La barca fantasma ed i respingimenti maltesi

Secondo la Libia è maltese il "peschereccio" che ha respinto i naufraghi a Tripoli. Malta aveva dichiarato che la barca fantasma era libica. Il sedicente peschereccio non ha nome e matricola e non aveva bandiera quando è entrato nel porto di Tripoli con superstiti e cadaveri a bordo. Avrebbe operato sotto coordinamento maltese mentre tutti cercavano la barca dispersa senza che nessuno se ne accorgesse

di Mauro Seminara

La vicenda dei 55 migranti scomparsi nel Mediterraneo centrale dopo una notte intera di ricerche, poi riapparsi nel porto di Tripoli, ma con 51 superstiti, 5 cadaveri e 7 vittime disperse, ha contorni inquietanti. Tra le lacune, ed i lati oscuri, c’è un presunto peschereccio che a Tripoli ha sbarcato le presone prese in mare in acque internazionali e poi respinte illegalmente in Libia. La barca in questione, conciata in modo posticcio come uno pseudo motopesca, attira immediata attenzione per alcune caratteristiche evidenti. Tra queste, degne di nota ed anche di controlli in mare, l’assenza di nome e di matricola sullo scafo. Il peschereccio è assolutamente anonimo. Ma oltre all’anonimato saltano all’occhio le caratteristiche dello scafo e la quantità di antenne con cui è attrezzato. Se vi si cambiasse il colore, magari per un grigio invece degli attuali bianco e blu, apparirebbe molto più verosimile. Ad osservarlo infatti non sembra di avere davanti una barca da pesca ma una motovedetta d’altura, affusolata e veloce, con un gommone veloce come tender al posto del solito barchino in legno con cui si tendono le reti. Insomma, una imbarcazione militare che, come il naviglio militare, non è tracciabile mediante Automatic Identification System (AIS).

Una barca con queste caratteristiche, senza nome e senza matricola di registro navale, senza transponder AIS, se un pattugliatore della Guardia di Finanza italiana se la trovasse davanti la fermerebbe immediatamente, magari anche con le mani sulle armi e le sicure tolte. Ma la barca in questione, come il suo armatore, a differenza di qualunque altra barca da pesca del Mediterraneo, pare non tema simili incidenti. Sottoposta alla visione di un esperto, la “barca fantasma” appare un enorme peschereccio con a poppa attrezzatura per il “palangaro”, ma intorno a quanto dovrebbe essere usato per questo tipo di pesca non c’è niente altro. Un verricello vuoto, poche casse per la profondità del palangaro, nessuna rete e niente lenze visibili. Spiccano invece un enorme generatore esterno, una gru che non ha il compito di tirare su grosse reti o attrezzatura per la pesca a strascico.

Inizialmente, all’arrivo nel porto di Abu Sitta, a Tripoli, la barca fantasma era stata data per libica. La sua appartenenza alla marineria della Libia è stata però smentita oggi da Abdelsamad Massoud, il portavoce della sedicente guardia costiera libica. A rilanciare subito la notizia la giornalista freelance Sara Creta, ieri, alle 20:02 con un tweet. La barca fantasma che ha preso a bordo i superstiti ed i cadaveri, secondo Massoud, appartiene a Malta. Di diversa opinione era il Governo di La Valletta che, con una nota ufficiale dello stesso giorno in cui la barca fantasma ha sbarcato i naufraghi a Tripoli, aveva affermato che il “peschereccio” soccorritore batte bandiera della Libia. Ovviamente è difficile stabilire chi dei due abbia ragione, trattandosi appunto di una barca fantasma senza nome e senza bandiera.

