Il raggio di luce si è spento!

Editoriale di Mauro Seminara

La frenesia di giudizi facili e la fretta di arrivare per primi con la cronaca degli eventi sta facendo deragliare cronisti ed opinione pubblica. Un poliziotto è buono grazie ad una sequenza fotografica che lo ritrae in un gesto “umano”. Un altro poliziotto è cattivo perché urla ai suoi compagni di “spezzare le braccia”. Poi il primo poliziotto perde l’aureola perché si scopre che faceva parte della muta che operato lo sgombero della Diaz. L’altro viene sospeso tra gli applausi del feroce pubblico che ne ha condannato le parole politicamente scorrette e senza diritto d’appello. Ci vuole il pugno duro per il ripristino della legalità, urlano da una parte. Magari lo asserisce con fermezza anche chi, nel caso in cui dovesse incontrare le Forze dell’ordine, avrebbe di che piangere. È una vergogna quanto si è visto in piazza Indipendenza, urlano dall’altra parte quelli che nel dubbio indicano quali cattivi gli utilizzatori di idranti e manganelli e non s’avvedono delle bombole del gas che volano dalle finestre né di quelle in fiamme nella piazza. Se un agente si rivolge ai suoi colleghi, in un momento concitato ed in cui l’adrenalina scorre veloce nelle vene come un Eurostar, esorta i compagni a non lasciarsi sopraffare ed a non permettere che sassaiole li raggiungano, questo è cattivo perché ha usato parole inappropriate. Che il senso di quelle parole venga tradotto, decodificato, da chi sa farlo ed ha capacità propria di giudizio poco importa. Una testa deve comunque saltare. E cosa c’è di meglio dell’offrire il capo di uno tra quelli che le bombole ed i sassi se li è visti arrivare addosso? Ha sbagliato. Quelle parole sono impronunciabili. Non importa in quale contesto – frase – ed in quale circostanza sono state pronunciate. Sospendiamo l’agente, rendiamo pubblica la sospensione e diamo in pasto l’ultima ruota del carro alla fossa dei leoni. Perché qualcuno, forse, sa bene che in questo momento basta poco per distogliere l’attenzione da ciò che non si vuol fare giudicare alla popolazione.
Dal Ministero dell’Interno arriva una nuova disposizione: niente più sgomberi senza predisposizione di alloggi alternativi. A chi pensava fosse normale che si predisponessero prima bisogna purtroppo dire che si sbagliava. Il palazzo sgomberato era una delle vergogne di Roma Capitale, in pieno centro ed abitato o frequentato da centinaia di persone che non erano richiedenti asilo ma utilizzatori che arricchivano la cricca delle case occupate. Ma la colpa adesso, ad un giro di boa dalle elezioni siciliane in cui il Movimento Cinque Stelle rischia di vincere ed a qualche mese da quelle per il rinnovo del Parlamento non conviene ricordare anche la amministrazioni Alemanno e Marino. L’importante è che alla lavagna sia e resti tutto chiaro: i buoni da una parte ed i cattivi dall’altra. Non possono esserci altre letture. O si sta tra i buoni oppure si sta tra i cattivi. I poliziotti non potevano stare al loro posto, a fare il loro lavoro. No. Devono stare tra i cattivi perché il questore ha autorizzato lo sgombero deciso al tavolo del Prefetto. E visto che gli ospiti abusivi del palazzo – quelli che non avevano richiesta di asilo per i quali ci si deve seriamente interrogare – resistevano, allora gli agenti di Polizia del Reparto mobile sono cattivi.
Lo sono anche se addosso si vedono arrivare bombole del gas. Non lo sono quando usano il manganello contro gli ultras allo stadio che staccano i seggiolini e glieli tirano addosso. Lo sono soltanto quando usano il manganello contro chi gli tira addosso bombole ma viene curato da Medici Senza Frontiere, Unicef e chi più ne ha più ne metta. Poi c’è il fatidico raggio di sole in mezzo all’oscurità. L’esempio da seguire. Il poliziotto umano! Ah, no. Non c’è più. Già, perché la foto sarebbe stata scattata prima delle cariche di Polizia e l’agente in questione era tra quelli della Diaz. Forse sarebbe il caso di spegnere la Tv, chiudere le app di Facebook, Twitter e dintorni social, e ricominciare a leggere il giornale. Quello su cui non si può immediatamente sparare commenti-sentenze. Perché riflettere prima di sostenere con ferocia una opinione potrebbe essere l’unica via di salvezza. E per farlo ci si deve interrogare sulla domanda di base: cosa è giusto secondo me, in senso assoluto? Basta confrontare due post su social media pubblicati dalla stessa persona a distanza di settimane, se non addirittura giorni, per notare che le idee non sono chiare e la brama di pronunciare sentenze è più forte della memoria e della personalità. Il raggio di luce si è spento: divertitevi adesso col ritrattare tutti i commenti.

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