Covid-19, come reagire al nuovo virus. Ne parliamo con il professor La Barbera

Covid-19, come reagire al nuovo virus. Ne parliamo con il professor La Barbera Benessere è Salute, rubrica a cura della dottoressa Franca Regina Parizzi Articolo di Maria Leduisi e Mauro Seminara

di Maria Leduisi e Mauro Seminara

Le misure restrittive adottate dal Governo per arginare la diffusione del nuovo coronavirus hanno profondamente colpito le persone che già erano state spinte verso la psicosi di massa con il giornaliero bollettino di guerra recante numeri di contagiati e di deceduti. I mass media si rincorrevano per dare notizie, anche se non ancora del tutto verificate, ed i palinsesti televisivi seguivano la fonte di audience noncuranti degli effetti che la continua, incessante – e spesso approssimativa o falsa – informazione causava nella popolazione. Un fenomeno ormai avvitato su se stesso che ha rischiato due opposti effetti collaterali: un eccessivo stato ansiogeno ed il negazionismo. In altre parole, un eccesso immotivato di ansia e poi un pericoloso negare la reale gravità della situazione.

Su Mediterraneo Cronaca abbiamo preferito non seguire un meccanismo che subito ci è parso contorto e controproducente. Altro è farlo per spiegare, in modo opportuno ed accurato di cosa, stiamo parlando senza seguire la cronaca “minuto per minuto” dalla zona rossa e le voci sui nuovi tamponi positivi. E ciò di cui si parla è, purtroppo, semplice. Il nuovo coronavirus, il Covid-19, è una affezione virale nuova, contro la quale non possiamo opporre anticorpi specifici e neanche vaccini ed antivirali (di cui non disponiamo). L’epidemia è inoltre ormai quasi letteralmente pandemica, cioè diffusa in tutto il mondo. Prendendo atto dell’impossibilità di avere un vaccino entro poche settimane, è chiara conseguenza che la maggioranza della popolazione mondiale potrebbe contrarre il nuovo virus Covid-19.

La necessità, assolutamente prioritaria, è quindi quella di non sovraccaricare il Sistema Sanitario Nazionale – nel caso dell’Italia –  e per questa ragione, su indicazione del comitato scientifico che sta dietro le decisioni politiche, il Governo italiano ha decretato misure drastiche come la sospensione dell’attività didattica presso le scuole e le Università, il rinvio delle udienze in Tribunale e di ogni altra forma o ragione di aggregazione. Perfino i rapporti interpersonali si devono attenere alle indicazioni, evitando i contatti fisici e mantenendo distanze minime di sicurezza. Rallentare la diffusione del virus è l’unica contromisura per tutelare la popolazione, ed è importante che tutti comprendano che le indicazioni devono essere rispettate. L’assenza di casi noti di soggetti affetti da Covid-19 nelle vicinanze non è una ragione valida per disattendere le misure restrittive messe a punto dal Governo italiano. Se ci ammalassimo tutti insieme il sistema sanitario collasserebbe e le conseguenze andrebbero a scapito di tutti, indistintamente.

Il contenimento, o rallentamento, della diffusione mediante tali misure drasticamente restrittive hanno influenzato molto lo stile di vita cui siamo abituati. Si tratta infatti di un radicale cambiamento delle abitudini quotidiane, imposto, che arriva dopo una già diffusa insicurezza percepita dalla popolazione. Una condizione di incertezza che destabilizza, legittimamente, l’intera popolazione. Nessuno escluso. Anche i medici, ed in generale il personale sanitario, la subisce. In un determinato caso, a causare insicurezza in medici e paramedici, quindi incertezza sul loro futuro, possono essere proprio le persone che contravvenendo alle indicazioni fornite dal Governo si recano in ospedale o presso un Pronto Soccorso diffondendo il contagio tra quanti dovrebbero invece occuparsi di curare le persone malate.

“Se noi ci concentriamo sull’ aspetto positivo legato a ciò che possiamo fare – ognuno di noi nel nostro piccolo, come membri di una famiglia, come membri di una comunità, come membri di un gruppo di lavoro, come membri di un’ Istituzione – e sulle risorse che abbiamo a nostra disposizione, forse questo è anche un modo migliore per gestire al meglio ed in modo più funzionale i livelli di ansia, di paura, comprensibili e giustificabili; perché siamo essere umani e tutto ciò che è nuovo e ignoto ci spaventa”. Sono parole di Daniele La Barbera (in foto), professore ordinario di psichiatria e direttore della scuola di psichiatria dell’Università di Palermo, che abbiamo intervistato raccogliendo così il quadro tracciato da un esperto che può ulteriormente chiarire le idee su questo momento storico, unico nel suo genere, che ci sprofonda in un grave stato di insicurezza.

Prima un probabile esagerato allarmismo indotto dai mass media, poi le misure restrittive drastiche adottate dal Governo; cosa si aspetta da una popolazione ormai disabituata al vivere l’incertezza?

