Covid-19, il Piano nazionale che poteva prevenire il disastro

L'Italia dispone di un "Piano nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale" che pare non sia stato attuato. Nel Piano nazionale era previsto anche il metodo di accertamento e conseguente potenziamento del Servizio Sanitario Nazionale in vista di una nuova pandemia. Il senatore De Falco ha depositato una interrogazione parlamentare urgente sulla mancata attuazione del Piano nazionale

di Mauro Seminara

“Dalla fine del 2003, da quando cioè i focolai di influenza aviaria da virus A/H5N1 sono divenuti endemici nei volatili nell’area estremo orientale, ed il virus ha causato infezioni gravi anche negli uomini, è diventato più concreto e persistente il rischio di una pandemia influenzale”. Sono le parole iniziali del “Piano nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale” approvato anni orsono dal Ministero della Salute e sulla base del quale sono state tracciate le “Linee guida per la stesura dei Piani regionali“. La possibilità che arrivasse un nuovo coronavirus, come di fatto sul finire dello scorso anno con il SARS-CoV-2, era nell’aria e se lo aspettava il Ministero della Salute pubblica italiano come l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che era promotrice del piano nazionale italiano messo a punto sulla base delle indicazioni OMS del 2005. Lo conferma lo stesso documento pubblicato dal Ministero della Salute che recita nell’introduzione del suo sommario esecutivo le seguenti parole: “Per questo motivo l’OMS ha raccomandato a tutti i Paesi di mettere a punto un Piano Pandemico e di aggiornarlo costantemente seguendo linee guida concordate. Il presente Piano, stilato secondo le indicazioni dell’OMS del 2005, aggiorna e sostituisce il precedente Piano Italiano Multifase per una Pandemia Influenzale, pubblicato nel 2002.

A cosa serve il Piano Nazionale anti pandemia

“Esso rappresenta il riferimento nazionale in base al quale saranno messi a punto i Piani operativi regionali”, spiega il piano nazionale introducendo le contromisure sviluppate secondo le sei fasi pandemiche dichiarate dall’OMS. Il testo fin qui riportato spiega quindi due cose già di grande rilievo che riguardano la sempre verde idea che il virus sia opera dell’uomo in virtù di un complotto globale ordito chissà da chi, sfatato dalla stessa previsione stilata dall’OMS nel 2005 secondo cui era necessario prepararsi ad uno nuova possibile mutazione virale pandemica, e soprattutto che il SARS-CoV-2 partito dalla città cinese di Wuhan non poteva coglierci impreparati. Quest’ultimo aspetto è di fondamentale importanza a causa della ridondante giustificazione che Governo nazionale italiano e governi regionali oppongono a fronte delle criticità causate da una maldestra preparazione contro l’epidemia. La lettura del Piano permette infatti di evincere ogni singola inadempienza amministrativa, sia nella fase in cui ci si aspettava che il virus potesse arrivare in Italia dalla provincia cinese di Hubei che nella fase in cui era accertato un focolaio sul territorio nazionale.

Come funziona il Piano Nazionale

Il Piano nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale è una sorta di vademecum per i governi, diviso in sei fasi ognuna delle quali prevede una fase di “azione” del virus e le rispettive attività governative da esperire per la preparazione alle eventuali fasi successive. Seguendo quindi le indicazioni dettate dal Piano, il Ministero della salute si fa carico di individuare e concordare “con le Regioni le attività sanitarie sia di tipo preventivo che assistenziale da garantire su tutto il territorio nazionale“, con i Ministeri coinvolti le “attività extrasanitarie e di supporto” e “con il Ministero degli Affari Esteri e con gli Organismi Internazionali preposti gli aspetti di cooperazione internazionale e assistenza umanitaria“. L’obiettivo del Piano – come recita il documento – è rafforzare la preparazione alla pandemia a livello nazionale e locale. Come un protocollo militare con le regole d’ingaggio in caso di scontro o conflitto armato, tutte le parti coinvolte, attenendosi al Piano, avrebbero chiari i compiti e le priorità di ogni reparto per non lasciarsi cogliere alla sprovvista o perdere tempo in riunioni finalizzate alla suddivisione degli incarichi con rispettive mansioni.

