La bomba virale che l’UE non vede oppure pensa di nascondere

In Europarlamento si è discusso ieri di nuovo coronavirus ed anche del ricatto di Erdogan con l'emergenza umanitaria al confine europeo della Grecia, ma i temi erano slegati tra loro. In Italia l'allarme è stato lanciato da Emma Bonino ma pare sia rimasto pressoché inascoltato. L'Unione europea intende continuare ad ammassare esseri umani in campi profughi senza curarsi delle conseguenze in caso di Covid-19

di Mauro Seminara

L’emergenza provocata dal diffondersi del nuovo coronavirus sta iniziando a preoccupare un po’ più seriamente anche l’Unione europea che fine a pochi giorni addietro assisteva compiaciuta alla sottovalutazione degli Stati membri mentre l’Italia affrontava le risultanze di un gran numero di tamponi eseguiti e risultati positivi. Oggi la stessa Unione europea comprende, suo malgrado, che l’Italia non era il Paese che affrontava un suo problema ma il primo Stato membro che lo rilevava grazie ad un sistema sanitario pubblico che, se pur piegato da tagli e favori alla privatizzazione, è risultato capace di fronteggiare il virus del secolo. Nuovi focolai si accendono infatti in Spagna, Germania, Francia ed anche la Grecia si scopre adesso a rischio. Proprio mentre Bruxelles iniziava a prendere con maggiore e più opportuna considerazione il “laboratorio Italia”, al confine dell’Unione europea rappresentato dalla Grecia si consumava una indegna emergenza umanitaria generata dal ricatto messo in scena dal presidente della Turchia Recep Tayyip Erdogan.

La Grecia è attualmente il campo profughi dell’Unione europea. La meraviglia turistica del Mediterraneo è ridotta ad un insieme di tende sparse sulle sue isole – e non soltanto sulle isole – in cui trovano miserabile posto decine di migliaia di persone alle quali non viene offerta via di uscita. L’Unione europea aveva istituito, qualche anno addietro, nel 2015, il sistema “hotspot” e Grecia ed Italia erano state le prime ed ultime sedi della linea di fronte europea all’arrivo dei migranti. In Grecia il primo campo profughi di massa era sorto a Lesbo ed attualmente Moria ospita circa ventimila persone. Una piccola città fatta di tende e servizi inesistenti all’interno della quale vivono persone le cui vite vengono considerate al pari di quelle di cani randagi da confinare in un canile comunale. Una situazione simile, se pur in forma enormemente moderata, la vive l’Italia con l’incremento dei “clandestini” che le misure propaganda dell’ex ministro dell’Interno – ed ex vicepremier – Matteo Salvini aveva varato con il risultato di rendere invisibili altre decine di migliaia di migranti.

Il sistema sanitario europeo è oggi messo a dura prova dalla diffusione del nuovo coronavirus, il cui tasso di mortalità pare stia crescendo in percentuale mentre aumenta di giorno in giorno il numero dei contagiati. Un momento storico unico nel suo genere, come spiegato in altro articolo, a causa dell’era in cui viviamo e della velocità di spostamenti a cui siamo abituati. Un fenomeno, quello della rapidissima diffusione epidemica di Covid-19, per cui è assolutamente necessario aveva contezza di tutti i cittadini, residenti e non, che potrebbero contrarre il nuovo coronavirus e poi diffonderlo. In questo contesto, l’unica misura che gli Stati membri ritengono di dover intraprendere nei confronti di profughi e migranti è il confinamento. Leader dei gruppi politici europei hanno chiesto ieri una revisione dell’accordo con la Turchia, concluso nel 2016, per arginare il flusso di migranti e richiedenti asilo in cambio dell’aiuto finanziario dell’UE. Sul versante interno ai confini dell’UE, quello della Grecia, l’idea messa sul tavolo per immediata esecuzione è invece quello dello schieramento di forze – navi ed aerei per fermare il flusso migratorio – e di denaro e tende per garantire a Bruxelles che quelle persone rimangano ben confinate in Grecia. Ma il “caporale” che dovrebbe accudire quelle decine di migliaia di persone confinate è lo stesso che accusa l’insorgenza di movimenti fascisti con raid vandalici ed atti di violenza e lo stesso che ha chiuso tutte le scuole e le Università per prevenire la diffusione del nuovo virus.