Difficile prevedere che cosa potrà accadere dal punto di vista anche non solo legato proprio alla circolazione del virus ma anche alle relative reazioni psicologiche, perché ci troviamo di fronte senza alcun dubbio a una situazione completamente inedita. È una situazione nuova che, diciamo, la popolazione mondiale sta affrontando per la prima volta perché non dimentichiamo che siamo di fronte alla prima pandemia globale del mondo tecnologico e questo chiaramente comporta una serie di cose. Comporta il fatto che le notizie si diffondono all’ istante, a volte anche in maniera esageratamente amplificata e quindi con una serie di accenti catastrofici. Poi succede che magari si cerca di correggere il tiro per cui si danno dei messaggi eccessivamente rassicuranti ed è facile immaginare che, sia l’ informazione esasperata sia quella un po’ più ridotta come intensità emotiva, possono entrambe essere pericolose. Perché da una parte attivano una reazione ansiosa e dall’ altra in qualche maniera invogliano ad abbassare le difese e ad essere meno attenti. Quindi quello che dobbiamo cercare di fare è diffondere un’idea il più possibile vicina alla realtà dei fatti e cioè che siamo di fronte comunque a un’ epidemia importante. E’ un fatto nuovo, è un’ opportunità, per cui cerchiamo di capire bene come stanno le cose, cerchiamo di implementare tutti delle regole.

Ieri ero in un locale, c’ erano 25 persone, tutte e venticinque si sono abbracciate e baciate diverse volte e nessuno ha rispettato la regola che il Governo ha dato qualche giorno fa che bisogna evitare di abbracciarsi, baciarsi, stringersi la mano. Cioè, le persone sembrano un po’ impermeabili a delle regole nuove che devono implementare nella loro vita anche perché il rituale di saluto è qualcosa di profondamente insito nei nostri comportamenti, nei nostri rituali, nei nostri incontri. Mi rendo conto che è difficile da realizzare, però, per esempio, potremmo partire da questo perché avere dei punti di riferimento anche semplici, delle regole semplici, lavarsi più volte le mani, evitare di stringersi le mani, evitare di baciarsi, evitare di abbracciarsi, già significa poter fare affidamento su delle cose concrete e precise ed è un modo per quanto semplice anche di contenere un po’ l’ ansia e l’ emotività, tenendo conto che questo fenomeno è all’ inizio… quindi lo stiamo cogliendo nelle fasi iniziali. Non è che dopodomani l’ epidemia finisce, si sta amplificando.

Che tipo di società è la nostra?

La mia idea, che ho sviluppato da tanti anni – ho scritto anche diverse cose su questo – è che la maniera migliore per definire la società e la cultura in cui viviamo è quella di definirla post-moderna. E questo, secondo il mio modesto modo di vedere, è proprio un tipico fenomeno post-moderno. Questa epidemia da coronavirus si inserisce perfettamente in quelle che sono le caratteristiche della società definita come post-moderna. Cioè una società dominata dai media e dall’informazione, una società in cui i fenomeni sono rapidissimi e velocissimi, e sono mossi spesso da onde emozionali come è successo in questi giorni. Abbiamo visto anche certi titoli di giornale molto discutibili che facevano leva sull’ aspetto emotivo e affettivo.

Un’ altra caratteristica sicuramente post moderna della nostra società è il fatto di non avere più grandi narrazioni che ci aiutano a recuperare una base di condivisione e solidarietà. Tutta la conflittualità che si è sprigionata da qualche settimana a questa parte forse è uno degli aspetti più deleteri e amari di questa situazione dell’epidemia. Cioè tutti litigano con tutti: le Regioni col Governo, il Governo con i Comuni, i partiti tra di loro non ne parliamo, le Nazioni tra di loro, la Francia con l’ Italia, l’ Italia con la Cina, i virologi tra di loro, gli esperti fra di loro, gli epidemiologi con i virologi…

Il cittadino che guarda ha potenzialmente un senso di sconforto, perché mi sembra che non riceve le risposte rassicuranti. Anche perché molto spesso i punti di vista non sono solo discordanti ma sono anche conflittuali e dunque questa è un ‘altra caratteristica della società post moderna, cioè il fatto che, differentemente dalla società moderna fino a 50, 60, 70 anni fa, il cittadino medio non può più fare riferimento in grandi narrazioni ma anche nell’ investimento rassicurante sulla scienza e sulla tecnologia che ci possono dare delle risposte esaustive. Purtroppo la scienza in questo momento alza bandiera bianca e ci dice: non abbiamo niente da fare, da poter opporre a questa situazione tranne il fatto che, se ci va bene, tra 12 o 18 mesi avremo un vaccino. Ma fra 12- 18 mesi noi ci auguriamo che l’ epidemia sia già guarita da sola, sia già passata per dinamiche naturali.

Nell’editoriale pubblicato ieri, dal titolo “La doppia epidemia”, il giudice Domenico Gallo chiude con un quesito: “Una società che precipita un popolo di profughi nell’area dei sommersi, ha le risorse morali per salvarsi dal virus dei pipistrelli?” Secondo lei siamo in grado, come società, di recuperare una coscienza collettiva?

