Migrazioni, ritorno a Lampedusa

di Mauro Seminara

di Mauro Seminara

Nel 2013 un barcone si capovolge a poche centinaia di metri da Lampedusa. Porta con sé due terzi dei migranti che aveva a bordo e molti dubbi su cosa realmente sia accaduto quella notte. Saranno 366 le vittime di quella tragedia, tutte ben allineate nell’hangar blu per elicotteri che si trova nel perimetro aeroportuale civile di Lampedusa. Prima 366 corpi, poi, dopo le ispezioni cadaveriche e l’arrivo sull’isola delle bare, 366 casse in legno che l’intero Mediterraneo ha visto e ricorda. A loro si aggiunsero altri due corpi per raggiungere la cifra record mai recuperata in altri naufragi: 368 vittime da seppellire. Quell’evento diede vita alla pretenziosa missione Mare Nostrum. In men che non si dica, il Governo e lo Stato maggiore della Difesa trovarono la quadra per un progetto che a creder che non fosse già pronto nel cassetto ci vuol fede più che fiducia. Giusto un paio di giorni prima che fosse ufficialmente lanciata da Lampedusa la missione di soccorso umanitario Mare Nostrum però, non sotto costa ma al largo, tra Lampedusa e Malta, la stessa Marina Militare che si apprestava ad andare in missione di salvataggio migranti, stando alle inchieste ed al processo, diede ordine ad una propria nave di allontanarsi da un barcone per non essere chiamata ad obbligato soccorso. Il fine, sempre stando alle fonti di cui sopra, era quello di costringere Malta ad intervenire. Il risultato invece fu un secondo naufragio che portò il bilancio delle vittime a circa 500. Cinquecento migranti morti in una settimana.

Mare Nostrum, che avrebbe salpato con la propria missione due giorni dopo, non salvò i migranti dell’11 ottobre e non serviva a salvare i migranti del 3 ottobre dello stesso anno. Questi ultimi, quelli del “celebrato” giorno della memoria, a Lampedusa c’erano arrivati e li attendevano – e qui l’alone di dubbio – qualcosa o qualcuno che li vedesse obbligatoriamente prima dell’alba a cui non arrivarono vivi. Mare Nostrum si spinse fino al confine con le acque territoriali libiche per soccorrere i migranti che i trafficanti libici mettevano a bordo di sempre più precari natanti. Oggi, con le più recenti definizioni ad effetto, le navi della Marina Militare verrebbero chiamate “taxi del mare” ed i loro comandanti “vice scafisti”. Queste definizioni vennero invece attribuite alle navi delle Organizzazioni non governative che colmarono il vuoto lasciato da Mare Nostrum quando, abbandonata la missione un anno dopo, lasciò il “sistema” del flusso migratorio libico scoperto ed esposto ad enormi rischi per la vita dei migranti. L’Italia sperava, con la missione della Marina Militare che nasceva già male grazie ad un nome quantomeno ambiguo, di continuare a presidiare il Mediterraneo centrale, con le proprie navi, a spese dell’Unione europea. Questa, l’Ue, da sempre sensibile alle sorti dei poveri migranti, rifiutò di finanziare il “Mare Nostrum” italiano al largo della Libia. Anzi, invitò l’Italia ad arretrare rispetto alla posizione, troppo comoda per i trafficanti, che le navi della Marina Militare tenevano poco oltre le acque territoriali libiche. L’Unione europea temeva un “pull factor” causato dalla missione umanitaria italiana. Il pull factor effettivamente si innescò e, a parte le diverse letture sull’incremento dei flussi dall’anno di Mare Nostrum in poi, per i trafficanti arrivò un aumento esponenziale degli utili.

