Pro e contro, bene e male

di Mauro Seminara

di Mauro Seminara

Appena cento anni addietro, e anche meno, i campi si lavoravano con un aratro del tutto uguale a quello che l’uomo utilizzava qualche migliaio di anni prima. Rispetto ai novemila anni di storia dell’aratro, per l’ultimo secolo ci si può concedere anche un “appena cento anni addietro”. Nel giro di un novantesimo di storia dell’aratro però ci ritroviamo macchine per arare, trebbiare e irrorare e qualunque altro lavoro di cui necessita la terra, a motore e guidate da Gps, quindi capaci di rendere inutili perfino i contadini. Solo cento anni per passare da un arnese elementare di legno e metallo trainato da buoi al trattore senza conducente. In mezzo ci sono sostanzialmente solo tre o quattro generazioni. Generazioni testimoni del passaggio dal lume di candela con due racconti davanti al camino prima di andare a dormire fino ad arrivare alla Smart Tv. E non è il caso di dimenticare che quando ancora molti contadini usavano il millenario aratro, perché ancora in pochi potevano permettersi uno dei primi trattori con motore a scoppio, non c’era neanche la Repubblica. Anzi, agli inizi del secolo scorso gli italiani stavano per imbarcarsi in piena consapevolezza nella dittatura fascista. Soltanto dopo, quando la seconda guerra mondiale era finita, gli italiani si resero conto della necessità di scolpire sul più importante dei testi le regole per impedire che di nuovo un uomo solo potesse avere il comando. Tutti i meccanismi che regolamentano i poteri della Repubblica, limpidamente definiti nella prima parte della Costituzione, possono facilmente definirsi tutele per il popolo.

Sono trascorsi venti giorni da che l’attuale Governo ha prestato giuramento, al netto di Festa della Repubblica e tempi di insediamento dei ministri nei rispettivi dicasteri, eppure sembra già di poter tracciare il bilancio sull’esecutivo. Almeno, questa è l’impressione che si ha accendendo la Tv o leggendo il giornale. Tutto si sta svolgendo con ritmi serrati da campagna elettorale. I media faticano a star dietro a tutti i tweet e i post e le dirette streaming con i Salvini e i Di Maio a tu per tu con gli italiani e con le loro uscite real time su ogni affare di competenza del Governo. Ecco, passare dal conoscere solo, e non sempre, il sindaco del proprio paese, ed averlo ascoltato quando ha chiesto ai concittadini il voto, per poi tornare ad arare il campo altri cinque anni senza sentir parlare di politica ed avere il bombardamento mediatico e social sul muro e in tasca, 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, è una bella botta. Un po’ di smarrimento, tutto sommato, lo si può anche comprendere. Questo smarrimento, generazionale ed in piena accelerazione evolutiva, va analizzato per comprendere cosa sta accadendo in Italia. Non possiamo osservare un Governo per venti giorni e giudicare moralmente tutti gli italiani. Che poi, che strani questi italiani. Proprio strani. Prima sono monarchici, poi diventano tutti fascisti, poi rischiano di diventare tutti comunisti – se non si faceva qualche strage giusto in tempo – ed infine ritornano tutti fascisti. Sarà mica un popolo da interdire?

