Poco meno di un mese fa è morto, a 86 anni, Pierre Bergè, compagno di vita di Yves Saint Laurent. Un uomo il cui impegno sociale, negli anni, l’ha visto al fianco delle principali associazioni che si occupavano di lotta all’Aids. Con Line Renaud e ad altre associazioni, tra cui Act Up-Paris ha creato l’”Ensemble contre le sida” (Associzione contro l’Aids, ndr) che si trasformerà nel tempo nella SidAction. Ha partecipato, fino agli ultimi giorni, nonostante uno stato di salute molto degradato, all’attività di ciò che oggi rappresenta un legame essenziale del sostegno al tessuto associativo della lotta contro l’Aids in Francia e internazionale e, soprattutto, per il finanziamento della ricerca.
In questo quadro, non solo francese, si colloca “120 Battements par minute”, il racconto di una vita dove il ritmo del battito umano si mescola con il beat della musica che riempie le loro notti. Una corsa per la vita, per potersela tenere stretta più a lungo.
Camera a mano, molto spesso sembra più un documentario che non un film di finzione, abilmente sceneggiato e, in lingua originale, ho apprezzato la leggerezza dei dialoghi che mi auguro non sarà distrutta dal doppiaggio in italiano. La collettivizzazione delle decisioni, la gestione delle differenze, la ricerca del rigore nelle proprie azioni, la vita dell’associazione, tutto questo è narrato in maniera precisa, compresi i piccoli sotto-testi, relativi ai singoli atteggiamenti dei protagonisti, che danno ricchezza al film. Una storia d’amore, quindi. Una storia a termine, la cui durata è fissata dalla malattia. E quando la persona che più ami al mondo è li, di fronte a te, consumato dalla malattia e preda delle sofferenze finali della sua vita, lo guardi, lo baci e compi l’ultimo atto d’amore nei suoi confronti.
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