Inferno Libia: le testimonianze al TPP

Le voci dei testimoni: “Erano le stesse guardie che gestivano sia il campo sia la piantagione, che distava solo qualche chilometro”

È evidente che il popolo migrante è stato volontariamente privato dei suoi diritti e della sua voce. Le politiche attuali tendono all’abrogazione del diritto d’asilo, per impedire che la “voce” sia articolata, per impedire che si possa trasformare in istanza giuridica in quei paesi in cui ciò sarebbe possibile per il modello legislativo in essere. Il contenimento dei flussi è, innanzitutto, negazione dell’istanza del diritto di asilo. La tendenza è considerare tutti e solo migranti economici, negando quindi i drammi e le violenze che sono costretti a subire dei luoghi di appartenenza. È necessario quindi chiedersi cosa succede in Niger o in Libia. Ci sono i rapporti, presentati al Tribunale Permanente dei Popoli ma, soprattutto, c’è la voce di chi è passato sotto la pesante mano del nuovo modello di accoglienza. Durante la sessione di Palermo, ampio spazio è stato dato alle testimonianze che, da un lato, hanno raccontato la loro personale esperienza e hanno riportato i fatti vissuti come testimoni. Immagini forti vengono evocate dai racconti dei giornalisti che hanno tentato di entrare nei campi di detenzione libici o che sono stati mesi sulle navi delle ONG durante le fasi di soccorso. Ma riportare il dramma che è stato espresso dai protagonisti, vittime delle angherie di aguzzini occidentali che vestono i panni delle polizie locali, è impossibile. I loro racconti hanno dell’incredibile anche per le persone che si occupano di accoglienza ai migranti. Non possiamo non ricordare la testimonianza di Oxfam/Borderline che ci hanno parlato delle torture che vengono regolarmente inflitte, di persone che riferiscono di essere stati costretti a sentire le voci di chi veniva torturato, delle bruciature da scosse elettriche inflitte di cui ancora oggi si vedono le cicatrici, di persone costrette ad assistere a torture inflitte ad altri. Oppure la testimonianza di MEDU, che ci ricorda di 2600 persone ascoltate in quattro anni, e che la maggior parte di loro reca sul proprio corpo i segni di violenze sessuali, ustioni e altre violenze fisiche. Abbiamo ascoltato racconti di persone che sono state appese a testa in giù. Che hanno visto mutilare, davanti ai loro occhi, il corpo del loro più caro amico.

Nessuno, nella sala del Tribunale Permanente dei Popoli, potrà mai dimenticare il racconto della donna nata in Sierra Leone che, durante il suo lungo cammino verso l’Europa, è violentata ripetutamente e costretta ad avere un rapporto sessuale con un cane. Ahmamadu, originario del Gambia, ci racconta di aver tentato di scappare dall’inferno della Libia per sei volte. Ogni volta veniva ripreso, nelle diverse fasi della sua fuga e riportato indietro. “Ci sono delle prigioni libiche in cui non si mangia, ma anche di quelle in cui si mangia tutti i giorni, perché ogni mattina ci caricavano su un pullman e ci portavano a lavorare nelle vicine piantagioni. Lavoravamo là tutto il giorno. Erano le stesse guardie che gestivano sia il campo sia la piantagione, che distava solo qualche chilometro” racconta Ahmamadu. Ma la Giuria non ha ascoltato solo la voce delle vittime. Sul banco dei testimoni sono salite anche le ONG, quelle cacciate dal Mar Mediterraneo proprio nei mesi di luglio e agosto, quando divenne operativo l’infernale accordo Italia-Libia. Il loro graduale abbandono del Mar Mediterraneo era il primo dei risultati che il Ministro Minniti si aspettava, complice il suo “Codice di Condotta”, strumento utile solo a esercitare, attraverso la presenza di forze armate italiane, il suo controllo sulle singole navi battenti il Mediterraneo. Si chiama militarizzazione. “Fuck you, we save them anyway!” è stata la risposta che la nave dell’ONG Sea-Watch ha dato alla Guardia Costiera Libica che gli intimava di andarsene. E poi il racconto delle piccole contraddizioni operative e di competenze. In zona SAR (Search and Rescue) ovviamente si deve operare sotto il controllo e seguendo le istruzioni del MRCC di Roma e cioè della Guardia Costiera, autorità delegata dall’ordinamento al coordinamento delle operazioni di soccorso in mare. Ma, sempre più spesso, la Guardia Costiera Libica, esercita in questo tratto di mare, gli stessi diritti che esercita sulle acque territoriali. Domani 20 dicembre alle 16:00, la Giuria del Tribunale Permanente dei Popoli renderà nota la sentenza.

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