Che vita gli avi, in piedi all’alba e a letto al tramonto. Niente radio, niente Tv, niente smartphone, niente social, niente Equitalia – o comunque la si voglia chiamare – e nessuna premura di far denaro per andarlo a versare al Comune o alla Regione o allo Stato oppure in banca. Gli mancava tutto ai nostri bis-bis-nonni, ma di certo non erano stressati. Oggi invece ci siamo ridotti a dover vivere per poter sopravvivere. La cosa più stupida che possiamo fare con tutto quello di cui oggi si dispone. L’uomo è oltre il proprio limite di pressione da parecchi anni, stressato al punto da poter esplodere da un momento all’altro. Inoltre, il genere umano non è – per sua fortuna – solo intelletto ma è anche istinto, ed in qualche caso viene fuori anche l’istinto del branco. Dopo qualche decennio di bombardamento con informazioni veloci ma distorte o incomplete, ed una super intensificazione negli ultimi anni con l’avvento delle nuovissime tecnologie, il popolo dovrebbe ormai essere ridotto come quello degli orwelliani fratelli. Invece… ecco che arriva la strana reazione, la confusa insorgenza. Certo, giusto per restare in tema di Orwell, non dimentichiamo la “Fattoria degli animali” e la fine che fecero le bestie che cacciarono un padrone cattivo per ritrovarsi con un vero tiranno al suo posto. Ma fin qui, ancora e per fortuna, la Costituzione ci sta proteggendo. E, sotto l’egida della madre delle leggi italiane, il popolo sta esprimendo i propri disagi e le proprie aspettative. Lo sta facendo dialogando direttamente con i propri rappresentanti, perché le opinioni di massa che l’espressione di ogni singolo account social contribuisce a costituire arrivano a chi attraverso i social comunica agli elettori, ed in un modo quindi del tutto inedito per la storia del genere umano. In circostanze come queste, agli inizi, capita che tutti urlino e che non si capisca granché, ma basterà un po’ di abitudine alla nuova cultura e davvero potrà essere possibile andare verso una qualche forma di democrazia diretta. Tutto sta nel raggiungere un semplice ma non facile obiettivo: il popolo deve convincere il politico di ciò che vuole invece che il politico convincere il popolo di ciò che dovrebbe volere.

Strane coincidenze, nell’arco di una piccola parte della storia della Repubblica, se si pensa che nelle scuole medie si insegnava “Educazione civica” per far capire a tutti gli italiani la Costituzione, la democrazia e i propri diritti, e un giorno questa materia è scomparsa, e se a questo si aggiunge che adesso a rischio sono social e web che stanno – con qualche difficoltà per diffusa ignoranza – facendo scoprire Costituzione, diritti inalienabili, iter legislativi e attività di Parlamento e Governo al popolo ed anche al “popolino”. Il popolo italiano, come molte altre popolazioni occidentali, sta dicendo basta alle politiche di decine di anni e decine di governi diversi. Basta a quel motivo astratto ed incomprensibile, a quella supercazzola delle supercazzole, per cui viene sempre qualcosa prima del caro italiano che paga le tasse per i dovuti e mai erogati servizi. E gli italiani di tasse ne pagano davvero tante, quelli onesti. Poi ce ne sono tanti furbissimi, ma mica si può dire agli onesti che “quelli dei furbissimi li dovete pagare voi perché siete onesti e quindi fessi!”? Prima vengono le banche, le grandi aziende in crisi che poi magari se ne vanno all’estero, il debito pubblico, il deficit, il 3%, il pareggio di bilancio, il patto di stabilità, qualche nuovo privilegio per gli stessi politici, le opere pubbliche inutili che non si completano perché si fa solo finta di iniziare i lavori, e chi più ne ha più ne metta; soltanto dopo vengono gli italiani, forse, e se avanza qualcosa. Persone con disabilità totali, per cui lo Stato non fa nulla e in Regione impiegano anni per trovare fondi comunque insufficienti all’assistenza, vengono dopo. E dopo vengono anche quelli che non arrivano a fine mese, quelli che vivono in zone in cui sembra di stare nelle terre dei narcos messicani, e quelle che subiscono ingiustizie ma non si possono permettere di rivolgersi alla giustizia rischiando pure di perdere una causa durata anni ed anni. Dopo vengono anche tutti quelli che ad un certo punto stanno iniziando a chiedersi seriamente: “ma questo Stato si può sapere a che cazzo serve!?”