Secondo me si. Secondo me potenzialmente abbiamo le risorse. Potenzialmente. Il che non significa che sia facile tirarle fuori, utilizzarle, metterle a disposizione e metterle in sintonia; ma io credo che noi abbiamo delle grandi potenzialità umane, nella nostra comunità, nella nostra vita collettiva. Dobbiamo trovare gli spunti giusti, dobbiamo trovare l ‘accordo giusto e da questo punto di vista forse il compito che ciascuno di noi ha sia a livello individuale, nel proprio spazio di vita, nel proprio contesto relazionale, nella propria situazione di lavoro, sia a livello istituzionale, qualora abbia anche responsabilità istituzionali, di governo, di amministrazione. Il compito principale che ciascuno di noi ha in questo momento è fare tutto il possibile per trasformare quello che è un rischio – e anche un rischio consistente – e quindi anche la paura e l’ ansia che sono collegate con questo rischio in un’ opportunità. L’opportunità di recuperare le cose importanti, opportunità di recuperare un atteggiamento più equilibrato, più sensato, più ragionevole, più collaborativo mettendo da parte tutti questi isterismi emotivi, tutte queste paranoie, tutte queste aggressività , tutta questa recriminazione.

Il mio punto di vista è che questa epidemia non si poteva arrestare, si poteva limitare e questo stanno cercando di fare i Governi, secondo me nella maniera più sensata e più ragionevole possibile anche se con qualche piccolo scompenso. Ma, di nuovo, ci troviamo di fronte a una situazione nuova, mai vissuta né dai Governi, né dalle Istituzioni, né dalle organizzazioni scientifiche. Io credo che si stia facendo il possibile e su questo bisognerebbe trovare la linea di azione e anche di elaborazione, nel proprio spazio mentale, più adeguata e più corretta per adattarsi a questa situazione nella maniera migliore possibile.

Quindi, dal nuovo coronavirus possiamo ricevere una importante lezione?

Assolutamente si. Ogni crisi apre voragini di senso e apre margini di rischio molto grandi ma apre anche grandi opportunità per fare un passo avanti, e noi su questo ci dobbiamo concentrare. Dobbiamo concentrarci sul polo evolutivo e positivo, perché questo ci può aiutare anche a controllare meglio le dovute ansie, le comprensibili ansie e le ragionevoli paure che ciascuno di noi in questo momento ha.

L’ordine degli psicologi si sta adoperando anche per assistere la gestione psicologica della popolazione. Si fa riferimento, a vari livelli, al “quoziente di resilienza”. Ci può spiegare cosa è e come lo si può eventualmente aumentare?

Le dico innanzitutto che anche l’ Ordine dei medici si sta attrezzando, ma in questo caso proprio in relazione a quello che sono i suoi compiti istituzionali per sostenere i medici; perché i medici oggi mediamente sono turbati anche da livelli di paura e di ansia molto forti e quindi sono professionisti che devono essere in qualche maniera sostenuti e supportati. Quindi, questa è una notizia che do in anteprima perché ho parlato col Presidente dell ‘Ordine dei medici dieci minuti fa e abbiamo concordato delle iniziative per potere andare incontro alle esigenze dei medici, perché sono dei punti nevralgici, degli snodi importanti in questa situazione .

La resilienza è la capacità di resistere alle situazioni difficili e naturalmente ognuno di noi ha un quoziente di resilienza diverso in base a quello che è il suo temperamento ,alla sua personalità, le esperienze di vita, l’estrazione che ha ricevuto. Aumentare la resilienza è trovare delle strategie psicologiche affettive, ma anche eminentemente pratiche e concrete, per aumentare la propria capacità di gestione della percezione del rischio e la migliore possibilità di adattarsi a una situazione difficile come quella che abbiamo di fronte adesso. La resilienza può essere aumentata in tanti modi, cioè fornendo degli strumenti psicologici per percepire in maniera meno grave il rischio a cui tutti siamo esposti. Per esempio in questo momento in Sicilia non c’ è una circolazione virale attiva, ci sono dei casi disseminati qua e là ma ancora in un numero molto, molto limitato, quindi un allarme così elevato in questo momento non sarebbe giustificato.

E’ giustificato il fatto di rispettare le regole, essere prudenti, essere cauti, evitare tutte quelle situazioni che ci hanno detto più volte, quindi aumentare la resilienza significa aumentare la possibilità che le persone rispettino le regole in maniera adeguata perché paradossalmente un eccesso di ansia può avere a volte lo stesso effetto negativo di una scarsa attenzione , di un atteggiamento particolarmente indifferente e menefreghista. Cioè, ci può indurre per paradosso ad essere meno attenti e meno rispettosi delle regole. Quindi aumentare la resilienza significa anche fare sì che le persone facciano quello che devono fare, cioè proteggersi, proteggere i loro cari e riuscire a mantenere il migliore adattamento possibile a una situazione critica e nuova che ci troviamo ad affrontare.

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