Applicando in modo semplice e scrupoloso ogni passo indicato dal Piano, potremmo facilmente individuare le inefficienze e forse anche le cause della grave epidemia. Al punto 1 del documento si prescrive infatti il dover individuare con estrema immediatezza i casi di nuovi patogeni virali “in modo da riconoscere tempestivamente l’inizio della pandemia“. Ad esempio, il primo caso di Covid-19 a Codogno accertato già il 21 febbraio

. Il punto successivo del Piano prescrive il dover “minimizzare il rischio di trasmissione e limitare la morbosità e la mortalità dovute alla pandemia“. Lo stesso giorno del caso accertato a Codogno erano già 6 le persone affette da Covid-19 ricoverate presso l’ospedale del Comune lombardo. A questo punto, seguendo le indicazioni dell’OMS e quindi quelle del Piano nazionale, bisognava subito “ridurre l’impatto della pandemia sui servizi sanitari e sociali ed assicurare il mantenimento dei servizi essenziali“. Da questo punto in poi abbiamo invece assistito ad un probabile scollamento tra le indicazioni previste dal Piano nazionale, quindi anche dal Piano regionale della Regione Lombardia (in vigore già dal 2010), e le misure poste in essere da Governo nazionale Regione. Bisogna infatti arrivare al primo giorno di marzo con il decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri (Dpcm) che istituisce le cosiddette “zone rosse” off limits per i comuni di Bertonico, Casalpusterlengo, Castelgerundo, Castiglione D’Adda, Codogno, Fombio, Maleo, San Fiorano, Somaglia, Terranova dei Passerini e Vo’ Euganeo. Ma la mappa della zona ad alto contagio a questo punto è già estesa a vari comuni della Lombardia e del Veneto.

Il Governo, con un annuncio carico di fierezza in conferenza stampa, aveva dichiarato lo Stato di emergenza nazionale il 31 gennaio, poche ore dopo la dichiarazione di Stato di emergenza globale (PHEIC, Public Health Emergency of International Concern) finalmente accettata e dichiarata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che per parecchi giorni aveva preferito la cautela politica alle indicazioni di una consistente parte del proprio comitato scientifico propenso alla dichiarazione di PHEIC. Al 2 marzo, data di entrata in vigore del Dpcm che istituisce le zone rosse, i divieti di mobilità da e per le aree focolaio identificate in Lombardia e Veneto e la chiusura delle scuole su tutto il territorio nazionale, era trascorso l’intero mese di febbraio dalla dichiarazione di Stato di emergenza nazionale e quasi due settimane dalla scoperta dell’epidemia altamente contagiosa in Lombardia. A questo punto era doveroso passare ai punti 4, 5 e 6 del Piano che prevedono, rispettivamente, di dover “assicurare una adeguata formazione del personale coinvolto nella risposta alla pandemia“, “garantire informazioni aggiornate e tempestive per i decisori, gli operatori sanitari, i media ed il pubblico” e “monitorare l’efficienza degli interventi intrapresi“. Quando sono state istituite le “zone rosse” in Lombardia e Veneto il Covid-19 non era ancora un virus pandemico, ma era una epidemia che dalla Cina aveva raggiunto molti Paesi in vari continenti e soprattutto aveva attecchito con aggressivi focolai nel settentrione italiano. Pochi giorni dopo infatti, l’11 marzo, l’OMS ha definito formalmente l’epidemia di Covid-19 come una pandemia, cioè una epidemia globale.

Le azioni chiave del Piano nazionale

Le “azioni chiave per raggiungere gli obiettivi del Piano” sono proposte in 7 fasi, delle quali due di particolare rilievo ai fini delle inefficienze riscontrate in Italia. Il punto 4 delle sopracitate azioni prevede infatti che si mettano a punto “piani di emergenza per mantenere la funzionalità dei servizi sanitari ed altri servizi essenziali” ed il punto 7 lo stesso Ministero della Salute italiano indica la necessità di “monitorare l’attuazione delle azioni pianificate per fase di rischio, le capacità/risorse esistenti per la risposta, le risorse aggiuntive necessarie, l’efficacia degli interventi intrapresi; il monitoraggio deve avvenire in maniera continuativa e trasversale, integrando ed analizzando i dati provenienti dai diversi sistemi informativi.“. In altre parole, Governo nazionale e governi regionali avrebbero dovuto immediatamente fare un vero e proprio inventario delle strutture con posti letto in terapia intensiva, macchine per l ventilazione assistita, mascherine, gel igienizzante e tutti i dispositivi per la protezione individuale (DPI) necessari.

