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Meno parlamentari e meno scorte, il piano del Governo per distruggere l’Italia

di Mauro Seminara

Ci sono molti modi per tagliare i costi della politica e risparmiare sulle spese dello Stato. Quelli che il Governo Salvini-Di Maio pare intenda mettere in atto sono diretti a ridurre il numero dei rappresentanti del popolo italiano in Parlamento e togliere le scorte a chi è stato minacciato di morte dalla mafia. Non si è raggiunto il primo anno di “Governo Conte” e già la situazione vede un ministro – e vicepremier – per il quale la Giunta per le immunità parlamentari deve decidere se autorizzare l’aula del Senato a votare si o no al processo per sequestro di persona, due ministri – lo stesso del sequestro ed un collega – indagati e poi archiviati per le ipotesi di diritti violati con un trionfale video di un uomo in manette esposto come un trofeo, un disegno di legge costituzionale che limiterà la pluralità in Parlamento in modo piuttosto sensibile sotto la bandiera del “tagliamo i costi della politica” e una decisione tutta intraministeriale di eliminare qualche inutile scorta offrendo soggetti patrimonio del Paese a facile vendetta della criminalità organizzata.

Il testo su cui oggi voteranno i senatori, dopo un estenuante e dibattuto esame a giornata unica di ieri, prevede che i deputati passino dagli attuali 630 a 400. La Camera avrà quindi 392 deputati eleggibili nelle circoscrizioni italiane e soltanto 8 invece degli attuali 12 per l’Estero. Stessa proporzione di taglio al Senato, dove i senatori verranno ridotti a 200 dagli attuali 315 e gli eletti all’estero scenderanno a 4 dagli attuali 6. Perfino i senatori a vita vedranno un giro di vite. Per evitare che il presidente della Repubblica “esageri”, è stata proposta nel disegno di legge costituzionale anche la modifica dell’articolo 59. Il numero dei senatori a vita non è più quello che il presidente ha facoltà di nominare ma è un massimo di cinque. Come dire che fino a quando non saranno morti il presidente della Repubblica non avrà facoltà di nomina. Invariata invece la prima parte dell’articolo 59, quindi gli ex presidenti della Repubblica, salvo rinunzia, continueranno ad essere senatori a vita dopo il mandato presidenziale.

Il disegno di legge costituzionale ha in se un aspetto positivo che riguarda, come esposto dal relatore Roberto Calderoli (Lega), la circoscrizione della modifica costituzionale. Nessun pastone alla Renzi, per intenderci. Solo tre articoli per parte di essi. In caso di inadeguata maggioranza, il quesito referendario sarà effettivamente chiaro. Se la maggioranza dovesse risultare quella prevista per una riforma costituzionale, l’entrata in vigore sarebbe automatica al primo scioglimento delle camere. Tra le riduzioni però ce ne sono alcune che hanno già fatto discutere costituzionalisti in passato. Una di queste riguarda la proporzionalità con la popolazione, in virtù della quale una regione come il Molise, a bassa densità di popolazione ma egregiamente estesa, vedrà ridurre ulteriormente la rappresentanza senatoriale che scenderà ad una sola unità. Una anche per la Valle d’Aosta. Otto i deputati eletti all’estero per la Camera e quattro quelli per il Senato.

Tagli drastici che, nel Paese della corruzione da esportazione, rappresentano una sensibile manovrabilità da parte dei capi politici in un sistema partitico sempre più patronale e meno democratico. Un modello di Senato ridotto lo si potrà ammirare quando e se l’aula verrà chiamata ad esprimersi sulla richiesta di autorizzazione a procedere del Tribunale dei ministri a carico del vicepremier Salvini, nel caso in cui la Giunta per le immunità dovesse oggi raggiungere una maggioranza favorevole. Esito che dipende ormai, a conta dei voti, solo dalla decisione del Movimento 5 Stelle che dovrà decidere se votare in linea con il proprio credo oppure in linea con gli accordi di Governo. Un numero drasticamente ridotto di parlamentari rappresenta una ridottissima variabile sull’esito di votazioni di ogni sorta. Non ci saranno quindi grandi probabilità che parlamentari possano votare in coscienza e in contrapposizione con le decisioni prese dai vertici di partito.

“L’Italia potrà allinearsi agli altri Paesi europei, che hanno un numero di parlamentari eletti molto più limitato”, relaziona Calderoli. Ma l’ordinamento costituzionale degli altri Paesi europei non prevede la struttura parlamentare dettata dalla Costituzione italiana, quindi neanche il numero di Commissioni parlamentari d’inchiesta permanenti che ha l’Italia. Il disegno di legge costituzionale non accenna minimamente, né nelle modifiche ai tre articoli né nella relazione, alle composizioni delle Commissioni. Si può però immaginare che i rappresentanti eletti non avranno neanche più il tempo di rappresentare se stessi, dovendo partecipare ai lavori d’aula ed a quelli delle commissioni, ricoprendo anche magari più ruoli in più commissioni. Una formula ideale per dei parlamentari schiacciabottoni che votano senza avere la minima idea di cosa stanno votando; a comando.

