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Sea Watch, querela in vista per Salvini. Indicato porto di Tripoli ma non è un POS

di Mauro Seminara

Pare che il ministro dell’Interno, dopo un anno a qualche giorno di governo, non abbia trovato tempo per far altro che campagna elettorale. Nessun miglioramento istituzionale, forse per mancanza di tempo da dedicare allo studio. Così, dirette Facebook dopo dirette Facebook, palchi da campagna elettorale dopo palchi da campagna elettorale, Matteo Salvini non si smentisce né delude i chi sostiene essere uno dei ministri più incapaci della storia della Repubblica, oltre che uno dei più inadeguati e pericolosi. L’ultima gaffe di Matteo Salvini, il ministro che blatera di immigrazione europea ma non partecipa alla riunione dei ministri degli Interni dell’Ue, che chiacchiera di riduzione delle tasse e flat tax ma lascia il tavolo del Governo per andare a parlare di gabbiani su Facebook, l’ha fatta nei confronti della Ong tedesca Sea Watch commettendo lo stesso errore che in precedenza gli aveva procurato una querela per diffamazione aggravata nei confronti della Ong italiana Mediterranea Saving Humans. Adesso, infatti, ad annunciare querela sono i legali della tedesca Sea Watch, definita dal ministro degli Affari Interni della Repubblica Italiana “una nave pirata a cui qualcuno consente di violare ripetutamente la legge”.

Conoscere la legge per farla rispettare

“La nave illegale #SeaWatch3, dopo aver imbarcato 52 immigrati in acque libiche, si trova ora a 38 miglia dalle coste libiche, a 125 miglia da Lampedusa, a 78 miglia dalla Tunisia e a 170 miglia da Malta.”, ha twittato oggi il ministro ribadendo il giudizio di illegalità della Sea Watch 3 che è stata più volte sequestrata a fini probatori ma sulla quale nessuna Procura ha potuto richiede un sequestro preventivo finalizzato alla confisca. Gli estremi per la diffamazione, come asserito dagli avvocati Alessandro Gamberini e Leonardo Marino e lanciato dall’agenzia di stampa La Presse, pare che ci siano a norma di legge. “Utilizzare l’importante ruolo istituzionale di capo del Viminale – spiegano gli avvocati Gamberini e Marino all’agenzia La Presse – in assenza di elementi oggettivi a supporto delle proprie asserzioni, costituisce violazione delle proprie competenze e lascia, peraltro, perplessi sull’attenzione e le energie che il Ministro ripone sull’attività svolta dalla ONG che oggi ha soccorso solamente 53 naufraghi quando, ricordiamo, ogni giorno arrivano decine e decine di persone a bordo di barche fantasma nonché, come nelle ultime settimane, di navi militari e mercantili.” Gli avvocati ribadiscono inoltre la posizione della Ong Sea Watch e l’operato della Sea Watch 3 già più volte vagliato dalle diverse Procure siciliane: “Inoltre, l’esito delle indagini rivolte sull’operato delle Ong smentisce categoricamente il Ministro dell’Interno. Pertanto, in qualità di difensori della Ong Sea Watch, i sottoscritti annunciano una querela per diffamazione a mezzo stampa nei confronti del Ministro dell’Interno Matteo Salvini”

Tutti i guai del ministro Salvini

Il ministro dell’Interno italiano sembra quindi la persona in assoluto più distante dal profilo che il responsabile della sicurezza interna del Paese dovrebbe avere, essendo egli stesso costantemente al limite di quanto le leggi italiane prescrivono. Al di la del vulnus normativo che consente al ministro di violare il silenzio pre-elettorale non espressamente definito con un “a mezzo social network”, Matteo Salvini è già stato salvato, complici i pentastellati alleati di Governo, da un processo per sequestro di persona aggravato. Analoga richiesta a procedere potrebbe partire dallo stesso Tribunale dei ministri di Catania per il titolare del Viminale, questa volta però da processare insieme al presidente del Consiglio, al ministro dei Trasporti e al capo politico del M5S nonché vicepremier. Tutti rei partecipi del sequestro di persona aggravato consumato con il caso Diciotti e poi reiterato con il caso Sea Watch 3. La stessa nave che oggi viene definità “illegale” e “pirata” dal ministro dell’Interno già responsabile di analoga diffamazione ai danni della Ong Mediterranea Saving Humans per la nave Mare Jonio. A questi incidenti di percorso si aggiungono anche le indagini della Procura della Corte dei Conti per l’ipotesi di sprechi da campagna elettorale del segretario federale della Lega camuffati da viaggi istituzionali del ministro e le indagini che pare abbiano preso vita a seguito dell’inchiesta condotta dal programma Report di Rai 3 sul giro di fondi della Lega, o delle varie “Lega” di cui Salvini è segretario. Una serie notevole di errori e guai che riguardano il ministro dell’Interno Matteo Salvini in modo diretto, cui si uniscono i problemi indiretti degli amici di partito: i vari Siri, Rixi, Arata. Dulcis in fundo, da mai dimenticare, ci sono anche i famosi 49 milioni di euro per i quali il ministro dell’Interno ad interim minaccia sempre querela appena vengono nominati affianco di termini quali “rubati”, “scomparsi” e simili.