Il 20 marzo, accolte in quel di Sondrio come eroi reduci da una guerra, sono arrivate 830.000 mascherine che erano rimaste bloccate in Germani dal 4 marzo. Lo stock era un ordine di acquisto della azienda di Grondona (Sondrio) Dispotech che le aveva commissionate ad un importatore tedesco. Di queste, recita l’Ansa, l’azienda “prevede di donarne 200mila all’Ast di Sondrio e 100mila alla Protezione Civile“. Le mascherine rimanenti saranno destinate ai presidi ospedalieri“. Quindi, boccheggiando, ai presidi ospedalieri saranno arrivate circa 530.000 mascherine donate da un’azienda privata che con grande difficoltà era riuscita a far arrivare in Italia uno stock di prodotti industriali cinesi, oggi unica vera produttrice di questo genere di dispositivi di protezione individuale. Nel frattempo cresceva il numero di medici ed infermieri ammalati di Covid-19 che invece di garantire assistenza erano divenuti essi stessi diffusori del virus. Ad oggi, 7 aprile 2020, sono già 94 i medici deceduti a causa del Covid-19 e 26 il numero degli infermieri cui è toccata la stessa sorte. Sul sito della Federazione Nazionale dell’Ordine dei medici Chirurghi e degli Odontoiatri è possibile leggere il lungo elenco di nomi “caduti in battaglia” mentre tentavano di salvare vite umane senza armi di difesa.

L’interrogazione parlamentare sul Piano nazionale

Il 2 aprile, quando il numero delle vittime di Covid-19 era giunto alla raccapricciante cifra di 13.915 deceduti e 83.049 contagiati accertati, il senatore Gregorio De Falco ha depositato una interrogazione parlamentare urgente, rivolta al presidente del Consiglio dei ministri ed al ministro della Salute, “sulla mancata attivazione del piano nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale”. De Falco chiede ai principali responsabili del Governo, appunto il capo dell’esecutivo ed il ministro del dicastero coinvolto in prima linea, “se il Governo fosse a conoscenza dell’esistenza del piano” e “se il piano avesse, ed abbia, vigenza o se sia stato mai abrogato, e in tal caso quando e con quale atto“. La conclusione del senatore, che così motiva l’interrogazione, è che: “pur nell’ipotesi che il piano fosse stato abrogato e non sostituito, non si sia comunque tenuto conto delle prescrizioni ricordate, e delle altre presenti nel documento, e che, implementate in tempo, e non in piena emergenza, avrebbero potuto quantomeno contenere gli effetti devastanti del virus“. De Falco pone infatti in premessa di interrogazione quesiti sul perché le ricognizioni su DPI, posti letto in terapia intensiva e pre-intensiva e dispositivi medici come quelli per la respirazione assistita non siano state fatte quando si è appresa la notizia del passaggio all’uomo del virus, periodo in cui erano ancora disponibili sul mercato le forniture necessarie, e perché la fase 6 del Piano sia stata attuata come prima concreta misura di Governo essendo questa l’ultima da porre in essere dopo aver predisposto il Sistema Sanitario Nazionale nel migliore dei modi. De Falco, in sostanza, si pone perfino un quesito prima di passare alle letterali interrogazioni: “non risulta nemmeno chiaro che cosa sia stato fatto dal 31 gennaio sino al 23 febbraio 2020, data in cui è stato emanato il decreto-legge n. 6“.

