Joe Petrosino, 12 marzo 1909

Joe Petrosino, per primo, capì i legami tra la mafia in Sicilia e quella negli Stati Uniti e che la battaglia doveva essere combattuta su entrambe le sponde dell'Atlantico

In copertina: Joe Petrosino, ucciso a Palermo dalla mafia il 12 marzo 1909

È la sera del 12 marzo 1909. Sono circa le 20:45. Un uomo è fermo in piazza Marina, a Palermo. Sembra in attesa di qualcuno. Un gruppo di persone è in attesa del tram. Un uomo si avvicina, estrae una pistola e spara tre colpi in rapida successione. L’uomo stramazza a terra. Il killer si avvicina e spara il colpo di grazia alla testa. La gente comincia a urlare e a scappare. Il killer scappa e l’uomo rimane sul selciato del Giardino Garibaldi immerso nel suo sangue. Chi è l’uomo ucciso in piazza Marina? Stava aspettando inconsapevolmente il suo killer? Poco dopo l’omicidio, la vittima viene identificata. Si tratta di Giuseppe Petrosino, cittadino americano di origini italiane. Non è un turista e non è nemmeno venuto a trovare parenti lontani. È Joe Petrosino, un tenente della polizia di New York, capo dell’Italian Branch, un’organizzazione interna alla polizia newyorkese composta da italiani, protagonista della efficace e proficua lotta senza quartiere contro la Mano Nera, l’organizzazione mafiosa siculo-americana, attiva a New York, che controllava il racket e svolgeva altre attività criminali.

Joe Petrosino nacque a Padula, in provincia di Salerno, nel 1860. Emigrò negli Stati Uniti, con la famiglia, da ragazzo e si stabilì a New York. Lavorando come lustrascarpe davanti a una stazione di polizia, ha cominciato ad ammirare i poliziotti del quartiere. Entrò a far parte del NYPD (New York Police Department, ndr) nel 1883. Fu il primo nativo italiano nella storia del dipartimento ad ottenere la placca d’argento, sulla quale era inciso il numero 285. A quel tempo, quasi un quarto della popolazione della città di New York era italiano. Vivevano, prevalentemente, nella stessa zona della città, quella che divenne Little Italy. Povera, sporca e sovraffollata, la vita quotidiana era difficile e la comunità viveva un clima di sfiducia per l’autorità costituita. Era un terreno fertile per il crimine organizzato in cui mettere radici. Ben presto, diverse organizzazioni criminali presero il controllo del territorio, in particolare The Black Hand, la Mano Nera, associazione di stampo mafioso con radici siciliane, il cui modello fu importato negli Stati Uniti durante le grandi emigrazioni della fine del XIX° secolo. Avevano messo in piedi un capillare racket di estorsioni, tramite il quale l’organizzazione controllava la maggior parte degli imprenditori della città.

The Black Hand si diffuse, dopo New York, nelle comunità italo-americane delle principali città americane, tra cui Philadelphia, Chicago, New Orleans, San Francisco e Detroit. Sin dall’inizio della sua carriera, Petrosino si è impegnato a combattere The Black Hand. Joe Petrosino aveva un vantaggio che gli altri agenti della polizia di New York non avevano: parlava italiano. Per la prima volta i mafiosi di Little Italy si erano trovati ad affrontare un nemico che parlava la loro lingua, conosceva i loro metodi e poteva infiltrarsi nel loro ambiente. La sua capacità di risolvere i crimini nella comunità italiana gli aveva permesso di essere promosso, nel 1895, Sergente Detective, incaricato della Divisione Omicidi del NYPD. Sotto la guida di Petrosino furono effettuate decine di arresti, e il controllo di The Black Hand cominciò a vacillare. Nel 1908 Petrosino fu promosso Tenente e incaricato di coordinare l’Italian Branch, un corpo d’élite di detective italo-americani creato appositamente per combattere le attività criminali di organizzazioni come la mafia. Petrosino, per primo, capì i legami tra la mafia in Sicilia e la mafia negli Stati Uniti e che la battaglia doveva essere combattuta su entrambe le sponde dell’Atlantico.