Il “porto sicuro” di Tripoli

La Sea Watch 3 ha soccorso ieri 53 persone – a trasbordo appena compiuto erroneamente contate 52 – a 47 miglia nord di Zawiya, in acque internazionali. Tra i profughi, fuggiti dai maltrattamenti e dagli scontri della Libia, ci sono nove donne e quattro minori di cui due non accompagnati. La maggioranza delle persone soccorse viene dalla Costa d’Avorio e dal Camerun, ma a bordo della Sea Watch 3 ci sono anche altre undici nazionalità. La situazione, con donne, minori e minori non accompagnati, rende già di per se automatico l’obbligo di sicura accoglienza in un Place of Safety in cui i minori non accompagnati possono essere affidati a strutture adeguate e tutti possono presentare richiesta di asilo o protezione internazionale. Che questa possa anche venire rigettata a molti o a tutti i 53 profughi, non esclude che è loro diritto sancito da convenzioni internazionali poterne fare richiesta in un Paese che ha sottoscritto la Convenzione di Ginevra. Alla Sea Watch 3, da ieri nel Mediterraneo centrale in attesa di disposizioni circa il “porto sicuro” di sbarco, l’autorità libica, che pretendeva di aver assunto il coordinamento del soccorso, ha indicato il porto di Tripoli. Ovviamente, non essendo dei criminali quelli della Ong tedesca Sea Watch, hanno rifiutato di condurre le persone salvate di nuovo nelle mani dei loro carnefici.

Qualcuno finirà sul banco degli imputati

La nave Sea Watch 3 aveva ricevuto, ieri, la visita di una motovedetta libica. Una di quelle che si spaccia agli italiani ed al mondo intero per “guardia costiera”. Dopo aver richiesto indicazione di Place of Safety a Olanda (Paese di bandiera), Italia (POS più vicino), Malta (Paese dell’area SAR più vicina a quella libica) e Libia (autorità che ha assunto il coordinamento del soccorso), la Sea Watch 3 ha così definito l’avvicinamento di un pattugliatore libico: “Una motovedetta libica, con mitragliatrice a prua, è sopraggiunta a trasbordo ormai concluso e ha stabilito contatto radio senza fornire indicazioni. Ha poi lasciato l’area.” Questa, così descritta dall’equipaggio della nave Ong, dovrebbe essere secondo il ministro dell’Interno italiano, il Governo italiano e l’Unione europea a cui fanno capo i velivoli che partecipano alla missione Sophia, una “guardia costiera” e non una milizia indipendente a cui l’Italia ha donato motovedette con cui in passato hanno aperto il fuoco anche sulle motovedette della Guardia Costiera – quella vera – italiana. La Sea Watch 3 naviga adesso verso nord, allontanandosi dall’area SAR libica dopo aver atteso per 24 ore le indicazioni su un porto sicuro ed aver ricevuto soltanto l’indicazione del porto non sicuro di Tripoli. A questo punto, qualunque azione legale contro la Sea Watch 3 vedrebbe l’implicita complicità degli Stati coinvolti – a cui era stato chiesto il Place of Safety – nel tentativo di respingere in zona di conflitto e porto non sicuro dei profughi potenzialmente richiedenti asilo. Qualcuno finirà sul banco degli imputati, sia esso di un Tribunale italiano o del Tribunale internazionale dell’Aja, e pare che non saranno i soccorritori della Sea Watch 3.

Mauro Seminara: Giornalista palermitano, classe '74, cresce professionalmente come fotoreporter e videoreporter maturando sulla cronaca dalla prima linea. Dopo anni di esperienza sul campo passa alla scrittura sentendo l'esigenza di raccontare i fatti in prima persona e senza condizionamenti. Ha collaborato con Il Giornale di Sicilia ed altre testate nazionali per la carta stampata. Negli anni ha lavorato con le agenzie di stampa internazionali Thomson Reuters, Agence France-Press, Associated Press, Ansa; per i telegiornali nazionali Rai, Mediaset, La7, Sky e per vari telegiornali nazionali esteri. Si trasferisce nel 2006 a Lampedusa per seguire il crescente fenomeno migratorio che interessava l'isola pelagica e vi rimane fino al 2020. Per anni documenta la migrazione nel Mediterraneo centrale dal mare, dal cielo e da terra come freelance per le maggiori testate ed agenzie nazionali ed internazionali. Nel 2014 gli viene conferito un riconoscimento per meriti professionali al "Premio di giornalismo Mario Francese". Autore e regista del documentario "2011 - Lampedusa nell'anno della primavera araba", direttore della fotografia del documentario "Fino all'ultima spiaggia" e regista del documentario "Uomo". Ideatore e fondatore di Mediterraneo Cronaca, realizza la testata nel 2017 coinvolgendo nel tempo un gruppo di autori di elevata caratura professionale per offrire ai lettori notizie ed analisi di pregio ed indipendenti. Crede nel diritto all'informazione e nel dovere di offrire una informazione neutrale, obiettiva, senza padroni.
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