Interrogazioni ed esposti, lavoro per la Magistratura

Lo stesso giorno in cui il senatore De Falco depositava la sua interrogazione parlamentare urgente indirizzata a Giuseppe Conte e Roberto Speranza, in Sicilia l’imprenditore Peppe Bologna rendeva noto di aver presentato un esposto presso a Procura della Repubblica di Trapani a carico del presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana. Il governatore della regione che vanta eccellenza sanitaria e che pretende maggiore autonomia amministrativa è stato definito il 4 aprile dalla rivista Rolling Stone il “peggior dirigente politico italiano”. L’imprenditore siciliano ha consegnato alla Procura un documento in cui indica il governatore lombardo come possibile responsabile del propagarsi dell’epidemia dai primi focolai locali nel lodigiano all’intero territorio nazionale, quindi anche alla Sicilia. Quanto avvenuto nei comuni assoggettati alle prime misure di isolamento adottate – si legge nell’esposto di Bologna – (Castiglione D’Adda, Casalpusterlengo, Fombio, Maleo, Somaglia, Bertonico, Terranova dei Passerini, Castelgerundo e San Fiorano), nei quali la quarantena ha permesso l’esaurimento del contagio ‘interno’, dimostra come l’adozione di rigidi provvedimenti su tutto il territorio regionale circostante avrebbe consentito di arginare per tempo la diffusione della malattia, impedendone l’ ‘esportazione’ anche sul restante territorio nazionale, ed in particolare nel Sud del Paese. L’iter di conversione in Legge dello Stato del decreto-legge 17 marzo 2020 n. 18, il cosiddetto “Cura Italia”, vede forse non a caso spuntare tra gli emendamenti una proposta di modifica che metterebbe al riparo da conseguenze amministrative e penali i “datori di lavoro” dei medici e degli infermieri che rimarrebbero in tal modo unici responsabili anche per eventuali contagi da essi causati all’interno degli ospedali. I datori di lavoro verrebbero quindi anche sollevati dalle rispettive responsabilità per i 94 medici e 26 infermieri deceduti forse a causa di assenza di dispositivi di protezione idonei.

Il Sistema Sanitario Nazionale

Le misure da adottare in caso di pandemia di un nuovo virus avrebbero inoltre dovuto tenere conto degli handicap cui è stata costretta la Sanità pubblica nazionale. In un dibattito sterile che vede al concetto di “tagli” opposta la precisazione di “mancati rinnovi”, la Sanità pubblica è e rimane – qualunque sia il termine utilizzato – gravemente penalizzata da riduzioni di budget che negli anni hanno pregiudicato il buon funzionamento in favore della sanità privata che costa comunque fondi pubblici per il regime di convenzione in cui opera. Le liste d’attesa per esami specialistici nel Sistema sanitario pubblico erano interminabili, fino alla chiusura per le non urgenze dettate dai Dpcm a causa dell’epidemia di Covid. In questo scenario di Servizio Sanitario Nazionale ( SSN) malridotto e di servizio sanitario privato performante solo su alcune specifiche e particolarmente redditizie branche. In questo contesto sbilanciato, la sanità privata aveva poco da offrire anche nel caso in cui il Governo avesse voluto “requisire” immediatamente cliniche e posti letto. Il carico è stato pertanto addossato tutto sul Servizio Sanitario Nazionale che, fatta eccezione per la famosa “eccellenza” della Lombardia, dove si recano per cure mediche italiani del Mezzogiorno con conseguente trasferimento di risorse regionali dalle Regioni di provenienza alla Regione Lombardia, l’Italia aveva chiara necessità di una seria ricognizione da Piano nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale e di conseguenti investimenti urgenti per il potenziamento solido del SSN.

Informazioni su Mauro Seminara 705 Articoli
Giornalista palermitano, classe '74, cresce professionalmente come fotoreporter e videoreporter maturando sulla cronaca dalla prima linea. Dopo anni di esperienza sul campo passa alla scrittura sentendo l'esigenza di raccontare i fatti in prima persona e senza condizionamenti. Ha collaborato con Il Giornale di Sicilia ed altre testate nazionali per la carta stampata. Negli anni ha lavorato con le agenzie di stampa internazionali Thomson Reuters, Agence France-Press, Associated Press, Ansa; per i telegiornali nazionali Rai, Mediaset, La7, Sky e per vari telegiornali nazionali esteri. Si trasferisce nel 2006 a Lampedusa per seguire il crescente fenomeno migratorio che interessava l'isola pelagica e vi rimane fino al 2020. Per anni documenta la migrazione nel Mediterraneo centrale dal mare, dal cielo e da terra come freelance per le maggiori testate ed agenzie nazionali ed internazionali. Nel 2014 gli viene conferito un riconoscimento per meriti professionali al "Premio di giornalismo Mario Francese". Autore e regista del documentario "2011 - Lampedusa nell'anno della primavera araba", direttore della fotografia del documentario "Fino all'ultima spiaggia" e regista del documentario "Uomo". Ideatore e fondatore di Mediterraneo Cronaca, realizza la testata nel 2017 coinvolgendo nel tempo un gruppo di autori di elevata caratura professionale per offrire ai lettori notizie ed analisi di pregio ed indipendenti. Crede nel diritto all'informazione e nel dovere di offrire una informazione neutrale, obiettiva, senza padroni.

