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Walter Tobagi, 28 maggio 1980

In copertina: Walter Tobagi, ucciso il 28 maggio 1980 dalla “Brigata XXVIII marzo”

di Roberto Greco

Sono le 11:00 del 28 maggio 1980. Siamo in via Salaino, a Milano, a due passi da porta Genova. Un uomo sta camminando per la strada. Viene bloccato da un commando di cinque persone che apre il fuoco. Quattro proiettili lo raggiungono, poi il colpo di grazia. I cinque killers scappano. L’uomo rimane sull’asfalto, morto. Chi è l’uomo morto sull’asfalto e chi sono i suoi killers?

L’uomo si chiama Walter Tobagi. È un giornalista. I suoi assassini appartengono alla “Brigata XXVIII marzo”, gruppo terroristico di estrema sinistra attivo a Milano in quegli anni. Il “commando” era composto da Marco Barbone, Mario Marano, Paolo Morandini, Francesco Giordano, Daniele Laus e Manfredi De Stefano. Le indagini provarono che ad aprire il fuoco nei confronti di Tobagi furono Marano e Barbone, quest’ultimo inflisse l’ultimo colpo alla nuca a Tobagi. Tutto ciò sulla base delle risultanze dell’inchiesta condotta dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa che durò oltre quattro mesi. L’impegno maggiore di Tobagi era costituito dalle vicende del terrorismo fascista e di quello di sinistra. Seguì con scrupolo tutte le intricate cronache legate alle bombe di piazza Fontana, alle «piste nere» che vedevano coinvolti Valpreda, l’anarchico Pinelli, il provocatore Merlino oltre ai fascisti Freda e Ventura, con tante vittime innocenti e tanti misteri rimasti avvolti nell’oscurità più fitta ancora oggi, a distanza di venti anni, a cominciare della morte di Pinelli all’interno della questura di Milano e dell’assassinio del commissario Calabresi. Tobagi s’interessò a lungo anche di un’altra vicenda misteriosa: la morte di Giangiacomo Feltrinelli su un traliccio a Segrate per l’esplosione di una bomba maldestramente preparata dallo stesso editore guerrigliero. Inoltre, s’interessò alle prime iniziative militari delle Br, alla guerriglia urbana che provocava tumulti e morti per le strade di Milano, organizzata dai gruppuscoli estremisti di Lotta continua, Potere operaio, Avanguardia operaia.

Giampaolo Pansa ha affermato che:Tobagi sul tema del terrorismo non ha mai strillato. Però, pur nello sforzo di capire le retrovie e di non confondere i capi con i gregari era un avversario rigoroso. Il terrorismo era tutto il contrario della sua cristianità e del suo socialismo. Aveva capito che si trattava del tarlo più pericoloso per questo paese. E aveva capito che i terroristi giocavano per il re di Prussia. Tobagi sapeva che il terrorismo poteva annientare la nostra democrazia. Dunque, egli aveva capito più degli altri: era divenuto un obiettivo, soprattutto perché era stato capace di mettere la mano nella nuvola nera”.

“La sconfitta politica del terrorismo – scriveva Tobagi – passa attraverso scelte coraggiose: è la famosa risaia da prosciugare, tenendo conto che i confini della risaia sono meglio definiti oggi che non tre mesi fa. E tenendo conto di un altro fattore decisivo: l’immagine delle Brigate rosse si è rovesciata, sono emerse falle e debolezze e forse non è azzardato pensare che tante confessioni nascono non dalla paura, quanto da dissensi interni, sull’organizzazione e sulla linea del partito armato”. La sera prima di essere assassinato, Walter Tobagi presiedeva un incontro al Circolo della stampa di Milano, per discutere del “caso Isman”, un giornalista del Messaggero, arrestato perché aveva pubblicato un documento sul terrorismo. Aveva parlato a lungo della libertà di stampa, della responsabilità del giornalista di fronte all’offensiva delle bande terroristiche: problemi che aveva studiato ormai da anni e che conosceva a fondo. Aveva pronunciato frasi come: “Chissà a chi toccherà la prossima volta”. Dieci ore più tardi era caduto sull’asfalto sotto i colpi di giovani killer.

Walter Tobagi era nato a Spoleto il 18 marzo 1947. Nella sua carriera ha lavorato per l’Avanti, l’Avvenire e, dal 1972, al Corriere della Sera. Fu ucciso da un commando della “Brigata XXVII marzo” il 28 maggio 1980.

Roberto Greco:
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