Senza tregua la guerra a migranti e ONG

Mentre si prospetta una fragilissima tregua nella guerra civile in Libia, prosegue senza interruzione la guerra sporca contro i migranti e chi cerca di prestare loro assistenza a terra e soccorso in mare. A Tripoli migrante ucciso da guardia costiera libica ed altri feriti secondo un testimone di Alarm Phone

di Fulvio Vassallo Paleologo

Mentre si prospetta una fragilissima tregua nella guerra civile in Libia, prosegue senza interruzione la guerra sporca contro i migranti e chi cerca di prestare loro assistenza a terra e soccorso in mare. Una guerra che continua in tutto il Mediterraneo, con vittime ovunque, in Egeo, davanti le coste turche, davanti alle isole greche dello Ionio e nei porti libici nei quali le persone migranti intercettate in mare dalla sedicente guardia costiera “libica” vengono riportati. Due naufragi nel giro di ventiquattro ore sono frutto di una guerra ai soccorsi in mare che nel Mediterraneo orientale ha visto come protagonista l’agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne Frontex.

A Tripoli dove si è verificato l’ennesimo caso di respingimento su delega italiana ed europea, sembra che un migrante sia stato ucciso da agenti della guardia costiera “libica” e che altri siano stati feriti, dopo che si erano rifiutati di sbarcare a terra, e di fare ritorno in uno dei centri di detenzione nei quali sono documentate torture ed estorsioni senza fine. Per non impedire l’assalto contro i naufraghi “ribelli” le autorità tripoline avevano allontanato persino gli operatori dell’OIM presenti al porto. Le frontiere “esternalizzate” dell’Unione Europea, che adesso arrivano fino al Sahel, in Niger ed in altri stati, stanno continuando a produrre sofferenza e segregazione. Il campo profughi di Agadez è stato recentemente distrutto da un rogo. I tentativi di trasferimento in Niger dei migranti registrati dall’UNHCR in Libia stanno producendo insicurezza, anche per la mancata collaborazione dei paesi occidentali, che non accettano la ridislocazione di qualche migliaio di persone. La compressione della libertà di circolazione nel continente africano sta rinforzando le organizzazioni criminali e i gruppi estremistici.

L’Unione Europea non può limitarsi a riproporre le solite strategie repressive contro l’immigrazione “irregolare” o “illegale” per sostenere di fatto milizie che incassano danaro da Bruxelles e ricevono mezzi, da Roma, per continuare a speculare sulla pelle dei più vulnerabili. Per continuare a torturare ed estorcere. Per continuare ad uccidere. Gli accordi con la Turchia vanno rivisti, assicurando mobilità verso altri stati europei ai numerosi migranti intrappolati nelle isole greche, e garantendo condizioni dignitose di accoglienza a coloro che dopo i più recenti bombardamenti su aree densamente abitate, come Idib, sono in fuga verso il confine turco. I soccorsi nel mare Egeo devono anteporre la salvaguardia della vita umana alle esigenze di polizia di frontiera.

In Italia tutta i canali di comunicazione di orientamento sovranista mistificano i dati, sull’onda della disinformazione diffusa dal capo della Lega, e rilanciano le campagne di odio che già hanno fruttato tanto ad ogni scadenza elettorale. Come se non bastasse, tutti gli strumenti predisposti in capo ai prefetti dai due decreti sicurezza introdotti dal precedente governo “giallo-verde”, continuano a dispiegare i propri effetti perversi, ed il comandante Reisch della ONG Lifeline viene multato di trecento mila euro per avere salvato vite, pochi giorni dopo essere stato assolto per accuse analoghe da un tribunale maltese. Le navi delle ONG rimangono ancora sotto sequestro “amministrativo” perchè i prefetti continuano ad applicare il decreto sicurezza bis senza adottare in autotutela revoche delle misure di sequestro amministrativo, prolungando il fermo di navi che potrebbero soccorrere centinaia di vite, mentre proseguono i processi penali ed amministrativi.

Le prime pronunce dei tribunali amministrativi sembrano ripristinare lo stato di diritto ed una interpretazione della normativa vigente orientata in senso conforme alla Costituzione. Ma i processi penali continuano. Chi salva vite viene sanzionato, chi pratica una strategia coordinata di omissione di soccorso rimane al sicuro senza che le indagini lo sfiorino. Persino il senatore Salvini, a processo sul caso Gregoretti per sequestro aggravato di persona, continua a godere di immunità parlamentare e di largo consenso. Ed il timore delle prossime scadenze elettorali induce il parlamento a rinviare il suo voto sulla richiesta di autorizzazione a procedere. Anche questa è una guerra, seppure combattuta non con le armi ma con prassi che crimnalizzano le ONG, ritardano i soccorsi dei mezzi dello stato, e condannano i naufraghi all’abbandono in mare. Una “guerra” combattuta ancora oggi, come nei mesi nei quali il ministro dell’interno vietava l’ingresso nei porti italiani, con provvedimenti di dubbia legittimità che imponevano la riconsegna delle persone soccorse in acque internazionali alla sedicente guardia costiera “libica”. Che l’ex ministro Salvini ringraziava pubblicamente per l’impegno profuso. Ma apprezzamenti verso la Guardia costiera “libica” non sono mancati neppure da parte dell’attuale ministro dell’interno Lamorgese.