Le navi pronte a prendere a bordo i migranti appena salpati, a vista di trafficante armato di Kalashnikov sulla riva nordafricana, fecero rapidamente calare lo standard di sicurezza – se così si può definire – improntato in Libia per i “viaggi della speranza”. Una rapida mutazione che vide sparire i barconi, allungare i gommoni, aumentare i passeggeri fino a 150 su gommoni monotubolari, ridurre le scorte di carburante fino all’indispensabile per percorrere venti miglia nautiche, eliminare le scorte d’acqua come i giubbotti di salvataggio e i telefoni satellitari. A venti miglia dalla costa c’è ancora copertura rete per i normalissimi telefoni cellulari. Anche la qualità dei tubolari con cui i trafficanti assemblavano i gommoni calò rapidamente a causa dei tempi di essiccazione minimi non più rispettati. Velocizzazione di produzione che vide parecchi gommoni afflosciarsi dopo pochissime ore di navigazione a causa del caldo che, sotto il peso sproporzionata con cui venivano caricati, faceva cedere la colla non ancora del tutto indurita. L’anno in cui operò la missione Mare Nostrum non fu scevra di migranti naufragati. Anzi, in proporzione all’impegno ed al dispendio di risorse, le vittime nel 2014 furono davvero tante. Come un’enormità appare il numero delle vittime calcolate in un mese da Medici Senza Frontiere a fronte della drastica riduzione delle partenze. Circa 600 persone morte in quel cambio di approccio ai flussi che ha visto sparire le navi delle Ong, tra la Aquarius costretta allo scalo tecnico in Francia e la Sea Watch 3 bloccata a Malta, ed affidare l’intera operazione ai guardacoste libici.

Giovedì notte, un barcone gremito di migranti subsahariani è salpato dalla Libia alla volta dell’Italia. Gli italiani lo hanno appreso dal tweet del ministro degli Interni. Non da un ufficio relazioni esterne della Guardia Costiera o della Marina Militare che lo ha comunicato alla stampa perché divenisse di pubblico dominio. Un tweet ha annunciato agli italiani che circa 450 migranti erano stipati su un vecchio peschereccio, ma senza porre al centro del messaggio il quasi mezzo migliaio di vite umane. L’attenzione veniva posta sul divieto di approdo in porti italiani. L’unico problema è che 450 persone su un peschereccio di venti metri non sono 600 persone su una nave di quasi 80 metri con medici a bordo come la Aquarius. Come si può giocare al braccio di ferro politico ed alla propaganda mentre un “crack”, da un istante all’altro, può far aprire in due la barca che affonderebbe con il suo carico di mezzo migliaio di vite umane è un mistero dell’animo umano. Ma la linea politica non può impedire l’intervento, obbligatorio e d’ufficio, delle autorità responsabili di quelle vite umane. In mare non arriva il veto di un ministro; in mare il comandante di una qualunque imbarcazione o guardacoste ha il dovere di dichiarare l’evento SAR che gli impone il conseguente intervento. Di fatto, dopo un lungo monitoraggio del barcone ad opera di unità navali della Guardia Costiera e della Guardia di Finanza fino a nord di Lampedusa, quando la carretta del mare era ormai inevitabilmente in area SAR italiana e diretta in acque territoriali italiane, sono intervenute due navi per trasbordare in sicurezza e con il supporto della Guardia Costiera i migranti. Una nave della Guardia di Finanza di grossa stazza ed una in missione Frontex hanno preso a bordo i migranti, fatta eccezione per otto dei circa 450 che avevano immediato bisogno di cure mediche e che per questo sono stati trasferiti all’alba di questa mattina – durante il trasbordo sulle due navi – al poliambulatorio di Lampedusa per una successiva ed immediata ospedalizzazione mediante l’elicottero del 118 di stanza sull’isola.