In questo momento, forse tra bieco smarrimento e invettive a errati destinatari, gli italiani stanno dicendo che vogliono dei rappresentanti di Stato che tirino fuori le palle e vadano a difendere quanti davvero non ce la fanno proprio più. All’italiano medio poco interessa come funzionano i mercati o i rischi che si possono correre se i titoli di Stato alla prossima asta non se li cagherà nessuno, perché gli italiani vogliono quella soddisfazione di valore inestimabile e che varrà motivo di orgoglio internazionale per gli anni a venire. Della serie che, se Salvini sferra un cazzotto a Juncker e Di Maio a Tusk, non importa se poi, l’indomani, ci ritroveremo in guerra, perché la soddisfazione provata ci può fare accollare anche quella. D’altro canto, dopo giorni di silenziosa osservazione dall’ultimo lungo editoriale, si ha l’impressione che al contempo Salvini e Di Maio stiano esaltando le folle per poter dire a Bruxelles “guardate che l’Italia intera è con noi e se vi prendessimo a cazzotti in faccia ci farebbero pure l’applauso!”. Innegabile che la cancelliera tedesca abbia perso un po’ della sua boria da Gran Maresciallo degli Stati europei, e che il principino dell’Eliseo sia prossimo all’uso di ansiolitici prescritti dal medico e stia seriamente rischiando attacchi di populistico panico. Per avere potere contrattuale – tra Stati e non tra bottegari – ci vuole il forte sostegno dei popoli che li compongono quegli Stati. Proprio in questi momenti si possono tentare le prove di forza. Non quando un popolo e già sfinito, diviso su un capo del Governo ricattabilissimo e ricattato, con uno stato di allarme generale mai suonato prima a mass media unificati e la paura di perdere tutto quello che ad oggi, in effetti, alla fin fine non si possiede più comunque. Bisognava inserire il pareggio di bilancio in Costituzione, ci hanno detto, e lo abbiamo fatto; volevano che si stabilizzasse il sistema bancario e ci abbiamo buttato dentro decine e decine di miliardi a fondo perduto; fino ad arrivare al “Sai che c’è? Adesso cambiamo un bel terzo di Costituzione, che non non c’entra un benemerito cazzo con le immediate esigenze degli italiani ma chissenefrega!”. E qui, però, si è verificata una insanabile rottura tra il popolo ed i rappresentanti deputati al Governo ed alla legislazione del Paese. Qui gli italiani, sotto bombardamento mediatico di intensità mai vista come nel corso della campagna referendaria del 2016, hanno risposto in coro con un solenne “vaffanculo!”.

Aspetta e spera, l’italiano medio ha subito una forzata regressione dallo stile consumista a cui era stato educato, e quando ha imparato di nuovo a comprare calzature migliori e farle riparare dal calzolaio invece di buttarle e comprarne un nuovo paio, come facevano genitori e nonni, la musica è cambiata. Quel panico da impoverimento, diverso dallo smarrimento di cui sopra, non c’è più ed al suo posto è emersa una sorta di conscia o inconscia lucidità. Una lucidità capace di far quasi percepire l’istinto da branco che sta muovendo il popolo. Un branco però non è mai sensibile e delicato. Un branco agisce per istinto, unico: l’istinto di sopravvivenza. Non ci sono altre vittime per un branco, non è considerata l’eventualità. Le uniche vittime, per il branco, sono i caduti del branco stesso. E ancora, per fortuna, di vittime non ce ne sono state, né dentro né fuori il branco. Il rischio però c’è. Un rischio più che concreto. C’è chi fa il “tiro al nero” in giro per l’Italia e chi si dice disposto a vedere affondare con piacere qualche barcone carico di migranti nel Mediterraneo centrale. Per di più, incoraggiato moralmente da un Governo che, come il precedente, non accetta che consegnare i migranti – soccorsi in acque internazionali – ai libici è un crimine morale ed anche per il diritto internazionale. Chiunque lo faccia, sia esso lo Stato o una Ong battente bandiere di vattelappesca. Ma, purtroppo, è anche vero che per risolvere le cose giù bisogna avere a che fare con persone e Stati e Commissioni, su, a cui frega veramente nulla di quanti migranti stuprano in Libia o di quanti ne muoiono nel deserto e in mare ogni anno. Agli italiani, nel frattempo, non importa più capire chi sono e perché vengono qui, o quanto diamo all’immigrato ogni giorno e quanto all’ente gestore del centro per migranti in cui vengono ospitati. Gli italiani vogliono la precedenza su tutto, prima di ritornare umani alla fine di questa lunga notte di luna piena. Precedenza sui migranti e sull’Unione europea, sulle banche e sulle riforme che ci impongono strutture che gli italiani non conoscono e non sanno neanche a cosa servono. E come dare torto a un popolo, quando a questo è stato spiegato che pur pagando le tasse non può disporre di un servizio sanitario pubblico decente perché oltre alla corruzione italiana c’è la Troika che ci ha imposto il pareggio di bilancio inserito quale obbligo costituzionale. Questo popolo, avrà pure il diritto di dire: “Ecchissenefrega! Se è così rivoglio indietro i miei soldi!”?