Il consenso elettorale sembra premiare chi sparge odio e falsità, come gli eterni replicanti del teorema delle “consegne concordate”, come se i soccorsi in acque internazionali fossero frutto di accordi tra i trafficanti e le ONG. Mentre si continua ad assistere ed a coordinare quella guardia costiera libica che, oltre ad essere, almeno in parte, collusa con i trafficanti, ricorre ancora a metodi brutali per costringere i naufraghi a fare ritorno nei centri di detenzione in Libia. A Tripoli si muore dopo essere stati intercettati in acque internazionali e riportati a terra. Quali che siano gli sviluppi immediati della guerra civile in Libia occorre una tregua nella guerra contro i migranti e le ONG, una guerra condotta con “armi non convenzionali”, che si è estesa in tutto il Mediterraneo, con un numero crescente di vittime. Intercettazioni in mare e detenzioni arbitrarie sono diventate il presupposto per violenze e torture a scopo di estorsione. Per i più sfortunati c’è la morte per abbandono in mare. Ma si può morire anche a terra. Molte vittime di abusi scompaiono senza nome nei centri di detenzione. Da ultimo alcuni richiedenti asilo eritrei sono stati uccisi a Tripoli, nel corso dei combattimenti.

Vanno ripristinate le missioni di soccorso delle ONG, con la liberazione di tutte le navi ancora sotto sequestro e l’abrogazione dei decreti sicurezza imposti dal precedente governo. Le ONG devono riappropriarsi delle navi sequestrate per continuare a salvare vite umane, come ha fatto la Sea Watch appena ieri, dopo il dissequestro. I ministri dell’interno non devono procrastinare indebitamente la indicazione di un porto sicuro di sbarco, come sta avvenendo ancora in queste ore. Gli stati devono rimodulare le loro missioni militari in mare in modo da mettere al primo posto il rispetto degli obblighi di ricerca e soccorso, questo vale soprattutto per EUNAVFOR MED, per la missione Mare Sicuro e per la missione italiana NAURAS ancora presente nel porto di Tripoli.

Se in Libia si realizzerà una qualsiasi tregua, vanno aperti immediatamente canali di evacuazione per tutti i migranti detenuti nei centri, per i più vulnerabili e per quelli registrati dall’UNHCR. Per tutti gli altri va prevista la possibilità di ottenere visti umanitari nel quadro di un piano di visti di ingresso garantito da diversi paesi che si dichiarino disponibili, all’interno di una strategia comune di relocation adottata tra Nazioni Unite e stati dell’Unione Europea. La Libia non garantisce da tempo porti sicuri di sbarco. Lo rilevano tutte le principali agenzie delle Nazioni Unite. Se i naufraghi soccorsi in acque internazionali da mezzi appartenenti ad altri stati non devono essere riportati in Libia, non si comprende perchè e su quali basi legali si possa collaborare con la guardia costiera “libica” per intercettare i barconi in alto mare e riportare tutti i naufraghi, donne e minori compresi, a terra, verso i centri di detenzione, verso la guerra civile. E non è assolutamente accettabile che persone soccorse in alto mare da mezzi commerciali siano “restituiti” alle autorità libiche. (Tweet ore 17 dell’11 gennaio 2020)

Occorre abolire da subito la finzione di una zona SAR ( ricerca e salvataggio) libica, come si dovrà riaffrontare la questione del ruolo di Frontex alla frontiera marittima greco-turca, con il ripristino di quei doveri di soccorso stabiliti dalle convenzioni internazionali e dai Regolamenti europei n. 656 del 2014 e n. 1624 del 2016. Non si può assistere ancora a stragi che derivano da una omissione “concertata” di soccorso. Malta deve essere obbligata a garantire i soccorsi nella propria zona Sar, o dovrà accettare che questa venga ridimensionata. Vanno bloccati gli accordi di respingimento stipulati da Malta con il governo di Tripoli. Occorre procedere alla evacuazione immediata dalla Libia di tutti i migranti che sono trattenuti nei centri di detenzione o che in quel paese sono esposti a violenze e ad estorsioni.

Occorre ripristinare la protezione umanitaria, con la abrogazione delle norme del decreto sicurezza (legge n.132/2018) che la abrogava, e prevedere una procedura accelerata e semplificata per tutti i cittadini libici che fuggono dalla guerra civile. La tregua nella guerra contro i migranti e chi li assiste è una parte importante della tregua militare che dovrà sospendere le ostilità in territorio libico in attesa di una pace duratura da raggiungere al tavolo dei negoziati. Una soluzione duratura della crisi libica non potrà basarsi soltanto su interessi economici, ma dovrà tenere conto delle legittime aspettative di pace e di democrazia della popolazione libica, e del rispetto dei diritti fondamentali dei migranti. Qualunque soluzione che si basi su regimi militari, su blocchi navali e sulla subordinazione dei diritti umani alle esigenze dello sfruttamento economico, non potrà che alimentare ogni sorta di traffici e focolai di guerra che nessuno sarà in grado di spegnere.

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