I porti individuati dalle autorità per l’eventuale sbarco dei migranti sono quelli siciliani di Augusta e Pozzallo, rispettivamente per la nave di Frontex e per quella della Guardia di Finanza. Ma si tratta di una eventualità, funzionale all’esito del braccio di ferro che adesso il Governo italiano intende ripetere in sede europea, anche se le navi sono già pronte ed in prossimità dei porti italiani. Il Governo, questa volta con maggiore risalto del premier Giuseppe Conte dopo il mortificante richiamo del presidente della Repubblica al ministro dell’Interno per la vicenda di nave Diciotti della Guardia Costiera italiana nel porto di Trapani. Da Palazzo Chigi quindi l’annuncio che i migranti sbarcheranno soltanto dopo che l’Unione europea avrà indicato in quali Stati membri verranno smistati ed accolti i migranti. Strada tutta in salita che prevede un nuovo possibile “sequestro” di navi immobilizzate, tra le quali una nave da guerra (così classificata quella della Guardia di Finanza) ed una dell’agenzia europea Frontex. Intanto, mentre il Governo italiano si avvita sulle proprie posizioni, i trafficanti libici hanno completato con successo il proprio test di lancio: poco meno di 500 migranti sono giunti fino a nord di Lampedusa con navigazione autonoma. Adesso dalla Libia si può ricominciare con il traffico “old style” che prevede l’arrivo in Italia di barconi e gommoni carichi di migranti. Allo stesso tempo torna centrale la posizione di Lampedusa, inamovibile geograficamente ma di nuovo fondamentale logisticamente. Le barche punteranno dritto sulla vicina isola mediterranea con bandiera tricolore che, però, non ha ristrutturato il proprio centro di accoglienza e non ha personale (oltre che posti letto) per ospitare un eventuale barcone come quello salpato giovedì notte. A questo dubbio, o grave rischio, si aggiunge quello che potrebbe far rivivere a Lampedusa quel traumatico ruolo di ostaggio di una politica dura firmata Lega che già in passato l’ha condannata al fallimento della stagione turistica. Ma sull’isola ci sono tantissimi fans del “Capitano” Salvini che, sicuramente, non abbandonerà (come il suo collega di partito Maroni nel 2011) migliaia di migranti sull’isola, magari per un ritorno elettorale-propagandistico a discapito dei suoi stessi seguaci ultraterroni e pelagici.

Informazioni su Mauro Seminara 704 Articoli
Giornalista palermitano, classe '74, cresce professionalmente come fotoreporter e videoreporter maturando sulla cronaca dalla prima linea. Dopo anni di esperienza sul campo passa alla scrittura sentendo l'esigenza di raccontare i fatti in prima persona e senza condizionamenti. Ha collaborato con Il Giornale di Sicilia ed altre testate nazionali per la carta stampata. Negli anni ha lavorato con le agenzie di stampa internazionali Thomson Reuters, Agence France-Press, Associated Press, Ansa; per i telegiornali nazionali Rai, Mediaset, La7, Sky e per vari telegiornali nazionali esteri. Si trasferisce nel 2006 a Lampedusa per seguire il crescente fenomeno migratorio che interessava l'isola pelagica e vi rimane fino al 2020. Per anni documenta la migrazione nel Mediterraneo centrale dal mare, dal cielo e da terra come freelance per le maggiori testate ed agenzie nazionali ed internazionali. Nel 2014 gli viene conferito un riconoscimento per meriti professionali al "Premio di giornalismo Mario Francese". Autore e regista del documentario "2011 - Lampedusa nell'anno della primavera araba", direttore della fotografia del documentario "Fino all'ultima spiaggia" e regista del documentario "Uomo". Ideatore e fondatore di Mediterraneo Cronaca, realizza la testata nel 2017 coinvolgendo nel tempo un gruppo di autori di elevata caratura professionale per offrire ai lettori notizie ed analisi di pregio ed indipendenti. Crede nel diritto all'informazione e nel dovere di offrire una informazione neutrale, obiettiva, senza padroni.

1 Commento

  1. Grazie Mauro per il tuo lavoro utile alla nostra memoria! Profonda delusione per la condotta dei nostri governanti, unica “speranza ” nel nostro Capo dello stato ed in quello del Vaticano!

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