La Tunisia prossima alla sua seconda Primavera Araba

Le proteste si sono allargate a oltre dieci città. Ieri un manifestante è stato ucciso durante gli scontri. Il Paese è in piena recessione e il FMI ha imposto riforme asfissianti per la classe povera

Dalla rivolta del 2011 in Tunisia si sono susseguiti nove governi ma mai le condizioni del paese sono realmente migliorate offrendo delle prospettive. L’illusione della democrazia conquistata non ha però messo definitivamente al bando la corruzione che dilania il Paese. Ieri gli scontri tra i manifestanti della nuova animata protesta contro il Governo ha prodotto la morte di un civile. Il tentativo di reprimere la protesta che si è alzata contro il regime di austerità imposto dall’attuale Governo non ha fatto arretrare i manifestanti. Oggi le proteste sono esplose in più di dieci città e la situazione sembra adesso ricordare ancora di più quella del 2011. Il manifestante morto ieri, ucciso a Tebourba, città 40 km a ovest della capitale Tunisi, ha ancora di più infiammato gli animi dei tunisini.

L’aria di protesta era maturata già al principio del nuovo anno. Il primo gennaio il governo ha alzato i prezzi della benzina ed altri prodotti e ha aumentato le tasse sulle automobili, sulle telefonate, sull’utilizzo di Internet e sulla sistemazione in albergo come parte delle riforme economiche pretese in controparte dal Fondo Monetario Internazionale. La riforma repressiva è stata concordata alla sottoscrizione del prestito da 2,8 miliardi di dollari, sul finire del 2017. Un programma quadriennale che prevede quote del prestito erogate a seguito di quote delle riforme. Una formula che sta facendo avvitare l’economia della Tunisia come già era accaduto ad altri Paesi che si erano trovati ad avere a che fare con il FMI e con le sue pretese di estrema austerità.

Manifestanti su Bourguiba avenue a Tunisi
“Le persone devono capire che la situazione è straordinaria e il loro Paese sta avendo difficoltà, ma crediamo che il 2018 sarà l’ultimo anno difficile per i tunisini”, ha dichiarato il primo ministro Youssef Chahed chiedendo un ritorno alla calma ed asserendo che l’economia della Tunisia migliorerà quest’anno. “Quello che è successo non ha avuto niente a che fare con la democrazia e le proteste contro gli aumenti dei prezzi. Ieri i manifestanti hanno bruciato due stazioni di Polizia, hanno saccheggiato negozi, banche e hanno danneggiato proprietà in molte città”, ha detto Khelifa Chibani, portavoce del Ministero degli Interni. Dal 2011 alla fine del 2017 il dinaro ha perso valore di mercato sul cambio e potere d’acquisto in patria. Adesso, con un valore minimo storico, per un euro sono necessari tre dinari e con questi ci si acquista sempre meno. La Tunisia è quindi in piena recessione e poco c’è da stupirsi se la disperazione spinge alla violenza quanti non hanno già tolto gli ormeggi per tentare la sortita in Italia o in Francia.

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