Mentre si lavora alacremente per tagliare i costi della politica, con meno parlamentari ma egual numero di palazzi, uffici e funzionari, il Ministero degli Interni tenta di mettere in atto il piano per la riduzione della protezione ai soggetti ad alto rischio. Questi, in un Paese in cui lo Stato fa trattative con la mafia invece di combatterla e prende di mira i migranti invece dei mafiosi, sono ben 585. Di questi, soggetti che hanno visto troppo o che hanno denunciato richieste di pizzo o che sono importantissimi testimoni di giustizia in processi contro la mafia, 21 sono giornalisti minacciati di morte dalla criminalità organizzata. Un caso, in questi giorni, ha fatto tiepido scalpore: l’intenzione di lasciare Sandro Ruotolo senza scorta dal 15 febbraio. La sentenza di morte per Ruotolo l’aveva pronunciata il capo del clan camorristico dei Casalesi per il suo lavoro “antimafia”. Cioè, semplicemente perché è notoriamente un buon giornalista e fa il suo lavoro. Ma tra gli “scoperti”, oltre a Ruotolo, per il quale la revoca della protezione è stata sospesa per una revisione, ci sono altri nomi eccellenti. Nomi che la mafia non dimenticherà mai e, come disse un tempo Tommaso Buscetta, per i quali le sentenze di morte non andranno mai in prescrizione. Un esempio è il capitano “Ultimo”, il carabiniere che effettuò l’arresto di Totò Riina. Ma non c’è solo la mafia a bramare vendetta, e una recente dichiarazione di “uomo dello Stato” condannato in primo grado al cosiddetto Processo Trattativa fa pensare che tra i “nemici” che il colpevole attende di veder morire possa esserci anche chi ha dato vita al procedimento in questione. L’ex sostituto procuratore della Repubblica Antonio Ingroia è stato lasciato anch’esso “scoperto”.

Se queste persone dovessero perdere la protezione, oltre a rischiare l’esecuzione delle sentenze di morte pronunciate dalla mafia, causerebbero un danno irreparabile al Paese. Il messaggio che passerebbe sarebbe infatti devastante. I giornalisti, i carabinieri, i testimoni di Giustizia e perfino i magistrati verrebbero dissuasi dal fare scrupolosamente il proprio dovere da un deterrente in quel caso ineludibile: lo Stato non ti protegge e te la vedi tu con la mafia. Sembra infatti un favore alla mafia, che per intimidire le proprie vittime non avrebbe più alcuna difficoltà. Mafia minaccia e Stato non protegge è un’equazione per cui non sarebbero più sufficienti i professionisti che lavorano in coscienza ma ci sarebbe bisogno di eroi temerari per leggere notizie valide o incriminare pericolosi mafiosi. Come un favore alle mafie sembra quell’idea del Governo in carica di vendere i beni confiscati alla criminalità organizzata invece di gestirli in affidamento a verificate limpide associazioni; consentendo quindi ai boss di ricomprare ad aste semi deserte i propri possedimenti.

Mauro Seminara: Giornalista palermitano, classe '74, cresce professionalmente come fotoreporter e videoreporter maturando sulla cronaca dalla prima linea. Dopo anni di esperienza sul campo passa alla scrittura sentendo l'esigenza di raccontare i fatti in prima persona e senza condizionamenti. Ha collaborato con Il Giornale di Sicilia ed altre testate nazionali per la carta stampata. Negli anni ha lavorato con le agenzie di stampa internazionali Thomson Reuters, Agence France-Press, Associated Press, Ansa; per i telegiornali nazionali Rai, Mediaset, La7, Sky e per vari telegiornali nazionali esteri. Si trasferisce nel 2006 a Lampedusa per seguire il crescente fenomeno migratorio che interessava l'isola pelagica e vi rimane fino al 2020. Per anni documenta la migrazione nel Mediterraneo centrale dal mare, dal cielo e da terra come freelance per le maggiori testate ed agenzie nazionali ed internazionali. Nel 2014 gli viene conferito un riconoscimento per meriti professionali al "Premio di giornalismo Mario Francese". Autore e regista del documentario "2011 - Lampedusa nell'anno della primavera araba", direttore della fotografia del documentario "Fino all'ultima spiaggia" e regista del documentario "Uomo". Ideatore e fondatore di Mediterraneo Cronaca, realizza la testata nel 2017 coinvolgendo nel tempo un gruppo di autori di elevata caratura professionale per offrire ai lettori notizie ed analisi di pregio ed indipendenti. Crede nel diritto all'informazione e nel dovere di offrire una informazione neutrale, obiettiva, senza padroni.
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