4 Commenti

  1. Articolo splendido con una accurata sequenza temporale degli avvenimenti e riferimenti precisi e congruenti al preesistente e ignorato Piano. Da leggere e rileggere. Complimenti

  2. Buongiorno a tutti, sono una cittadina lombarda da quando sono nata, da quasi 40 anni, sono nata a Milano, ho sempre abitato e lavorato in Lombardia, ho un marito lombardo e due figli nati a Milano. Non sopporto tutte queste accuse così pesanti ed ingiuste alla Lombardia ed in particolare al sistema sanitario lombardo, un sistema che Grazie a Dio ed ai Governanti illuminati e capaci che abbiamo avuto negli anni, in primis Roberto Formigoni, hanno dato vita al sistema sanitario più democratico che esista, perchè noi possiamo andare a farci curare in tutti gli ospedali, pubblici e privati, senza pagare assolutamente nulla. Nella mia stessa famiglia ho avuto famigliari stretti che sono stati operati in Lombardia e guariti di tumore, quando in altre Regioni non li volevano neanche operare, parenti e conoscenti venuti da altre Regioni che in Lombardia hanno trovata la speranza e sono stati salvati. Se non ci fosse il sistema sanitario della Lombardia con le convenzioni con ospedali anche privati, noi stessi per farci curare negli ospedali privati dovremmo spendere un sacco di soldi e potrebbero accederci solo i cittadini con redditi maggiori. Inoltre potendo noi accedere sia negli ospedali pubblici che in quelli privati, nello stesso modo e con le stesse condizioni di valide cure, abbiamo tempi di attesa molto inferiori che in altre Regioni e per le urgenze non ci sono tempi di attesa. In Lombardia la sanità – sia il pubblico che il privato – cura allo stesso modo tutti, giovani, anziani, ricchi e poveri, italiani ed immigrati, donne, uomini e bambini, senza far spendere niente a nessuno e cura tutti i cittadini Italiani, non solo i lombardi, dà speranza di guarigione a tutti. Conosco tantissimi casi invece di errori di operazioni e trattamenti sbagliati effettuati in altre Regioni che purtroppo invece hanno causato morti assurde ed ingiustificate o persone che arrivano a farsi curare in Lombardia con alle spalle operazioni sbagliate in altre Regioni. Poi i medici che sbagliano possono ovviamente esserci ovunque, purtroppo, ma non si può assolutamente dire che la sanità lombarda non funziona, anzi sono innumerevoli i casi, che conosco in prima persona, di persone salvate proprio in ospedali lombardi, dai medici lombardi. Innumerevoli testimonianze di parenti, conoscenti e clienti, già solo nel mio caso, figuriamoci quindi quanti milioni di casi ci saranno. E poi noi lombardi non paghiamo niente per tanti esami clinici che altrimenti ci costerebbero tantissimo, come le tac e tanti altri, non paghiamo nulla al pronto soccorso (mentre in Emilia Romagna i cittadini devono pagarlo – saputo da un collaboratore che vive in Emilia), abbiamo tanti esami gratuiti in gravidanza, anche quelli facoltativi, abbiamo ospedali pubblici che fanno l’epidurale per il parto 24 ore su 24, che in altre Regioni le cittadine possono sognarselo, abbiamo tanti corsi gratuiti (da corsi pre-parto in palestra ed in piscina, ai controlli per il peso dei bambini, ai bilanci di salute per i bambini, ai controlli sulla crescita dei bambini, alla prevenzione delle malattie nei bambini, alle visite gratuite in tutti gli ospedali). E poi in Lombardia ci sono tanti servizi gratuiti per gli anziani, aiuti concreti alle famiglie bisognose, eccellenti sistemi bibliotecari che forniscono innumerevoli servizi e corsi, università per la terza età, scuole di formazione per tutte le età anche gratuite, tantissimi corsi di formazione gratuiti per disoccupati, abbiamo abbonamenti gratuiti per i bambini sui treni e metrò e tanto altro…
    Io sono contenta di abitare in Lombardia e sono contenta di tutti i servizi che abbiamo qui.
    In Lombardia abbiamo inoltre una grande integrazione tra italiani e immigrati a discapito di tutte le critiche false e tendenziose che si sentono sempre, io per prima ho tanti clienti immigrati da altri Paesi di tutto il mondo che vivono e lavorano in Lombardia e stanno bene qui.
    Questa è la VERITA’, queste sono le cose come sono davvero in Lombardia.
    E poi la qualità c’è sia nella sanità privata che in quella pubblica, ci sono ospedali specializzati in vari settori che sono sia pubblici che privati e collaborano per la ricerca e per l’assistenza insieme. Pubblico e privato sono come un tutt’uno. Per noi cittadini lombardi non c’è differenza tra l’andare nel pubblico o nel privato, i nostri medici ci mandano in quelli più specializzati per un argomento o per un altro, sia pubblici che privati. Per esempio io sono nata all’ospedale Buzzi ed i miei figli sono nati all’ospedale Sacco che sono ospedali pubblici d’eccellenza di Milano, che danno l’epidurale gratuita giorno e notte e che seguono i protocolli dei diritti dei bambini per la miglior nascita. Inoltre non è vero che la Regione Lombardia non investe nel pubblico, E’ UN’ENORME FALSITA’, perché per esempio a Legnano è stato realizzato un ospedale nuovo enorme, alcuni anni