In Libia non si sbarcano migranti, “game over”

di Vittorio Alessandro

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Il ministro Salvini aveva esultato, nel ritrovarsi fra le mani la missiva della signora Paraskevi Michou, direttrice del Dipartimento Migrazioni e Affari Interni della Commissione Europea, al Direttore esecutivo di Frontex.

La lettera, capolavoro di ipocrisia partorito nel momento in cui l’operazione marittima Sophia nel Canale di Sicilia veniva privata delle navi (e dunque, di fatto, affossata) diceva, in sostanza: caro Frontex, tu non hai più navi, ma qualche tuo aereo nel sorvolare il Canale vedrà molti disperati. Non azzardarti a comunicarlo a noi, ché non ci entriamo; veditela con Italia, Tunisia e Malta, ma sappi che la Libia ha una zona SAR e che negli ultimi tempi, sostenuta dagli italiani, ha lavorato molto bene nelle attività di recupero.

Salvini è andato in brodo di giuggiole: cosa gli importa che l’area SAR libica è l’unica al mondo istituita per riacchiappare persone che scappano? e che non basta dichiarare un’area SAR per dire che funzioni e, soprattutto, che disponga di porti sicuri?

Non gli importa, e allora ha ordinato di dare una rinfrescata in nero alla propria Direttiva di qualche giorno fa: quella che, in otto stanche pagine infrange il diritto internazionale umanitario e marittimo (con rango costituzionale) arrivando ad affermare che le convenzioni internazionali costituiscono eccezione al diritto interno degli Stati e che il passaggio nel mare territoriale non è affatto libero come si riteneva.

La sua festa, però, è subito finita. L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, incautamente chiamata in causa dalla signora Michou come garante della regolarità della situazione in Libia ha subito precisato: “La nostra presenza non rappresenta una garanzia dei diritti umani. Noi siamo presenti ai punti di sbarco, ma la catena di protezione si spezza nel momento in cui i migranti sono trasferiti nei centri di detenzione ufficiali, dove al momento si trovano 6900 persone: vere e proprie prigioni che inghiottono anche i bambini, dove la detenzione è arbitraria e le condizioni sono assolutamente inaccettabili, come ampiamente documentato, e dove il nostro personale riesce a entrare occasionalmente. Senza considerare la miriade di centri gestiti da milizie in cui i migranti sono torturati in modo inenarrabile”.

E la portavoce della Commissione Natasha Bertaud è ancora più netta: “La Libia non può essere considerata un ‘porto sicuro’, che è un posto in cui le operazioni di soccorso sono considerate terminate e dove la vita di una persona salvata in mare non è più minacciata. La Commissione non ritiene che queste condizioni siano soddisfatte in Libia. Ecco perché nessuna imbarcazione che batte bandiera U.E. vi sbarca persone, né lo ha mai fatto”.

Rimandare persone in Libia è, dunque, una violazione della convenzione di Ginevra: Salvini consideri che nessuna nave potrà riportare in Libia i superstiti di un soccorso senza incorrere in una grave infrazione delle norme internazionali, e che la nostra Guardia Costiera sarebbe tenuta a intervenire quando ricorrono situazioni di pericolo in acque libiche.

La sua circolare, in versione originale o 2.0, potrà inutilmente essere affissa in ufficio insieme alle notifiche di procedimento giudiziario.

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Ammiraglio in congedo, è stato a lungo responsabile della comunicazione della Guardia costiera e del reparto ambientale delle Capitanerie. Ha curato l’informazione istituzionale in occasione delle migrazioni via mare nel 2011 e del sinistro della Costa Concordia nel 2012; ha guidato la missione ambientale italiana Bahar in Libano nel 2006. Dal 2012 al 2017 ha presieduto il Parco Nazionale e l’Area marina protetta delle Cinque Terre. Nel 2014 ha pubblicato “Puntonave” (Mursia editore) e dal 2012 cura l’omonima pagina su Facebook.

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