La barca fantasma, azzardando una ricostruzione in parte convalidata da denunce ed in parte dalle stesse omissioni, ha effettuato un recupero in area SAR maltese, sotto il coordinamento di Malta mentre sull’area del soccorso orbitavano velivoli dell’Armed Forces of Malta (AFM) e di Frontex. Da Malta è stata comunicata alla barca fantasma la disposizione di respingimento in Libia, ed all’arrivo a Tripoli il governo libico non è stato subito felice di autorizzare lo sbarco. UNHCR ed OIM hanno infatti testimoniato la lunga attesa a bordo della barca fantasma e l’assistenza prestata ai naufraghi con viveri e coperte. Lo sbarco è avvenuto poi nel pomeriggio del 15 aprile. La disperata ricerca della barca dispersa che risultava avere 55 persone a bordo risale invece alla notte tra il 13 ed il 14 aprile. Dall’alba di mercoledì 14 aprile alla notte tra il 14 ed il 15, quando la barca fantasma arriva a Tripoli per attendere l’autorizzazione allo sbarco, passano circa 24 ore nelle quali nessuno aveva comunicato l’avvenuto soccorso, né tantomeno il successivo respingimento. Nessuna comunicazione ufficiale malgrado le pressanti richieste da parte di organizzazioni non governative, società civile ed in particolare la piattaforma di soccorso telefonico Alarm Phone che aveva gestito la richiesta di aiuto ed indicato la posizione della barca.

Bisogna tornare indietro di parecchi anni, fino allo scorso decennio, per riesumare le notizie di barche maltesi in apparenza da pesca ma con militari a bordo. Erano state testimoniate da superstiti di naufragi ed anche di stragi che, una volta giunti – miracolosamente – in territorio italiano raccontavano di maltesi con una barca da pesca, o comunque in apparenza non militare, che dopo aver riavviato il motore in panne e fornito carburante e qualche bottiglia d’acqua indicavano ai disperati alla deriva la rotta per l’Italia, Sicilia o Lampedusa. La barca fantasma comparsa a Tripoli mercoledì 15 aprile, senza nome, senza matricola e senza bandiera, che tanto ricorda le testimonianze dei migranti dello scorso decennio, ha comunque operato un soccorso sotto coordinamento maltese in SAR di Malta e poi, su indicazione di La Valletta, un respingimento in Libia. Ma c’è di più. La barca, fino a scientifica smentita, è intervenuta sotto il volo dei velivoli di Frontex oltre che di quelli dell’AFM. Ed in questo caso l’agenzia europea non dovrà smentire un naufragio ma la conoscenza di un respingimento. Nel frattempo, per evitare rischi futuri, è stato oscurato il tracciamento dei velivoli “Eagle 1” e “Osprey 3”, in modo che nessuna cronista troppo preparato possa vedere che sulla scena c’erano anche loro: Frontex.

Informazioni su Mauro Seminara 705 Articoli
Giornalista palermitano, classe '74, cresce professionalmente come fotoreporter e videoreporter maturando sulla cronaca dalla prima linea. Dopo anni di esperienza sul campo passa alla scrittura sentendo l'esigenza di raccontare i fatti in prima persona e senza condizionamenti. Ha collaborato con Il Giornale di Sicilia ed altre testate nazionali per la carta stampata. Negli anni ha lavorato con le agenzie di stampa internazionali Thomson Reuters, Agence France-Press, Associated Press, Ansa; per i telegiornali nazionali Rai, Mediaset, La7, Sky e per vari telegiornali nazionali esteri. Si trasferisce nel 2006 a Lampedusa per seguire il crescente fenomeno migratorio che interessava l'isola pelagica e vi rimane fino al 2020. Per anni documenta la migrazione nel Mediterraneo centrale dal mare, dal cielo e da terra come freelance per le maggiori testate ed agenzie nazionali ed internazionali. Nel 2014 gli viene conferito un riconoscimento per meriti professionali al "Premio di giornalismo Mario Francese". Autore e regista del documentario "2011 - Lampedusa nell'anno della primavera araba", direttore della fotografia del documentario "Fino all'ultima spiaggia" e regista del documentario "Uomo". Ideatore e fondatore di Mediterraneo Cronaca, realizza la testata nel 2017 coinvolgendo nel tempo un gruppo di autori di elevata caratura professionale per offrire ai lettori notizie ed analisi di pregio ed indipendenti. Crede nel diritto all'informazione e nel dovere di offrire una informazione neutrale, obiettiva, senza padroni.

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