ricorre anche nel caso in cui le attività di ricerca e soccorso debbano essere svolte al di fuori della zona SAR di competenza, laddove l’autorità dello stato che sarebbe, invece, competente in base alla delimitazione convenzionale delle zone Sar non intervenga, o non risponda entro un tempo ragionevole. Sarà l’autorità nazionale che ha avuto il primo contatto con la persona in pericolo in mare a coordinare le operazioni di salvataggio. Gli obblighi di soccorso sono pienamente adempiuti soltanto con lo sbarco a terra in un porto sicuro, e vengono violati nei casi di respingimento collettivo verso un paese in preda alla guerra civile come la Libia.

Le Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare (Ris. MSC.167-78 del 2004) dispongono che il Governo responsabile per la regione SAR in cui sia avvenuto il recupero, sia tenuto a fornire un luogo sicuro o ad assicurare che esso sia fornito. Secondo le Linee guida «un luogo sicuro è una località dove le operazioni di soccorso si considerano concluse, e dove: la sicurezza dei sopravvissuti o la loro vita non è più minacciata; le necessità umane primarie (come cibo, alloggio e cure mediche) possono essere soddisfatte; e può essere organizzato il trasporto dei sopravvissuti nella destinazione vicina o finale» (par. 6.12). Recentemente, con una sentenza del 20 febbraio 2020 la Corte di cassazione ha ribadito questi obblighi a carico dello stato italiano.

Per tante vittime innocenti qualcuno dovrà pur pagare ,e se tali pratiche omissive continuano a ripetersi la responsabilità si deve riferire anche ai Tribunali internazionali ed alla magistratura nazionale che non sono riusciti ad imporre agli stati, con misure cautelari tempestive e con sanzioni effettive il rispetto degli obblighi di ricerca e salvataggio a loro carico.

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*