fa, che è pubblico oltre a quello vecchio che viene ancora utilizzato per certe mansioni. E così le scuole, i servizi per l’infanzia, noi cittadini lombardi POSSIAMO SCEGLIERE il servizio più vicino a casa o quello che ci piace di più, ma non è vero che il pubblico in Lombardia non funziona, è UNA ENORME FALSITA’, i Comuni investono invece tanto, con i soldi dati dalla Regione, nelle ristrutturazioni di scuole, asili e nidi, le persone che vi lavorano sono preparate e brave. PER NOI IN LOMBARDIA C’E’ LA POSSIBILITA’ DI SCEGLIERE IL SERVIZIO PUBBLICO O QUELLO PRIVATO PARITARIO CHE COSI’ CI VIENE DATO GRATUITAMENTE ANCH’ESSO OPPURE A PREZZI CALMIERATI. LA GESTIONE DEL PUBBLICO E DEL PRIVATO IN LOMBARDIA INVECE E’ VERAMENTE STATA ED E’ ANCORA LA FORMULA GESTIONALE PIU’ DEMOCRATICA CHE ESISTA.
    NON SOPPORTO PIU’ DI SENTIRE IN TELEVISIONE O DI LEGGERE CRITICHE FATTE DA PERSONE CHE RISIEDONO IN ALTRE REGIONI SENZA CONOSCERE NULLA DI COME REALMENTE FUNZIONA LA VITA VERA IN LOMBARDIA.
    La sanità lombarda e gli altri servizi che funzionano bene in Lombardia devono essere invece presi ad esempio per tutta Italia, non l’Italia che critica la Lombardia, è un male per tutti i cittadini delle altre Regioni, che hanno diritto anche loro ad avere gli stessi servizi e le stesse opportunità che abbiamo noi che abitiamo in Lombardia.
    Tutti questi attacchi sono veramente ingiusti, mi sento offesa anche in prima persona come cittadina lombarda. Ho tantissimi clienti che abitano in altre Regioni e vengono a fare mercati e fiere in Lombardia perchè lamentano che soprattutto nel sud non c’è lavoro.
    E poi i nidi gratis, inseriti dal Governatore Maroni e poi portati avanti con la Giunta Fontana. La Lombardia è stata la prima e l’unica Regione in Italia ad avere dato l’asilo nido gratuito (sia pubblico che privato convenzionato) alle famiglie, quando prima anche i lombardi, come gli altri cittadini italiani, dovevano pagare anche 700 € al mese.
    Queste sono vere politiche per i cittadini e le famiglie.
    Quando invece l’Inps dà al massimo 1.000 € all’anno, Regione Lombardia dà tutto l’anno gratuito, per più anni e per più figli (con indicatori Isee che non sono da fame, ma adattati a due genitori che lavorano). Queste sono le politiche da fare per tutta Italia.
    L’invidia e le critiche alla Lombardia sono molto negative per tutta Italia e per tutti i cittadini.
    Invece per quanto riguarda la gestione dell’emergenza coronavirus bisogna andare ad indagare a monte e cioè al Ministero della Sanità che non ha aggiornato (quando invece l’OMS e l’Unione Europea lo chiedevano da anni) ed attuato il piano di emergenza per pandemia influenzale che era depositato (e si può scaricare anche dal sito del Ministero della Sanità, che andava benissimo per il 90 % dei contenuti). E chiedersi il perché il CCM, Centro Nazionale per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie è inattivo da anni, che è invece proprio l’organo dello Stato deputato alla gestione delle epidemie.
    Gli Enti sono fatti di persone e devono venire fuori nomi e cognomi.
    Se poi anche in Regione Lombardia verranno fuori degli errori, anche lì pagheranno le persone che li hanno commessi, ma non si può attaccare la Lombardia che in tutta questa questione è stata l’ultima ruota del carro, e non indagare alla fonte di tutti gli errori, perché il numero verde nazionale per l’emergenza che ha tolto il compito dai medici di base è stato istituito dal Ministero, perché i decreti per le zone rosse sono state istituite dal Governo, perché le comunicazioni ed avvisi agli ospedali non sono state fatte dal Ministero della Salute, perché il divieto di fare i tamponi se le persone non provenivano dalla Cina è nella circolare del Ministero della Salute (infatti il caso di Codogno è stato scoperto poiché si è fatto il tampone che non doveva essere fatto in quanto la persona non proveniva dalla Cina), perché il divieto di fare le autopsie e capire così prima le cause delle morti e quindi le cure è contenuto in una circolare del Ministero della Salute etc.
    Quindi GLI ERRORI COMMESSI IN PRIMO LUOGO VANNO RICERCATI NEL MINISTERO DELLA SALUTE E NEL CCM, CENTRO NAZIONALE PER LA PREVENZIONE ED IL CONTROLLO DELLE MALATTIE.
    Mi domando perché la Magistratura non ha aperto invece una indagine proprio sul Ministero della Salute e sul CCM, oltre che su Regione Lombardia e perché vi sia solo la denuncia dell’avv. Taormina nei confronti del Ministero della Sanità e stanno tutti zitti.
    I CITTADINI ITALIANI, E NOI LOMBARDI IN PRIMIS CHE L’ABBIAMO VISSUTO PIU’ DEGLI ALTRI IN PRIMA PERSONA, HANNO IL DIRITTO DI SAPERE LA VERITA’, DI COME SONO ANDATE DAVVERO LE COSE ED I NOMI ED I COGNOMI DI TUTTE LE PERSONE CHE DOVEVANO E POTEVANO FARE E NON HANNO FATTO E CI HANNO FATTO CORRERE ENORMI RISCHI DI CONTAGIO A PARTIRE DA GENNAIO E FEBBRAIO E FORSE ANCHE PRIMA. E I RESPONSABILI VANNO RICERCATI IN PRIMIS NEL MINISTERO, NEL CCM, Centro Nazionale per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie, NEL GOVERNO E SE NECESSARIO ANCHE NELLE REGIONI, NELLE ATS E NEI COMUNI.