Sono trascorse tre settimane da che il nuovo Governo esiste. La sedicente naturale opposizione ideologica e politica non propone nessuna ricetta o idea alternativa e comunque aveva tracciato anche il solco anti-Ong e anti-migranti percorso fin qui da questo Governo. Nessuna alternativa cuulturale all’orizzonte. Tutti i governi precedenti avevano portato via al popolo il diritto alla salute, allo studio, all’acqua pubblica, al lavoro, perfino il diritto alla serenità. E adesso la serenità ce la possiamo pure scordare se non si interviene subito ed in modo incisivo sul piano politico. Non possiamo più permetterci una classe dirigente che investe miliardi di euro per una sola linea ferroviaria dedicata a merci ad alta velocità, inutile, mentre la tecnologia si avvicina a grandi passi all’intelligenza artificiale e gli operai vengono sostituiti da robot, come i barman e i fattorini. Questo potrebbe essere un argomento ragionevole e comprensibile per un popolo. Non l’origine della crisi economica dovuta a titoli derivati su cui alcune banche avevano scommesso in borsa dall’altra parte del mondo, e neanche che una linea ferroviaria da non si sa più quanti miliardi di euro potrebbe servire per scambi commerciali tra due Stati tra non si sa quanti anni e se mai verrà completata. Nel frattempo però abbiamo i droni per la guerra e già tecnologicamente pronti anche quelli per il trasporto merci a domicilio. Il Mose per l’acqua alta a Venezia non funziona ed ha dei costi di gestione e manutenzione esorbitanti, ma ci si investivano miliardi invece di ragionare su un piano nazionale, europeo e mondiale per la tassazione del lavoro dei robot che stanno sostituendo l’uomo in ogni campo e senza ferie e contributi Inps. Di questo un popolo, una nazione evoluta, ha bisogno, e non di idee obsolete e tempi atavici. Non è dato sapere quale sarà l’attesa, ma certo finirà il fervore popolare – da entrambe le parti livido e rancoroso – e anche l’assestamento di Governo e Parlamento con dovuto rallentamento della pseudo campagna elettorale in corso. Allora si potrà tracciare un profilo, meno avvolto da cortina fumogena, di questo popolo che arriva alla comunicazione quasi diretta con chi governa – per la prima volta da che l’homo sapiens ha messo piede sulla terra – e di questo Governo che sembra darsi tanto da fare, sia con le chiacchiere che con le azioni, ma che ancora non ha compiuto neanche un mese di vita. E se tutto ciò provassimo a spiegarlo a nostri bisnonni, certo ci prenderebbero per matti…prima di tornare al loro semplicissimo millenario aratro.

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Giornalista palermitano, classe '74, cresce professionalmente come fotoreporter e videoreporter maturando sulla cronaca dalla prima linea. Dopo anni di esperienza sul campo passa alla scrittura sentendo l'esigenza di raccontare i fatti in prima persona e senza condizionamenti. Ha collaborato con Il Giornale di Sicilia ed altre testate nazionali per la carta stampata. Negli anni ha lavorato con le agenzie di stampa internazionali Thomson Reuters, Agence France-Press, Associated Press, Ansa; per i telegiornali nazionali Rai, Mediaset, La7, Sky e per vari telegiornali nazionali esteri. Si trasferisce nel 2006 a Lampedusa per seguire il crescente fenomeno migratorio che interessava l'isola pelagica e vi rimane fino al 2020. Per anni documenta la migrazione nel Mediterraneo centrale dal mare, dal cielo e da terra come freelance per le maggiori testate ed agenzie nazionali ed internazionali. Nel 2014 gli viene conferito un riconoscimento per meriti professionali al "Premio di giornalismo Mario Francese". Autore e regista del documentario "2011 - Lampedusa nell'anno della primavera araba", direttore della fotografia del documentario "Fino all'ultima spiaggia" e regista del documentario "Uomo". Ideatore e fondatore di Mediterraneo Cronaca, realizza la testata nel 2017 coinvolgendo nel tempo un gruppo di autori di elevata caratura professionale per offrire ai lettori notizie ed analisi di pregio ed indipendenti. Crede nel diritto all'informazione e nel dovere di offrire una informazione neutrale, obiettiva, senza padroni.

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