Ieri, nel corso di un dibattito con il Commissario Johansson e la Presidenza croata del Consiglio d’Europa, la maggioranza dei deputati ha criticato il Presidente turco Erdogan per aver utilizzato le sofferenze della gente per fini politici. Molti deputati hanno poi sottolineato che la crisi dei rifugiati del 2015 non dovrebbe ripetersi, ribadendo la necessità di un aggiornamento delle regole UE comuni in materia di asilo. La necessità di rispettare la Convenzione di Ginevra, di offrire protezione ai rifugiati, le accuse di violenza da parte della polizia contro le persone che tentano di attraversare il confine e il rischio che i jihadisti possano entrare nel territorio dell’UE sono stati gli altri punti sollevati durante il dibattito. L’approccio europeo rimane quindi evidentemente improntato alla logica securitaria e risulta condiviso da tutti i partiti che fino a quando il problema rimarrà confinato in Grecia tutti saranno soddisfatti ad eccezione dei greci. Sempre ieri, 10 marzo 2020, il Parlamento europeo ha discusso l’epidemia di Covid-19 con la Commissione e la Presidenza croata. Dalla seduta plenaria è emersa la condivisa necessità di rallentarne la diffusione del virus in tutta Europa.

Stella Kyriakides, Commissario UE per la salute e la sicurezza alimentare, ha dichiarato che il COVID-19 è un’emergenza sanitaria che cambia di ora in ora. Gli Stati membri devono concentrarsi sul contenimento del virus per rallentarne la diffusione, in modo che i sistemi sanitari possano far fronte all’emergenza e che l’impatto sull’economia e sulla vita sociale sia il più limitato possibile. Alcuni leader dei gruppi politici hanno espresso la loro vicinanza per le persone colpite dal virus e l’ammirazione per il personale sanitario al lavoro per curare le persone infette. Molti deputati hanno sottolineato come sia necessaria la solidarietà dei Paesi UE, insieme a maggiori fondi per la ricerca sul virus. Il materiale medico necessario, come i kit per i test, le maschere e le macchine per la respirazione, dovrebbe essere prodotto all’interno dell’UE ed essere messo a disposizione di tutti gli Stati membri. Alcuni deputati hanno affermato come sia necessario disporre di una valutazione comune europea del rischio, per garantire che le stesse misure vengano applicate nelle aree che presentano lo stesso livello di rischio. Altri deputati hanno inoltre richiesto regole comuni per l’ingresso nell’area Schengen.

Rimangono fuori dall’agenda europea i rischi che ogni Stato membro ed ogni nazione del pianeta corre con il contenimento di decine e decine di migliaia di persone in condizione di igiene quasi inesistente e contenute mediante stretta sorveglianza di forze dell’ordine e forze armate che non risultano, alla scienza, immuni ai virus come non lo sono gli esseri umani detenuti al di la della rete. Unica performance di lungimirante analisi politica è risultata quella di Emma Bonino, parlamentare italiana, che sabato 7 marzo ha dato notizia di un colloquio con il ministro dell’Interno italiano Luciana Lamorgese circa le misure “adeguate a garantire la salute dei richiedenti asilo ospitati nei centri di accoglienza e delle persone trattenute all’interno dei centri di permanenza per il rimpatrio (CPR) in tutta Italia”. Emma Bonino anticipava eventi che si sarebbero scatenati da li a breve: “In particolare ho chiesto al ministro se vi fossero nei CPR – da cui non è permesso allontanarsi – presidi idonei ad affrontare la situazione con la stessa cura con cui si dovrebbe agire nell’ambito carcerario, dove ancora troppo poco si sta facendo, non escludendo l’ipotesi di non procedere a nuovi ingressi nelle prossime settimane”. Nei giorni successivi si sono verificate rivolte in quasi tutti i carceri italiani, con evasioni e vittime.