    • Bene. Anche io sono nata cresciuta a Milano e ho lavorato sempre in Lombardia fino a quando sono andata in pensione. Ho lavorato per 35 anni come medico ospedaliero in un ospedale pubblico di eccellenza e di cose e di cambiamenti ne ho visti tanti e posso dire senza timore di venire smentita che la sanità pubblica in Lombardia è stata pesantemente penalizzata. I medici che andavano in pensione non venivano rimpiazzati. Il carico di lavoro è diventato sempre più oneroso. I posti dirigenziali assegnati in base al clientelismo politico anziché in base a criteri di merito e posso continuare a lungo. Adesso vivo in Sicilia felice di avere abbandonato una regione che in questa tragedia del Covid19 ha mostrato tutta la sua inefficienza

  3. Ottimo punto su tutto il problema emergenze epidemiche e piani nazionali. Per quanto riguarda il commento della divertente Myriam, l’unica valutazione educata che mi sovviene è la puerilita della difesa a spada tratta della cosiddetta “eccellenza lombarda” la cui unica eccellenza da riconoscere è quella relativa alle dimensioni del profitto conseguito dai 6 o 7 gruppi finanziari che tengono in mano la sanità privata lombarda. Se la simpatica Myriam ha voglia di farsene un’idea dia uno sguardo ai dati processuali del suo idolo Formigoni. Mia cara signora i dati sono dati

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