Joe Petrosino, poliziotto a New York

Nel 1909, si recò in Sicilia per quella che doveva essere una missione segreta che avrebbe inflitto un duro colpo a The Black Hand. Una legge federale, approvata poco tempo prima, aveva permesso l’espulsione degli immigrati se nel paese da meno di tre anni e se erano stati condannati per un crimine in un altro paese. Petrosino sapeva di molti criminali italiani che si erano trasferiti negli Stati Uniti e, nel suo viaggio in Sicilia, intendeva raccogliere prove del loro passato criminale per poterli espellere dagli Stati Uniti. La missione di Petrosino non rimase segreta per molto. La notizia fu divulgata alla stampa direttamente da Theodore Bingham, commissario di polizia di New York. Al suo arrivo in Italia, nonostante la sua riservatezza, tutti sapevano chi fosse. Quella sera del 12 marzo 1909, Joe Petrosino è in piazza Marina, a Palermo, per incontrare un suo informatore. Ma, come spesso accade con gli informatori, ci sono un lato lucido e uno opaco. Joe Petrosino cade in un agguato. Tre colpi di pistola e il colpo di grazia alla testa: un’esecuzione. Il poliziotto italo-americano muore a Palermo e la mafia inizia le grandi manovre per il forte e duraturo legame tra le famiglie siciliane e quelle americane. Il principale sospettato per l’omicidio fu Vito Cascio Ferro, boss della mafia siciliana che operò negli Stati Uniti e oggetto di un’indagine di Petrosino per l’omicidio del mafioso siciliano Gaspare Candella, membro della cosca dei Morello. Cascio Ferro fu costretto a scappare a New Orleans prima e successivamente, nel 1904, a tornare in Sicilia. Vito Cascio Ferro fornì, all’epoca, un alibi basato sulla testimonianza dell’onorevole Domenico De Michele Ferrante, deputato agrigentino. Le autorità americane dichiararono che l’omicidio non sarebbe mai stato risolto. Ai suoi funerali, tenutisi a New York pochi giorni dopo, parteciparono quasi duecentomila persone.

Il tenente Joe Petrosino, del NYPD

Il 23 giugno 2014, più di 100 anni dopo la morte di Petrosino, grazie all’operazione Apocalisse, condotta da Carabinieri, Guardia di Finanza e Squadra Mobile di Palermo, vengono arrestati 95 mafiosi dei mandamento San Lorenzo e Resuttana. Le indagini, condotte dal Procuratore aggiunto Vittorio Teresi della Procura di Palermo e dai sostituti Del Bene, Luise, Paci, Picozzi e Scaletta, oltre a ricostruire l’intero organigramma dei due mandamenti, identificando capi e gregari e riuscendo ad analizzare la complessa realtà e organizzazione delle richieste e pagamento del pizzo, hanno permesso agli inquirenti di acquisire informazioni inattese. Domenico Palazzotto – giovane capomafia del quartiere Arenella a Palermo – si vantava che il fratello di suo nonno, tale Paolo Palazzotto, mafioso italo-americano già arrestato a New York da Petrosino, avesse ucciso il poliziotto su ordine di Vito Cascio Ferro. Joe Petrosino fu il primo ufficiale di polizia italo-americano a morire nell’adempimento del proprio dovere e l’unico poliziotto di New York ucciso mentre indagava al di fuori del territorio statunitense. La sua casa natale, a Padula, oggi è diventata un museo dedicato a Giuseppe Joe Petrosino, figlio di quella terra. Si tratta della prima casa-museo dedicata a un esponente delle forze dell’ordine ed è riconosciuta dal Mibact, il Ministero dei beni e attività culturali e del turismo, come luogo della memoria.

Joe Petrosino nacque a Padula, in provincia di Salerno, il 30 agosto 1860. La mafia siculo-americana lo uccise a Palermo, la sera del 12 marzo 1909. Petrosino lasciò la moglie Adelina Saulino e la figlia, chiamata anche lei Adelina, che aveva poco più di tre mesi.

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