Emma Bonino, elegantemente, ha dichiarato che Luciana Lamorgese le ha confermato di aver “predisposto e comunicato agli uffici territoriali una serie di interventi sull’intero sistema di accoglienza di sua competenza”. Un inciso però segue nell’annuncio firmato da Emma Bonino: “Ma sono certa che uno sforzo ulteriore di comunicazione e prevenzione vada fatto per proteggere la salute degli operatori e dei rifugiati”. La sua uscita sulla cura dei migranti detenuti nei centri di detenzione amministrativa come quelli chiusi negli istituti penitenziari è stata bersagliata con la solita sequenza di offese e di ignoranza da utenza social che coglie ogni occasioni per il solito “prima gli italiani” o “mai che si preoccupa di noi italiani”. Ma la preoccupazione della parlamentare era comprensibile a chiunque: “Sono convinta che occorra in questo momento – chiudeva Emma Bonino – la massima attenzione verso le condizioni di vita all’interno dei centri presenti nel nostro Paese, affinché venga fornito a chi vi è ospitato e a chi vi opera tutto il sostegno necessario ad affrontare le prossime settimane”. Intorno ai centri per migranti, ai penitenziari, ai campi profughi e negli ospedali ci sono infatti persone che finendo il proprio turno si ritireranno verso il proprio domicilio, faranno la spesa al supermercato e condurranno la loro vita sperando di non contrarre il virus. Ma se questo si dovesse propagare all’interno di campi profughi, Centri per il Rimpatrio, istituti penitenziari, e poi anche in caserme ed ospedali, il risultato sarebbe catastrofico per il sistema sanitario di qualunque Paese inclusa l’Italia.

A questo rischio avrebbero fatto eccezione i migranti richiedenti asilo o aventi protezione umanitaria che risiedevano negli Sprar italiani e che avrebbero fatto richiesta di aiuto sanitario in caso di necessità, ma la chiusura della rete diffusa di accoglienza ed il diniego di protezione umanitaria ha creato lo scorso anno quasi 200mila invisibili in più che certamente non si rivolgeranno al numero di telefono istituito per l’emergenza nuovo coronavirus chiedendo intervento sanitario protetto. In Italia ci sono quindi circa 700mila migranti irregolari cui non si vuol concedere alcun genere di visto e che rappresentano pertanto una popolazione nomade che potrebbe veicolare il Covid-19 senza alcuna tracciabilità. Stesso fenomeno, amplificato in modo esponenziale, interessa adesso la Grecia. Se in uno dei grandi campi profughi su territorio ellenico dovesse arrivare il Covid-19, la Grecia non sarebbe in grado di fornire strutture ospedaliere – solo Moria conta oltre ventimila persone – e la stessa nazione verrebbe gravemente minacciata da una bomba virale in cui, oltre a morire persone come in un campo di sterminio, verrebbero meno anche i controlli esterni. La paura del migrante che l’Unione europea non riesce ad affrontare, accettando di pagare ogni Erdogan di turno che la ricatta minacciando apertura al flusso migratorio, le impedisce di associare i diritti umani “degli altri” alla salute dei “cittadini europei”. Il rischio quindi, concreto e dietro l’angolo, è adesso quello di dover assistere ad uno sterminio di poveri che neanche in pieno nazismo hitleriano si poteva immaginare.

Informazioni su Mauro Seminara 705 Articoli
Giornalista palermitano, classe '74, cresce professionalmente come fotoreporter e videoreporter maturando sulla cronaca dalla prima linea. Dopo anni di esperienza sul campo passa alla scrittura sentendo l'esigenza di raccontare i fatti in prima persona e senza condizionamenti. Ha collaborato con Il Giornale di Sicilia ed altre testate nazionali per la carta stampata. Negli anni ha lavorato con le agenzie di stampa internazionali Thomson Reuters, Agence France-Press, Associated Press, Ansa; per i telegiornali nazionali Rai, Mediaset, La7, Sky e per vari telegiornali nazionali esteri. Si trasferisce nel 2006 a Lampedusa per seguire il crescente fenomeno migratorio che interessava l'isola pelagica e vi rimane fino al 2020. Per anni documenta la migrazione nel Mediterraneo centrale dal mare, dal cielo e da terra come freelance per le maggiori testate ed agenzie nazionali ed internazionali. Nel 2014 gli viene conferito un riconoscimento per meriti professionali al "Premio di giornalismo Mario Francese". Autore e regista del documentario "2011 - Lampedusa nell'anno della primavera araba", direttore della fotografia del documentario "Fino all'ultima spiaggia" e regista del documentario "Uomo". Ideatore e fondatore di Mediterraneo Cronaca, realizza la testata nel 2017 coinvolgendo nel tempo un gruppo di autori di elevata caratura professionale per offrire ai lettori notizie ed analisi di pregio ed indipendenti. Crede nel diritto all'informazione e nel dovere di offrire una informazione neutrale, obiettiva, senza padroni.

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